Franco
Asco - Atschko (1903 - 1970)
Recensioni,
Critiche e Saggi
Pagina aggiornata nel febbraio 2024
Un piccolo scultore alla
Pia Casa dei poveri
Nell'Educatorio del pio Stabilimento
è ricoverato da circa un anno e mezzo il ragazzetto Francesco
Atschko, di 13 anni. L'Ispettore Gerzabeck osservò che il giovanetto,
nelle ore di ricreazione, con mollica di pane, con argilla e con altri
materiali formava figurine, busti, gruppetti plastici in miniatura.
Tutti della Pia Casa, incominciando dal segretario generale dott. Perna,
cercarono di aiutare lo scultore in germe. Poche settimane fa l'Atschko
terminò un busto di S.M. l'Imperatore, d'una rassomiglianza perfetta,
scolpito con una bravura e sicurezza piú unica che rara, in un
tredicenne.
Il dott. Perna s'affrettò
a presentare e a raccomandare l'Atschko al signor Commissario Imperiale
cons. aul. de Krezich-Strassoldo, il quale con la nota iniziativa promise
di occuparsi del piccolo scultore. Apprendiamo che l'Atschko verrà
quanto prima inviato all'Accademia di Belle Arti di Monaco.
? - Il Lavoratore
- Trieste, 19 ottobre 1916
Lo scultore tredicenne
(con illustrazioni)
L'arte plastica a tutt'oggi non
aveva ancora prodotto un bambino prodigio, cosa fin qui riservata alla
musica. Per padroneggiare l'arte di modellare creta e legno fino a crearne
un'opera preziosa, le mani dei bambini sembrerebbero troppo deboli.
Tuttavia, nel giardino dell'Ospizio dei Poveri di Trieste è stata
esposta recentemente un'opera plastica che deve la propria nascita ad
un fanciullo tredicenne. L'artista giovinetto si è scelto il
modello più prezioso che possa entusiasmare un cuore austriaco.
L'opera è un busto del nostro imperatore, di toccante rassomiglianza
ed avvincente effetto. Un maestoso tratto storico contraddistingue il
capo massiccio, non minacciato dal soffio potente dei nostri tempi.
Lo sguardo mite e le bronzee rughe sulla fronte ed attorno agli occhi,
caratterizzano il condottiero di una nazione che ha conservato la propria
forza d'acciaio anche nelle guerre più spaventose della storia
umana. Mani infantili crearono un'opera d'intuizione potente e di composizione
significativa. Franz Atschko, lo scultore tredicenne, deve lo sviluppo
del suo promettente talento al Segretario Generale, Dr. Julius Berna,
direttore dell'Ospizio dei Poveri di Trieste, nonché all'ispettore
Ferdinand Ezerzabek, dello stesso Istituto, che accolsero con amorevole
zelo e promossero con grande comprensione lo sviluppo del suo talento
artistico. La decisione del Commissario Governativo di Trieste assicura
al fanciullo il futuro artistico, poiché presto Atschko frequenterà
a Monaco la Reale Accademia delle Arti Figurative.
? - Das Interessante
Blatt - Vienna, 19 ottobre 1916
Scultore premiato
Il giovane scultore triestino
Francesco Atschko, residente nella nostra città, ha vinto il
premio assegnato al bozzetto per la medaglia interalleata della Vittoria.
Al giovanissimo e valoroso artista l'espressione del piú vivo
compiacimento e l'augurio cordiale di nuove vittorie.
? - Il Gazzettino
- Venezia, 2 marzo 1922
Atschko a Ca' Pesaro
E' proprio vero. Dalla pena nasce
la bellezza, e dalle naturali miserie balza lo spirito nudo ed affinato
verso le immensità del futuro.
Io non so quali tristezze di
cose ed eventi abbiano dato ad un giovane non ancora ventenne la tragicità
dolorosa di concezione che forma la caratteristica dell'arte di Atschko.
Ma so e sento che soltanto da questo intimo ed oscuro tormento sono
nate quelle opere tragiche ed umane; e benedico quindi il tormento,
e benedico quindi la pena, anche se la mia coscienza d'uomo mi rimprovera
questo sentimento della mia egoistica coscienza d'artista.
Gli è che presentisco
in Atschko una continua ascesa verso la perfezione anche se e quando
scompariranno le cause esterne della sua presente e possente
maturità artistica.
Gli è che ormai questo
ragazzo dagli occhi chiari ha acquistato una tale dimestichezza colo
dolore che crea, da non potersi piú dubitare delle sue facoltà
creatrici anche quando del dolore, nella sua anima fanciulla, non sopravviverà
che un ricordo lieve e lene, e piú confortevole che penoso.
Atschko è un nuovo. Ma
è un nuovo che ha già raggiunto la meta. Comincia adesso.
Ma comincia da dove pochi finiscono e molti non arrivano. In lui, la
preparazione spirituale è stata infinita come infinita è
stata la sua giovinezza dolorosa. I suoi lavori sanguinano, come la
sua anima ha sanguinato. Ma c'è nella sua vita tutta una disperata
volontà di vincere, e c'è nei suoi lavori tutta una tremenda
lotta fra il presente e il futuro, tra l'oggi cupo di ruggiti e il domani
colmo di mistero.
Quando, dopo aver esaminato con
occhio freddo ed animo assente le sculture leccate e lustrate di altre
sale, capitate nella saletta di Atschko, dovete fermarvi di colpo,
e star lì immoti e dimentichi ed inerti, come si sta sotto un
oscuro pericolo od in attesa d'una indicibile gioia.
Le crete violente fino all'esasperazione,
fino allo spasimo; vi afferrano e vi inchiodano, e vi attanagliano l'anima
in una morsa di attonita pena gioiosa.
Pena, e gioia. Pena per la tragica
fissità dolorosa delle maschere, gioia per la potenza rappresentativa
del tocco ancor vivo nella creta grezza.
Tutto Atschko è lì.
Tutta la sua anima e la sua pena, la sua volontà ed il suo sconforto,
tutta la sua tragedia intima ed urlante è lì; nell'opera
sua.
Umanità vi grida
in faccia la disperazione della continua assillante lotta contro tutte
le brutture della vita infame.
Metempsicosi vi spiritualizza
(con un senso di tragico verismo reso alla perfezione in maniera impressionante)
la divina ed umana funzione della specie.
Beethoven vi fa pensare
ad uno sconfinato oceano di melodie tempestose in cui un titano di ferro
scandisca il tempo sulle ali del sogno e con guizzi di folgore.
E tutte le opere parlano, dalle
loro fonde occhiaie, dalle loro fronti sature di pensiero, dalle loro
bocche violente ed aspre, con i loro muscoli tesi in uno sforzo fisico
che commenta e si fonde allo sforzo psichico ed all'impeto della passione.
Si dice che l'Atschko sia uniforme
nei suoi "tipi". E' vero; ma è anche giusto. Egli ha una concezione
della vita, la sua. E, per Atschko, vita significa pena, significa urlo,
significa strazio, significa continuo anelito verso un quid che è
perennemente lontano.
Ho visto nel suo studio, l'ultimo
suo lavoro, non ancora compiuto. E' una coppia di viandanti,
verso l'ignoto. Ed anche in quell'opera, l'Autore persegue il suo sogno
e beve il suo fiele. La donna non sa dove vada. Tiene alto verso il
cielo il viso tragico e smunto, e chiusi gli occhi che sentono il sole
ma non lo vedono, non vogliono vederlo. Ma l'uomo che l'accompagna e
l'avvince e la regge, ben sa dove voglia andare. E la sua fronte immane
è raccolta in un imperioso comandamento. E gli occhi sono fissi
e fermi e duri, e guardano dritto, e non tendono all'alto. E' quello
il viandante che va verso una meta voluta e conosciuta. Quale? In quale
delle due figure l'Atschko ritrae se stesso e l'anima sua? E' egli cosciente
e tenace camminatore e la debole viandante che tutta si offre, e tutta
si smarrisce, e nulla sa? Io penso, credo, spero che Atschko sia la
prima di queste due figurazioni; che sappia fermamente volere la sua
meta, e raggiungerla. Ne è ben degno. Pochissimi, oggi, in Italia,
sanno esprimere quel che egli esprime sulle sue crete tormentate e tormentose.
Nessuno, alla sua età. Lo si è definito un leopardiano
della scultura. Io non credo che ciò sia. C'è in lui una
tragicità amara che ha del Leopardi sì; ma non c'è
lo sconfitto imbelle e piagnucoloso. Io penso a Wagner, piuttosto. O
ad un Michelangelo giovane, unicorde; ma già grande e forte ed
amaro. Certo, questo giovane dall'anima tumultuosa e dall'aspetto ignaro,
è già un compiuto artista che onora la sua Trieste ed
il genio di nostra gente. Un giorno sarà celebre nel senso vano
e sciocco della parola. Oggi per noi lo è già; perché
è già tanto grande quanto ignorato o incompreso.
Questa rivista sorta per combattere
senza paure e senza premi le piú belle battaglie dello spirito,
questa rivista creata ed alimentata da giovani che hanno solamente della
povertà e della fede, si onora di incidere nelle sue prime pagine
di lotta il nome di un giovane puro nobile e povero che da oggi lancia,
verso il futuro e la gloria, il ponte del suo genio schiettamente italici
ed adriatico.
ROSOLINO DAVY GABRIELLI
- San Marco - Venezia, 1 ottobre 1922
le altre Mostre personali
... Due piccole mostre personali
rivelano due giovani fino a questo momento perfettamente ignoti, il
che del resto è logico perché non sono ancora ventenni:
un pittore, Dialma Stultus, uno scultore, Franco Atschko.
... Atschko, drammatico e barocco,
ha una abilità persino eccessiva: modella con una franchezza
che per la sua età è prodigiosa, scarna gli ossi, gonfia
i muscoli, esagera le espressioni con una enfasi amara e grottesca.
E' un temperamento sconcertante:
destinato o a perdersi nel manierismo od a diventare, dopo molte rinunce
e molte conquiste, un grande artista.
? - La Gazzetta di
Venezia - 1922
Salone Michelazzi
- Trieste (1923)
Una mostra di scultura e pittura
Fra le cose attualmente esposte
nel salone Michelazzi, la massima curiosità è suscitata
dalle modellazioni del giovane Atschko, un figliuolo di povera famiglia
del nostro popolo, che tempo addietro sollevava molto rumore anche negli
ambienti artistici veneziani. Curiosità e ammirazione. Siamo
dinanzi a una di quelle sorprendenti attitudini naturali al modellare,
che ben coltivate e guidate possono essere l'inizio di una luminosa
carriera d'artista, mentre può avvenire che si smarriscano per
la via dell'abile mestiere soltanto nel caso che l'artista non vigili
se stesso e il proprio affinamento con severa coscienza. Questo speriamo
non avvenga del giovane Atschko. Oggi egli si presenta in tutta la sua
fresca natural forza, desideroso di mostrare le invidiabili qualità
individuali che gli permettono di affrontare le estreme bravure di modellazione
della scultura barocca. Egli rintraccia la nervosità della vita
nella forma plastica fino nei particolari piú minuti, in modo
che tutto sembri innervato e palpitante, l'epidermide, la turgescenza
delle vene, il gioco delle articolazioni e dei muscoli, le infossature
delle rughe e delle grinze: lo studio anatomico non potrebbe essere
spinto piú oltre. Certamente vi una qualche esuberanza in questa
virtuosità, e ne risulta talvolta un'impressione di sovraccarico
e di eccessiva inquietudine della superficie; impressione che sarà
tolta quando il giovanissimo scultore abbia raggiunto quell'affinamento
d'arte del quale parlavamo piú innanzi. E' probabile che lo ritroveremo
fra qualche anno ugualmente sapiente ed espressivo, ma padrone di mezzi
piú semplici. Intanto egli va salutato come una forte promessa
che non deve perdersi; e chi abbia veduto come gli sia riuscito di animare
di una così profonda carnalità la berniniana testa
di donna da lui mirabilmente sbozzata, deve desiderare che la vita
dell'arte gli sia agevolata perché la promessa si adempia.
B. (S. Benco)
- Il Piccolo della Sera di Trieste, 1 giugno 1923
Acquarelli e sculture nel
salone Michelazzi
...Qualche altro saggio ci è
dato dell'arte del giovane scultore Atschko. Uno di questi si può
dire che fosse vivamente desiderato, dopo l'impressione profonda dei
suoi primi frammenti: è una figurina intera di donna,
che permette di giudicare l'artista in uno svolgimento completo di linea
statuaria. L'Atschko confessa di sentirsi nato piuttosto per la grande
scultura monumentale, e di non amare queste traduzioni del suo pensiero
in piccole forme; ma dato che le evidenti coercizioni materiali non
gli permettono la monumentalità delle opere, se non nella forma
episodica del frammento, era pur necessario che si vedesse di lui una
figura plastica che permettesse di formarsi un concetto piú preciso
dello scultore. La figura è condotta a tutta perfezione nella
sua parte superiore, testa, braccia e attaccatura del busto; il panneggio
che ne copre il rimanente è risolto invece per abbozzo e per
indicazione sommaria. La parte superiore è quella adunque su
cui l'attenzione si sofferma: ed è fortemente composta e delineata
in una espressione tragica - espressione propria all'artista - e mirabilmente
modellata, se pur con quella esuberanza irrequieta nel trarre la vita
anatomica a superficie che è caratteristica oggi dello stile
dell'Atschko. "Cotesta irrequietezza è in me, è nell'anima
mia" afferma l'artista ventenne; ma è certo che col procedere
degli anni egli si imporrà di dominarla, superando la crisi della
sua ricca e tormentata sensibilità. Apprendiamo intanto con piacere
che a lui fu affidato, come prima opera che egli abbia ad eseguire in
patria, un busto di Giuseppe Parini per la scuola comunale che porta
il nome del grande lombardo (il busto sarà inaugurato nel
luglio 1923, ndr).
B. (S. Benco)
- Il Piccolo della Sera di Trieste, 19 giugno 1923
Atschko
Vent'anni, occhi azzurrini, alto
e sottile, con la testa eretta e il viso sempre rivolto verso l'alto,
mezzo in atto di sfida e mezzo in fissità contemplatrice. Qualcosa
di quello sguardo è anche nelle sue statue, in quei visi sollevati
al cielo in cui si legge il fastidio delle cose terrene, e la nostalgia
delle nuvole e degli spazi infiniti. Ma chi è costui? E' Franco
Atschko, triestino puro sangue, scultore che gli amatori d'arte, frequentatori
del Salone Michelazzi, hanno scoperto da tre settimane. Giovanni Michelazzi,
premuroso nell'ospitare non solo le tele dei pittori dalla fama consacrata,
ma anche proiettare dei giovani, ha capito con vivo intuito le qualità
dell'artista, accogliendo una serie di frammenti e due figurine modellate
con tanta forza ed eleganza da suscitare aperti complimenti da parte
di artisti già esperti e non troppo indulgenti. Ma prima di tre
settimane fa, a Trieste nessuno sapeva chi fosse e donde venisse Franco
Atschko; e quando arrivò fra noi, taciturno e un po' inselvatichito
dalla solitudine e dallo sdegno di non aver trovato ancora aiuti e consensi
ai suoi progetti, alcuni che professano la sua stessa arte finsero di
non accorgersi di questo giovane, mentre altri, desiderosi che si svolgesse
a Trieste, hanno cercato e stanno trovando il modo per offrire allo
scultore un soggiorno operoso e proficuo, onde non possa dire che la
città natale gli è stata disconoscente e matrigna. E per
meritarsi tali attenzioni, Franco Atschko ha tutte le qualità.
Egli era già artista nella
tenera età di sei anni, e quando i suoi coetanei pastrocchiavano
su carte ghiribizzi senza senso, egli sapeva già disegnare. Parve
tanto meraviglioso questo istinto della figura manifestato dal bambino,
che sua madre, trepida e ansiosa, appena il maschietto giunse in adolescenza,
si consultò coi maestri sul da farsi. Atschko, per sua fortuna,
era povero, e la madre non avendo i mezzi da farlo studiare in scuole
speciali, lo affidò alle paterne cure del dott. C.Rangan, il
benemerito direttore della Pia Casa, ove il ragazzo venne istruito e
perfezionato nell'arte. A dodici anni il tenero artista era già
provetto nelle modellature e passava tutto il suo tempo a plasmare con
lo stucco e con la creta, procurandosi una gioia indicibile. Nel 1916,
a tredici anni non ancora compiuti, Atschko modellava, dietro ordinazione,
il busto dell'imperatore d'Austria Francesco Giuseppe, e il successo
per quell'opera fu tale che alcune illustrazioni tedesche nei riportarono
l'effigie con vive lodi per l'artista. Al quale, qualche mese piú
tardi, veniva offerta la possibilità di frequentare l'Accademia
di Belle Arti a Vienna. L'armistizio lo colse nel bel mezzo degli studi,
e da Vienna l'Atschko passò all'Accademia di Venezia e da qui
a Roma per un anno, e poi a Trieste per un solo mese. Poi di nuovo a
Venezia, ove nel 1922 espose con successo a Ca' Pesaro. Il soggiorno
dello scultore triestino a Venezia e a Roma, non fu lieto né
piacevole.
La volontà di lavorare
non era quasi mai accompagnata dai mezzi che offrono la possibilità
di lavorare. Perciò questo periodo è tutto un succedersi
di tumulti interiori, di calde ispirazioni ed entusiasmi, mortificati
da profondi scoramenti. La solitudine perseverante rendeva all'Atschko
ancor piú acerba e sconsolata la visione del mondo. Fuori dal
manierismo dell'Accademia, ribelle al convenzionalismo dell'arte impressionistica
e futuristica che gli stava attorno, tutto preso da un potente di esprimere
la verità plastica ispirandosi alle leggi universali della vita,
Franco Atschko diede ascolto soltanto alla sua concezione interiore,
e si diede ad una severa disciplina di "osservazione" che divenne la
facoltà costante e preminente della sua natura. Esprimere nella
figurazione plastica il dolore dell'uomo, legge del mondo, ecco l'aspirazione
e la volontà di Franco Atschko. Egli sente il mistero della vita
sotto la specie della forma plastica; rendere i tumulti dell'anima,
il tormento del pensiero, le passioni del cuore attraverso la modellatura
di un corpo, è la gioia suprema dello scultore. Ma questa espressione
deve essere libera, nel senso assoluto che si vuole assegnare a questa
parola. L'arte, secondo che dice Atschko, è il mezzo concesso
all'uomo per la rivelazione della verità, ma questa verità
diviene menzogna se l'arte, che è il suo strumento, è
subordinata a leggi estetiche, a principi di bene, di morale e di religione.
Creare al di sopra del bene e del male, della virtù e del vizio;
ascendere ai principi universali della vita. Questo modo di sentire
infiamma lo spirito del giovane artista, il quale trova il suo clima
naturale accostandosi alle grandi creazioni di Shakespeare, di cui l'Atschko
vuol rendere plasticamente i maggiori protagonisti delle tragedie: da
Amleto a Lady Macbeth, Jago a Shylock. Forte di questa convinzione,
quando Atschko ha da modellare una figura storica, domanda la collaborazione
fuori dalla cerchia ristretta dei tipi già modellati da latri
scultori. Così il personaggio, pur conservando intatti i caratteri
fisici essenziali, si approfondisce e si ravviva nella interpretazione
moderna dell'artista.
Di questi giorni, l'Atschko ha
modellato per la scuola di via Parini, un busto del grande poeta lombardo,
ricavandone i motivi spirituali dal profondo ritratto letterario e psicologico
che ne fa Francesco De Sanctis. Così, la piú viva ed alta
voce civile che abbia avuto la poesia del secolo XVIII, per la lirica
del Parini, trova nel modello di gesso di Franco Atschko non solo i
segni freddi del volto, ma anche il tormento inconsolabile dell'anima.
? - Le Ultime Notizie
(Il Piccolo delle ore diciotto) - Trieste, 25 giugno 1923
Pittura e scultura al Salone
Michelazzi
... Ed è in questo punto
che a me piace contrapporre il nome del nostro giovane scultore Atschko,
che trionfalmente per la prima volta si presenta e s'impone all'ammirazione
dei suoi concittadini. Per lui mi propongo di dire soltanto poche parole,
perché ogni nostra superflua lode non può che togliere
valore a questa sicura affermazione. Nella possente e monumentale sua
modellazione c'è l'impronta fiera e risentita d'un'anima eroica
che fin d'ora riconosce, nella forma esteriore della vita, soltanto
una maschera tragica. E' così ch'entra nell'arte il giovane e
povero artista Atschko. Nella concisione di questo nome si presenta
tutta la grandezza a venire, che potenzialmente si è già
così bene rivelata. Il nostro augurio sta nelle sue opere,
CESARE SOFIANOPULO
- Orizzonte Italico- Trieste, n.6 giugno/luglio 1923
Note d'Arte - Atschko
Se nella Firenze del rinascimento
o nella Roma barocca un giovane appena ventenne avesse esposto opere
di tanta robustezza quanta ne mostrano quelle esposte dall'Atschko nel
Salone Michelazzi, certamente l'eco dell'avvenimento avrebbe corso i
secoli. Ma noi viviamo in un periodo di ipersensibilità (che
cosa sia lo sa Iddio!) e disdegniamo gli entusiasmi rumorosi. Anzi -
per non sbagliare - non ci entusiasmiamo mai. Sì, noi esercitiamo
il nobile mestiere della critica e troviamo nell'Atschko tocchi troppo
giovanili, forme esuberanti, poca ponderatezza, non perché vi
siano, ma perché falsamente indotti dall'età dell'autore
crediamo che egli non possa a meno di farne.
Ma giu' la maschera! Nell'Atschko
c'è una energia preziosa che non bisogna uccidere; e chi a vent'anni
conosce corpo e psiche umana come questo giovanetto, può guardare
con occhio sereno all'avvenire.
C.M. - La Sera, Trieste
21 luglio (e/o 22 agosto?) 1923
Nel Salone Michelazzi
Lo scultore Franco Atschko ha
raccolto dal Michelazzi vari lavori nuovissimi, plasmati e modellati
nella feconda attività di queste ultime settimane, e ne ha fatto
una mostra personale, molto bella e interessante, forse tra le migliori
fra quelle finora fatte a Trieste e Venezia. Nella molteplicità
delle figure e dei frammenti, questo fortissimo artista mostra sempre
piú profondo il sentimento tragico e la volontà di lotta
che si diffondono nelle sue opere. Nella vasta e complessa modellatura
intitolata "L'uomo che tiene la corda", la bellezza della forma
è adeguata alla poesia del concetto. L'uomo nudo, che in uno
sforzo erculeo tiene la corda e vince la forza di resistenza di chi
gliela vuole strappare, è stato plasmato dall'Atschko con passione
commossa in cui il realismo della visione serve ancor piú ad
innalzare il significato del pensiero. Quale verità umana nel
risalto delle masse muscolari, dei tendini, nel groviglio delle vene,
nella modellatura del torace e della schiena, ove i fasci di muscoli
e di carne lasciano mirabilmente trasparire l'ossatura solida dello
scheletro. Giacché Franco Atschko tiene in sommo grado la verità
anatomica. Le sue figure, nel viso e nel torace sono spesso atteggiate
in uno stato di esasperazione angosciosa, in una tensione lacerante,
senza che l'equilibrio estetico ne soffra. Ma questa volta lo scultore
ci offre anche cose pensate con delicata poesia. Ecco: "L'Ave Maria",
il vecchio montanaro, cieco, che sta in ascolto riverente delle campane.
In questa figura l'intensità dell'espressione è molto
fortemente sentita, e ottenuta con mezzi sobri e potenti. Ma nella "Testa
di scemo" l'Atschko ha intuito con verità psicologica l'espressione
imbambolata dello scemo, mentre in "Beethoven" la forza della
passione è tuttora raccolta nella maschera del violinista in
atto di suonare. Nella "Sghignazzata" la predilezione dell'autore
per i soggetti compositi di tragico e di grottesco appare piú
evidente che mai.
? - Il Piccolo di
Trieste, 17 agosto 1923
Franco Atschko, scultore
Siamo certi che questo nostro
giovane scultore, il quale ha dato già tante prove di valore
indiscutibile, pur dimostrando tutta la sua forza con l'esasperazione
d'una volontà esacerbata, debba giungere alla meta, per essere
riconosciuto quello ch'egli è. Discorrendo dunque di quest'ultima
mostra aperta nel Salone Michelazzi, dove egli espone sette opere nuove,
lavoro prodigioso di un mese, noi non osserveremo né lo sforzo
evidente, né il virtuosismo tecnico, né l'esagerazione
anatomica; ma solo l'essenziale potenza di quest'anima creatrice. L'artista
cerca affannosamente una sua via d'espressione che non dev'essere misurata
in se stessa con indifferenza. Ed è ricerca piena di dramma,
che rivela una preoccupazione, una tensione di muscoli, un turbamento
di nervi, talvolta estranee alla pura espressione d'arte, ma nobili
sempre e sincere.
Ma, tornando all'Atschko, osserviamo
il "Beethoven". In un blocco solo, chiuso da una sola linea,
tutto il sentimento di un'anima grande: una testa, una mano, uno strumento.
Pur qui si trova anche un profondo raccoglimento che riposa, che, direi
quasi, soddisfa il nostro desiderio di vedere lo scultore rivolgere,
in un momento di religiosità, lo sguardo nell'interiorità
della sua anima pacata.
Cosi' in quel cieco che, fermo
nell'oscurità, sente a sera il divino richiamo dell'Ave Maria,
noi sentiamo un fremito scorrere sul gesso. Così in un frammento
- "Umanità" - che, infranto a mezzo il viso, nella contrazione
spasmodica della linea, traduce tutta la desolazione contemporanea.
Ma ecco il torso robusto d'un
uomo che si alza sicuro della propria forza e volge la testa
fiera sulla spalla sinistra, con un movimento quasi dantesco: segno
di un nuovo sangue vivificatore nell'artista. O "L'uomo che tira
la corda", magnifico per l'anatomia perfetta e la virtuosità
della modellazione. Piú in là, la faccia d'un "Idiota"
sorride quel vano sorriso che spesso accade di notare d'intorno e dietro
a noi.
Ma la figura piú drammatica,
piú drammaticamente complessa, ci viene offerta dall'Atschko
in "Sghignazzata". Come tutte le altre sue opere, sembra il frammento
di un'unità ideale gigantesca. Le stesse proporzioni, una volta
e mezza piú grandi del vero, la stessa tecnica, rude e sicura,
danno a questa scultura un carattere di monumentalità che alle
anime piccole potrà sembrare esagerazione. Invece si tratta di
una grande scultura, perché fa parte di qualcosa che sta al disopra
della materia. In "Sghignazzata" c'è un dolore disperato
che denota la massima commozione di un'anima. Una testa sollevata, col
massimo sforzo, di sopra a un piano che l'affoga, protende rigidamente
il braccio destro, a mano aperta, come chi ha tutto donato, mentre la
sinistra, staccata dal piano, afferra e stringe il braccio quasi per
contrastare l'atto ormai compiuto. E il viso ha una riflessione tragica
che con quella sghignazzata non si risolve.
Concludendo, in Franco Atschko
noi segnaliamo un nobile artista da seguire e da sostenere, poiché
nella sua arte vi è passione e necessità.
CESARE SOFIANOPULO
- Orizzonte Italico - Trieste, n.8 settembre 1923
Salone Michelazzi
... Franco Atschko presenta uno
tra i suoi piú riusciti lavori: il busto in grandezza naturale
del signor Giovanni Michelazzi. Il modello è rassomigliante all'originale.
Lo scultore, ch'è di un intuito fisiologico molto profondo e
delicato, ha modellato la testa e il volto del Michelazzi ritraendone
fino nei minimi particolari l'espressione marcata delle linee e la calma
serena dello sguardo. Dello stesso Atschko sono esposti tre vigorosi
disegni di nudo femminile.
? - Il Piccolo di
Trieste, 7 settembre 1923
La mostra di scultura e
di pittura nel Salone Michelazzi
E' l'anno dello scultore Atschko.
Il giovane artista, fino a ieri noto soltanto per qualche eco di voci
lontane, continua risolutamente, indefessamente, la sua rivelazione.
Questa volta, nel Salone Michelazzi,
è il busto del padrone di casa. Opera importante per se stessa,
ed importante anche come documento irrefragabile di lucida coscienza
dello scultore nel fare il giusto uso di quell'esperienza agile e acuta
che egli si è acquistato nel frugare e agitare nervosamente la
materia in cerca delle contrazioni piú sottili della vita anatomica.
Questa tendenza ricercatrice dell'Atschko ci è ben nota. Ad essa
vanno anche ascritti i due piccoli studi che egli oggi presenta: studi
di vita muscolare, di elasticità dei tendini, di irrequietezza
della massa sotto l'azione della vita che in ogni parte la corruga,
la flette, la torce: anzi nell'espressivo frammento di testa "Umanità"
la massa stessa, come tale, scompare sotto l'infaticabile energia della
mano che vi scava i solchi, vi sbozza i risalti turgidi, vi articola
le contrazioni nervose, vi spalanca le cavità buie, perché
tutto abbia a significare orridezza e tormento. L'effetto è ottenuto
con quella stupefacente sicurezza che è propria del modellatore
, Nondimeno si tratta qui di uno studio, di una prova di forza nell'indagine
e nel padroneggiamento della materia plastica, che l'Atschko comprende
molto bene non poter essere scopo a se stessa. E di ciò da' testimonianza
il busto del Michelazzi: uno dei ritratti piú belli che
ricordiamo da gran tempo. Lo scultore è forte; ma non meno forte
è il ritrattista; sa trovare la perfetta armonia tra i suoi mezzi
d'arte e l'interessamento vivace che lo studio del soggetto suscita
in lui. L'arte è la commossa interprete di un'osservazione sagace.
Tutti noi conosciamo ed amiamo la bonaria solida testa del Michelazzi;
ma quante cose dobbiamo imparare a vedere in essa dal ritratto del giovane
Atschko!
Ben costruita, la testa si presenta
con linea felice di faccia non meno che di profilo. E' un profilo da
eccellente disegnatore, chiaro e preciso: quale del resto vediamo nei
tre o quattro disegni di nudo femminile esposti dall'artista, dove la
linea di contorno mantiene con grande fermezza la sua continuità
plastica. Disegni completi, interessanti per se stessi, non abbozzature
a determinazione di chiaroscuri e di piani come sogliono farne parecchi
scultori: l'Atschko è della buona razza di quelli che non si
fermano ai mezzi termini, e il vigore del polso è una delle caratteristiche
giovanili dell'arte sua.
B. (S. Benco)
- Il Piccolo della Sera di Trieste, 12 settembre 1923
La festa della Stampa al
Rossetti
...Quel che rimane vivo nel ricordo
di ognuno e che ha prodotto un'impressione sbalorditiva, è stata
la magnificenza dell'organizzazione e dell'allestimento...La "statua
monumentale" di Atschko, suggestiva e grandiosa, con le gravi figure
dei bassorilievi e la statua centrale, dominava quella folla ammirata.
Lo scultore Atschko ha eseguito un lavoro di egregia fattura e non si
sa se piú ammirare la concezione dell'opera o la sua costruzione.
...
? - La Sera - Trieste,
8 febbraio 1924
La Prima Esposizione Biannuale
del Circolo Artistico Triestino
... Due scultori, Franco Atschko
e Carlo Hollan, rappresentano due tendenze agli antipodi. Il primo,
il piú giovane d'anni, resta su un concetto della scultura che
oscilla tra il naturalismo e l'impressionismo, e vi è portato
dalla sua indubbia istintiva bravura, tanto, che gli sarà difficile
rinunciare a codesta sua tendenza, attratto com'è dalla sveltezza
del tocco, dall'effetto rapidamente raggiunto, dalla facile ammirazione
del pubblico. Eppure noi lo consiglieremmo a rinunziarvi, per raggiungere
una solidità di forme piú monumentali, architettoniche,
moderne; per far posto, insomma, alla pietra, al masso, e bandire la
maniera del gesso e dell'argilla. ...
ANTONIO MORASSI -
Le Arti Belle - n.2, luglio 1924
L'Esposizione d'Arte al
Giardino Pubblico
... Non è stato detto
da alcuno che la scultura debba essere un'arte calda.
La sente bensì l'Atschko
col naturale calore del duo temperamento giovanile pieno di forza e
d'espressività. Egli ha mandato alla mostra una delle sue esercitazioni
di espressione muscolare, rigogliosa di movimenti e di chiaroscuri energici
nel modellare; e vi ha mandato una testa di giovinetta sorridente, nella
quale sono grandi qualità, così per la padronanza della
forma come per la larga e agevole sicurezza onde su tutti i tratti è
sparsa l'illuminazione del sorriso. V'è una sorprendente maestria
in questo scultore di vent'anni. ...
? - Il Piccolo di
Trieste - 2 ottobre 1924
Giudizi del pubblico
... Franco Atschko ha grande
forza, e per certa genterella che passa sotto il suo gagliardo e titanico
Scavatore è troppo muscoloso, rugoso, rude e grezzo -
pardon - troppo grande, mie graziose signorine, che lustrate le vostre
unghie e null'altro sapete della vita. Pure in lui la "Flora"
sa sorridere come una sana giovinezza che vede lontano e che tutto può
sperare. ...
X - La Sera - Trieste,
21 ottobre 1924
?
...Soltanto la Riunione Adriatica
di Sicurtà, senza strombazzati preannunzi, ha voluto mandare
due dei suoi piú cospicui rappresentanti a fare atto di concreta
presenza negli ambienti della Biennale.
I due si sono trattenuti a lungo
all'Esposizione; non hanno compito l'atto volgare dell'elemosina incosciente:
hanno guardato e vagliato; hanno visto la cosa bella che è loro
piaciuta - una piccola "Fiora" dell'Atschko - hanno forse pensato
che c'era una rivendicazione da compiere, traendo dall'ombra un giovanissimo
e forte artista triestino, per dare a lui un segno d'amore e alla città
un'altra gloria sia pure in embrione. Hanno acquistato l'opera e, con
gesto efficace, vivo, l'hanno donata al Museo Revoltella. ...
"Aelio"
- Il Popolo di Trieste, 28 ottobre 1924
Circolo Artistico
- Trieste (1925)
La mostra di Franco Atschko
al Circolo Artistico
Franco Atschko ha inaugurato
ieri nella sala del circolo artistico la sua esposizione di sculture
e di disegni. - Non c'è stato mai a Trieste - diceva ieri un
critico d'arte molto più vecchio di noi - uno scultore di vent'anni
che abbia riempito tutta una granda sala di opere tutte degne di essere
esposte e tutte degne di essere considerate interessanti per la forza
naturale e la vivacità dell'ingegno. Questi dell'Atschko è
il primo caso nella nostra città di una grande esposizione di
scultura fatta da un artista solo.
L'Atschko infatti è un
grande lavoratore, e lavorare è il suo metodo di studio. Le opere
da lui esposte rappresentano solo una parte della produzione di un periodo
che non va oltre i due anni. Alcune furono già vedute altrove
e sembrano rapidissimamente superate da quelle che egli fece di poi.
La rapidità è caratteristica non solo dell'esecuzione,
ma anche dello sviluppo di questo giovane, il quale pure ancora si trova
in pieno fermento di giovinezza: com'è manifestato evidentemente
dalla grande varietà delle impressioni date che lo dominano a
volta a volta e lo spingono a prove emulatrici senza che ancora il suo
spirito, tutto imparando tutto assimilandosi con mirabile innata predisposizione,
scelga deliberatamente la via su la quale insisterà. Abbiamo
nella sala richiami alla nitida eleganza quattrocentesca e alla concitata
e veemente scultura barocca, ai nostri scultori veristi meridionali
all'indirizzo eroico Metzner-Mestrovic, alla delicata eleganza di Pietro
Canonica. Tutto è fatto con singolare maestria e penetrazione,
perché l'Atschko è molto intelligente e signoreggia l'espressione
della forma in modo da stupire.
Il suo temperamento se vogliamo
indagarlo, lo porterebbe per più immediata spontaneità
ad una naturalistica espressione del vero, condotta dalla foga giovanile
e dalla stupenda facilità del modellare a una ricchezza lussureggiante
dei particolari, di movimenti, di intensificazione drammatica mercè
i piani irrequieti dei chiaroscuri esaurienti. Egli si sente attratto
verso ciò da una prepotente e sicura forza, giacchè pochi
son nati ai nostri giorni che lo uguaglino nella innata facoltà
del plasmare: in pari tempo egli sente il consiglio avveduto di dominare
questa irruente forza, di disciplinarla ad una più armoniosa
concezione plastica, di combattere la propria esuberanza e di cercarsi
un fine più largo e più austero. Da ciò i suoi
studi, le sue esercitazioni, che divergono tante volte con netto contrasto
da quelle che parrebbero le maniere più affini al suo ingegno:
e che data la sua bella attitudine a svolgere la linea, a sentire la
forma sotto ogni aspetto, non sono soltanto esercitazioni salutari e
feconde, ma divengono a loro volta opere l'arte in cui sia entrato un
più sereno respiro.
Se cerchiamo la più rigorosa
e più individuale espressione del naturalismo dell'Atschko, la
troveremo veramente nobilissima nel ritratto dell'antiquario Michelazzi:
ritratto superbo per vigorìa di osservazione e per una magnifica
aspirazione a interpretar la natura con quella larghezza di linee a
cui si presta il soggetto. Se vogliamo misurare quanta sia nell'Atschko
la forza della composizione, con la esasperata drammaticità muscolare
e il vigore di contrasti caro ai barocchi, nulla ne darà miglior
prova che il gran gruppo da lui audacemente organato, equilibrato, piantato
in mezzo alla sala, dove la foga quasi truculenta d'una scena di passione
selvaggia ha il suo ragguaglio nella potente bravura degli svolgimenti
di nudo e dei giochi di muscoli. Se invece da questo naturalismo, talvolta
sviluppato ad oltranza ne piace di partirci per osservare l'artista
alla prova di una più vigile semplificazione ed idealizzazione
delle proprie impressioni vitali, allora ce ne danno argomento i nitidi
bozzetti per le figure decorative di sapore toscano quattrocentesco
da lui formate l'anno scorso per il veglione della Stampa, e lo squisito
mezzo rilievo di nudo composto con classica leggiadria dentro una nicchia
ad arcosolio, e il frammento di nudo eseguito in pietra e il largo e
soave ritratto di signora eseguito in marmo. Quest'ultimo ricorda certamente
lo stile del Canonica ma con una meno sottile e meno deliberata ricerca
del delicato, anzi con una certa virile semplicità nel segnarne
la linea e nel far sentire una cotale maestosità in un girare
ampio e sintetico di piani.
Queste due ultime opere hanno
maggiore importanza per il giudizio sullo scultore, poiché eseguite
in materia nobile, danno la misura di quella che sia la sua critica
elaborazione ne tradurre dalla immediata creta alla forma durevole e
definitiva. E sotto questo riguardo, entrambe sono quanto mai rassicuranti
per il dominio energico ed austero che può esercitare l'artista
sovra ogni propria facoltà d'improvvisazione: bellissimo il frammento
di nudo; bellissimo lo studio di donna. Onde ieri giustamente si diceva
da un sagace intenditore d'arte:-la più forte scuola che può
avere questo giovane artista, a renderlo assoluto padrone di un avvenire
che gli si affaccia luminoso, è l'aver occasione di lavorare
non sul gesso, ma su la materia resistente e viva. Al modellatore nulla
manca: l'artista diverrà tanto più fine e più perfetto
quanto più incessantemente metterà a prova il suo ingegno
sulla pietra, sul marmo. Tutte le pareti della sala sono coperte di
disegni di Franco Atschko. E' noto che questo giovane geniale è
un disegnatore di straordinaria valentìa. Studi di teste, studi
di nudo, ritratti, impressioni di figure, analisi di movimenti muscolari
talvolta ravvivati dal colore, attestano con le più varie espressioni
una costante forza di ispirazione e di condotta serrata con una risolutezza
del concepire, un rigore della linea, un senso della plasticità,
una determinatezza, che vorremmo mostrare almeno in alcuni dei molteplici
esempi se ci fosse concesso di soffermarci più a lungo. Anche
qui ragiona largamente e liberamente la invidiabile ricchezza della
natura dell'Atschko: questa felice natura osservatrice ed emotiva insieme,
a cui dobbiamo il superbo autoritratto, di così solido stile,
e tanti nervosi abbozzi di nudo femminile, e tante ricerche curiose
ed appassionate della plastica energia dei giochi di muscoli. L'impressione
di questi disegni sul pubblico deve essere stata vivissima, se ieri
fin dalla prima giornata, ne furono acquistati la prima parte.
La mostra di Franco Atschko è
presentata ai visitatori da una calda ed eloquente pagina che Mario
Nordio scrisse per il catalogo.
B. (S. Benco)
- Il Piccolo della Sera di Trieste, 17 marzo 1925
Arte
Franco Atschko, il giovane e
produttivo artista concittadino ha rivelato nuove caratteristiche del
suo personalissimo ingegno nella mostra testé aperta al Circolo
Artistico.
L'ampia sala è tutta popolata
d'insigni opere di fine scultura e di ardita modellazione: vi spicca
per la palpitante vitalità delle carni e la soave espressione
dei lineamenti il "ritratto di signora", divinamente scolpito
nel marmo.
I disegni in bianco e nero e
chiazzati di colori, che adornano le pareti, dicono quale superbo disegnatore
sia l'Atschko e come tali sue opere, ancorché parecchie abbozzate,
gareggino vittoriosamente coi suoi gessi. Quasi tutti i disegni sono
già venduti.
"Strazzacavei"
- Marameo - Trieste, 20 marzo 1925
in "Problemi d'italianità a
Trieste"
... Ha girovagato da Vienna a venezia e a Roma;
a Vienna, inviatovi dall'Istituto dei poveri; a Venezia, studiando come
poteva all'Accademia; a Roma, facendo di tutto per mangiare, dall'attore
cinematografico al ladro di pomodori acerbi oltre le siepi spinose.
E' tornato ora a Trieste, dove comincia a esser conosciuto, per alcuni
suoi busti di donne che hanno una luminosa bellezza potente.
Tratta il marmo con la dolcezza di un poeta e
con la agitazione spasmodica di un allucinato. Ha un'anima di artista,
che cerca espressione oltre i confini della vita tangibile e visibile.
Ancora le sue esuberanze sono giovanilmente cariche di segni analitici;
per poco che si faccia, saprà sintetizzare in un segno, in una
sfumatura, in una linea. Ha un'anima gonfia di suoni, come il suo nome
è ricco di vocali. Occorre che l'Italia lo conosca e che sia
messo in condizioni di lavorare. Oggi a Trieste guadagna di che vivere;
ma a me che lo interrogavo, ha risposto: <<Sì, ora va bene;
ma è male. Trovo da vivere, adesso. Ma vorrei far qualcosa di
piu' che vivere. Vorre essere messo in grado di creare>>.
AUGUSTO De ANGELIS
- Il Resto del Carlino - 25 novembre 1925
Lo scultore Franco Atschko
Chiuso nel suo studio come in
remo di elezione, Franco Atschko accoglie le visite con una riservatezza
di certosino.
Nell'ampio stanzone bianco di
marmi non scolpiti ancora, di altri marmi già impersonati, e
di gessi freschi di getto, nello stanzone bianco di luce che si riversa
a fasci dai grandi finestroni, e dove sola si abbruna la massa della
creta informe, pronta a lasciarsi prendere e plasmare dalle mani operose,
lo scultore si aggira sereno. E', ivi, seguito e attorniato dalla tenerezza
della madre, che gli è compagna mite e silenziosa, poiché
forse non intende del figlio suo l'ansia nascosta e la passione creativa,
ma è paga dell'orgoglio che da lui le viene.
Franco Atschko ha ventitré
anni, ma la sua giovinezza, gravata di un sia pure breve passato di
pene e di sofferenze, si è ovattata di una certa scienza della
vita e coscienza di se stesso che hanno dato al suo sguardo una doppia
visuale: la visuale esterna che vede il mondo nella sua doppiezza, nei
suoi livori, nella feroce voracità dei giorni che passano inghiottendo
inesorabilmente ogni bellezza e lasciando una scia di fastidi, di disinganni,
che sfasciano a poco a poco gli entusiasmi e isolano le anime.
E la visuale interna: quella
che vede in se stesso, quella che gli lascia scorgere lo smisurato,
pondo di entusiasmi, di slanci, di titubanze, di ansie, di abbandoni,
di gioie; un tutto meraviglioso che dà vita ad una passionalità
tormentosa e bella, tanto necessaria all'artista per poter creare un
proprio mondo intimo, trascurando il mondo esteriore troppo lontano
e vuoto.
Questa è la situazione
spirituale che traspare dalle brevi parole di Franco Atschko. Brevi
parole sì, perché non è davvero molto espansivo
questo scultore: pare quasi trattenuto da una specie di pudore che non
gli consenta lo sbandieramento dei propri sentimenti, forse per tema
di non essere sentito e di dare la parte migliore di sè in pasto
a discussioni oziose, o forse perché effettivamente il travaglio
interno manifestandosi in una forma di potenzialità travolgente,
rende l'Artista lontano e indifferente e quanto non formi base alla
sua arte.
Comunque malgrado questa apparente
indifferenza, che sembra lo isoli e lo faccia apatico, misogino, scontroso
quasi, abbiamo da Franco Atschko troppe manifestazioni tangibili che
dicono la sua feconda vena appassionata.
A prova di questa affermazione,
Franco Atschko ha proprio in questi giorni tra le manifestazioni d'arte
scultorea un succedersi di vittorie.
Ecco infatti la Mostra di Natale
al Circolo Artistico che è completata dalle sue sculture. Creature
nate sotto l'impeto di un attimo di passionalità e scolpite poi
pianamente con amorosa pazienza. Ecco alla Galleria d'Arte Michelazzi
una testa vigorosa che afferma la violenza del palpito che in quell'ora
creativa aveva scaturigine nell'anima dello scultore. Ed ecco che al
Padiglione del Giardino, l'esposizione dei bozzetti al monumento ad
Oberdan porta il nome di Franco Atschko primo nella lista dei premiati.
Non importa se agli effetti del concorso il risultato è vano:
sta il fatto però che tra tutti i concorrenti, l'Atschko ha saputo
far valere i suoi pregi e imporsi sopra tutti al sereno verdetto di
una commissione giudicatrice.
Nella nostra città, infatti,
tolti i pochissimi scultori della vecchia scuola, che ben volentieri
lasciano il passo ai giovani, resta primo, indiscusso e indiscutibile
questo giovane facitore di creature portanti tutte le stigmate della
forza racchiusa nell'anima sua.
Di questa forza intima l'Atschko
è ben sicuro, mentre tituba ancora sulla possibilità di
manifestazione. Ma qual è dunque l'artista che è contento
di se stesso? Tra la profondità di sentire e la manifestazione
tangibile del sentimento si dibattono acerbe mille circostanze spirituali
e materiali che diminuiscono e sfaldano la potenza creativa, e così
è che generalmente, mentre il pubblico plaude all'opera di un
artista, egli non ne sia soddisfatto - egli che nel suo fervore e nella
sua passionalità ben piú poderosa l'aveva veduta!
Franco Atschko è trascinato
da questo tormento di se stesso: quello che gli altri non sanno; che
cioè, quanto egli dà è poco a confronto di quanto
certamente potrà dare, e la lode che gli viene unanime e sincera
da quanti si occupano di produzione artistica, non lo commuove né
lo esalta, poiché non per il pubblico lavora, non dalla massa
attende plauso, né si accontenta di soddisfare l'ammirazione
della città, Sopra tutto, innanzi tutto vuole arrivare a soddisfare
se stesso.
E la sua giovinezza chiusa nell'ermo
di via ferriera, lontana da mondanità e da inutili amicizie,
raccolta in una serena atmosfera tra marmi e libri, tra creta e gessi,
tende solo a questa grande aspirazione: fare di se stesso l'Artista
che egli vuole indirizzando e guidando l'Artista che il pubblico
vede.
Studia, legge, lavora. Silenziosamente.
Serenamente. In attesa di poter cantare in gloria il suo pieno trionfo
e la sua bionda giovinezza: di poter sbrigliare l'Artista nei campi
dei lauri piú fragranti e l'uomo nelle vie piú assolate.
Per ora non vuole avere a sua distrazione che la sua cavallina, buona
sicura amica che lo trascina in galoppanti scorribande sature di vento,
di luce e di sogni.
AVE GIORGIANNI -
Mondo femminile - circa 1926?
La Mostra di Franco Atschko
Sono passati alcuni anni dalla
grande mostra di scultura che riaffermò Franco Atschko: e in
questi anni il giovane artista espose opere buone, ma poche. Le mostre
di scultura presentano sempre qualche maggiore difficoltà materiale
che quelle delle altre arti: ma se questa è una valida ragione
per l'esporre di rado, i visitatori che vedono la Mostra inauguratasi
ieri nello studio dell'Atschko, si convincono che vale per lui anche
un'altra ragione, piú intima ed anche piú forte. L'artista
ha occupato questi anni in un'attività che non è soltanto
perfezionamento di tecnica ma meditazione e ricerca: né i periodi
di meditazione e di ricerca sono i piú propizi ad esibirsi spesso
al giudizio del pubblico.
L'Atschko, lo si ricorda, si
presentò sei anni addietro come un disegnatore sorprendente,
e come un modellatore che aveva qualità magnifiche, ma ancora
disguidate, istintive. Non c'era da stupirne: egli aveva sempre disegnato,
ma modellava da pochissimo tempo. Il suo sviluppo poi fu rapidissimo.
Già la sua grande mostra nella sala del Circolo Artistico lo
presentò armato di tutte le energie giovanili, ma anche già
capace di riflessioni e di finezze che rivelavano quanta lucidità
si fosse fatta nella sua coscienza d'artista. Da allora l'Atschko ha
continuato a lavorare, ma anche a pensare sul suo lavoro e ad affinarsi,
a misurarsi con difficoltà espressive e stilistiche.
Lo studio dello scultore è
in Via Ferriera n.16. Sempre quello dove egli imparò a trattare
la pietra e a maneggiare la creta. Tre stanze, d'una ruvidità
sobria e nuda, sotto le travate d'un tetto d'officina: l'intonaco delle
pareti ancora nereggiante dei meravigliosi disegni che egli vi tracciava
con la sua mano gagliarda d'adolescente. Da ogni parte lavori che attestano
la sua attività creatrice: l'artista per lo piú li chiama
studi, ma parecchi di essi possono chiamarsi opere. E in tutti è
evidente il segno della concentrazione intellettuale.
L'Atschko riconosce di dovere
al disegno la sua grande sicurezza. Se egli non fosse il poderoso disegnatore
che egli è, tutto gli riuscirebbe piú malagevole, piú
difficile. Tra le sue attitudini di disegnatore e il suo gusto sempre
piú sviluppato per il bassorilievo, la relazione è evidente.
Ma il bassorilievo dell'Atschko non nasce tutto dal disegno, con un'espressione
meramente lineare, come in tanti artisti: nasce da sensazioni di carattere
plastico, e ne genera delle altre, fino alla piú solida plasticità.
Talora è il busto di profilo, netto, tagliente, che gli fa sentire
a poco a poco la subordinazione di tutti gli altri valori plastici a
quella taglienza, e si appiattisce, si libera di tutto che non sia profilato,
diventa bassorilievo; talora è la figura che concepita in un
atto vibratamente dinamico sopra un piano, si stacca dal piano stesso,
si colma fino al pieno rilievo e dà al compimento dell'atto il
voluminoso vigore delle sue masse muscolari. Tale è appunto la
superba figura dello "Sterratore", di arduo e mirabile scorcio
prospettico, nel monumentale bassorilievo in pietra del Carso acquistato
dal gr. uff. Guido Segre per la sua villa. L'audace sicurezza con cui
questa figura è girata, la risoluzione geniale del problema statico,
la robustezza dell'atto, l'energia dell'esecuzione, l'intelligente valutazione
della policromia, la bellezza della stessa pietra, costituiscono a quest'opera
un'avvincente e vigorosa armonia.
In un altro lavoro in pietra,
destinato a una tomba che ricorda un tragico caso del mare, la sapienza
del disegnatore, se non piú profonda, è anche piú
scoperta: una figura allegorica a bassorilievo è chiusa
una cornice geometrica e ritagliata a traforo sull'aria aperta, in tutta
la grossezza della pietra. Bellissimo qui lo sviluppo del torace nella
straordinaria eleganza disegnativa di tutto l'insieme. Altrove - per
esempio nel gruppo delle tre donne in preghiera - sentiamo il
bassorilievo ricondotto a una modellazione appena risentita, che si
smorza su piani larghi e pacati, avvicinandosi alla maniera delle antiche
pietre tombali, con quella incanalata ombra verticale che accompagna
il distacco e il rilievo della figura mediana.
L'Atschko non è uno scultore
naturalista, ma anche minore inclinazione mostra per l'accademismo neoclassico.
Piú lo attraggono la scultura medioevale e orientale, e certa
virtuosità dei movimenti di masse della scultura barocca. Egli
lavora per lo piú senza modello. La sua lucidità di disegnatore,
la sua memoria anatomica, lo dispensano da questo controllo che vincolerebbe
l'immaginazione musicale delle sue linee, l'irruenza delle sue forze
e la intensità psicologica che egli chiede a se stesso. Due qualità
contrastanti sono da lui sviluppate in opere diverse. L'una lo porta
verso la deformazione erculea; l'altra lo porta verso l'affinamento
espressivo; l'una verso la procellosa ondata di muscoli, l'altra verso
la caratterizzazione di quanto può essere piú fine e piú
spirituale nella forma umana. Tra i turgidi, platonici studi di colossi,
è ammirevole, per la potenza di dilatazione e di tensione impressa
in tutta la massa, il grande studio d'atleta, dalla muscolatura
esasperata con un'audacia che appena ebbero la scultura romana e la
scultura barocca. Da questo inquietante "fortissimo" dell'espressione
muscolare, si passa gradatamente per una serie d'opere che segnano quasi
il temprarsi dell'emozione dell'artista, la sua attenzione a problemi
piú sottili di masse corporee e di costruzioni craniche, fino
ai delicatissimi busti di donna, dove il segreto dell'accento è
cercato in un particolare, intorno al quale la ricerca dell'espressione
si elabora con un tocco squisito di piani semplificati, attenuati, fluenti.
L'ultimo di questi busti, una
testa di donna, ancora in creta, dal sapore orientale, dalla
purità della forma quasi egizia, è certamente uno dei
piú belli. Ma tutti si possono dire bellissimi, anche se differiscono
nella ricerca, nella intensità del pensiero, nella tonalità
emotiva che ne sposta le linee o le chiude in una euritmia tranquilla.
Meglio sarebbe dire "quasi tranquilla": perché v'è sempre
nelle opere dell'Atschko una transazione della vita, una quasi impercettibile
inquietudine, e queste lo distinguono da molti scultori d'oggi, nei
quali il formalismo e l'assoluta quiete prevalgono.
Ritrattista efficace l'Atschko
fu sino dai primordi: e il ritratto è per lui verità e
carattere. Dei suoi ritratti egli raccolse alcuni, fra le trenta opere
esposte. Il busto di fanciulla in marmo, saporitissimo; il busto
del generale Ferrario, appena formato nella creta, ma già
contrassegnato d'individuale espressione; e magistrale fra tutti, il
busto marmoreo del giovane barone Economo, in cui il senso della
forma e il senso della vita si fondono con un'osservazione intelligente
che uguaglia la virtuosità dell'esecutore.
Gran numero di personalità
e d'artisti visitarono iersera la mostra dell'Atschko. E molti vorranno
certamente vederla oggi e nei prossimi giorni. Lo studio - in Via Ferriera
16 - è aperto dalle 10 alle 13 e dalle 17 alle 19.
B. (S. Benco)
- Il Piccolo di Trieste, 10 giugno 1928
L'Esposizione artistica
al Giardino pubblico
Anche quest'anno il padiglione
municipale del Giardino pubblico, restaurato ed ampliato, ha aperto
i suoi battenti per l'esposizione autunnale. Maggiore lo spazio, questa
volta, ma anche maggiore la sfera d'azione del Sindacato delle Belle
Arti che ora è regionale ed ha tracciata la via dal nuovo ordinamento
dato dal Governo alle esposizioni, onde preparare la produzione artistica
regionale all'Esposizione Nazionale di Roma ed a quella Internazionale
di Venezia.
La Giuria si è pronunciata
favorevole, con animo deciso, a solo 39 per cento delle opere presentate.
...
... In tutto si hanno ora cinque
sale spaziose. ... Piú si fanno notare le sculture esposte nella
Sala II. L'Atschko inviò quattro lavori, fra i quali il busto
in gesso colorato di un uomo, acquistato dalla Federazione Sindacati
intellettuali di Roma ed uno studio di testa femminile (n.10)
di una beltà indiana, o meglio di una bellezza turbante sbocciata
fra le sapienti dita di questo nostro artista....
A.L. - Il Popolo
di Trieste, 7 ottobre 1928
La Mostra regionale d'arte al Giardino
- le opere degli scultori
... Un altro artista, di cui
abbiamo parlato recentemente quando egli invitò alla magnifica
mostra nel suo studio, Franco Atschko, ha al Giardino saggi molto importanti
dell'arte sua. Piú che l'opinione nostra, espressa su lui di
recente e con tanto consenso, ci sembra do dover accennare quella di
autorevoli conoscitori d'arte, che al Giardino vedevano lavori dell'Atschko
per la prima volta, e innanzi ad essi si soffermano con sorpresa, con
interesse e con piena adesione alle lodi udite di questo giovane anche
in altre città d'Italia. L'Atschko, come è risaputo, tende
oggi all'espressione mediante lo stile: l'una deve immedesimarsi con
l'altro; ed entrambe si avvantaggiano del suo bellissimo temperamento
di disegnatore e della grande raffinatezza tecnica che egli è
venuto acquistando. I piani delicati della "mezza figura", la
finissima testa in marmo, che è veramente "un'opera" per
il suo carattere tipico e per la maestria nel comporla, l'interiorità
raccolta nello studio analitico delle altre due teste, chiuse in linee
di rara nobiltà, costituiscono un insieme armonioso a documento
dell'armonia che il giovane artista ha saputo fare in se stesso.
B. (S. Benco)
- Il Piccolo di Trieste, 21 ottobre 1928
Franco Asco, scultore
Ventenne appena, sei anni or
sono Franco Asco si presentava ai suoi concittadini con le sue prime
sculture suscitando sin d'allora l'ammirazione degli intenditori d'arte.
Non che tutte fossero perfette, ma in tutte si vedeva chiaramente la
mano dell'artista di classe e di grande avvenire. L'artista nostro,
infatti ha progredito sempre piú e presentandosi in ogni mostra
pubblica ed in molte personali, ha dimostrato di volta in volta i suoi
miglioramenti e strappato sempre maggiori successi.
Eppure la sua vita e la sua attività
artistica non furono sempre tranquille e uniformi. Come tutti quelli
della sua generazione, Asco fu dominato per lunghi anni dall'irrequietezza
e dalla spensieratezza. Passò così dall'Accademia di Vienna
a quella di Venezia, da questa a quella di Roma, per ritornare a Trieste
avendo studiato piú nelle gallerie che nelle scuole e avendo
tratto insegnamento piú che non dalle gallerie dalla vita.
Dalla prima maniera di un verismo
crudo nella rudezza dei tratti delle sue sculture, che poco ancora risentivano
la sfumatura , con un lungo periodo di solitudine studiosa e laboriosa,
lo scultore concittadino ha saputo affinare le sue creazioni, completarle
e semplificarle ad un tempo. Dopo aver tentato tutte le scuole e tutte
le esperienze, dalle medievali alle moderne, con influenze anche gotiche,
in tutte riuscendo per il suo spirito fortemente eclettico ma da tutte
staccandosi dopo aver assimilato e disciplinato quanto gli era necessario
a perfezionarsi, egli è riuscito a formarsi la sua impronta squisitamente
personale, nella quale non troviamo solo tecnica ma soprattutto pensiero
e volontà. Nei suoi ultimi lavori riconosciamo infine quella
sintesi che è il segno di un superamento del dissidio tra pensiero
e materia e di una maturità creatrice dell'artista.
Signore ormai della tecnica e
della sfumatura , appassionato ammiratore del bello, egli lavora soltanto
per la sua arte ed è tormentato dalla propria scontentezza. Perché
delle sue opere il piú vero giudice è proprio lui stesso,
tanto da non volerle mai riconoscere "finite".
Nella sua opera egli porta e
trasfonde tutta la sua grande passione di sognatore e di creatore sul
sogno, perché è vero che la maggioranza dei suoi lavori
è stata fatta senza modello. In questo riguardo bisogna citare
ad onore dell'Asco l'assoluta sua padronanza dell'anatomia, in ogni
pezzo e in ogni dettaglio del corpo umano. Ed è per lui una fortuna,
perché così può sfuggire ad ogni vincolo e ad ogni
imitazione.
Due qualità tipiche di
scultore sono il frutto della sua evoluzione nelle possibilità
artistiche: l'una è portata alla deformazione erculea, alla forza
e al dinamismo; l'altra all'affinamento espressivo, alla gentilezza
e alla serenità. L'Asco ha già dato lavori che possono
essere giudicati ottimi e decisivi, ma noi siamo certi che anche piú
e meglio saprà fare in seguito, nel suo costante sforzo di perfezionamento.
Ciò che noi anche gli auguriamo, come si merita, per il suo altissimo
valore di artista e la sua ferrea volontà di lavoratore.
? - La Fiamma - Trieste,
18 gennaio 1930
Franco Asco
Non è un metafisico embrionale,
ma un creatore che ferma nella plasticità della forma, la robustezza
della sua profonda ispirazione con concetto ampio e integrale, imprigionando
lo spirito nella materia, ormai schiava del suo temperamento, con sicurezza
di espressione e con efficacia di mezzi. La modellatura è ampia,
solida, ben costrutta, in un ritmo di espansione organica, per l'evoluzione
spontanea dei toni schietti, e la naturale disposizione dei piani.
Nessuno sforzo creativo, ma una
fluidità ben temprata e caratterizzata dal movimento, soprattutto
spirituale, che si agita in un'ascesa continua di elevazione attraverso
tutta l'opera, che già conosciamo, di questo scultore sintetico
e suggestivo. Anche per una breve visita nel suo studio, dall'arieggiante
primitivo del gruppo "le tre Marie" dove il dolore celestiale
è raccolto con composta solennità di espressione, con
sobrietà di ritmo e di forma, e una semplicità di mezzi
indiscutibili; è necessario entrare in uno stato di coscienza
speciale, per poi sentire tutta la potenza di un'altra concezione che
sembra creata quale un monito alla generazione del secolo. Voglio accennare
a quel "Cristo" che è una figura dalla solidità
ieratica e maestosa, che esprime il disgusto, la rampogna, il dolore,
la compassione e l'amore, per l'umanità che non vede al di là
del piccolo segno materiale. Una dottrina filosofico-cristiana, materiata
in quel cenno trattenuto della benedizione; in quell'atteggiamento delle
braccia, dove la sproporzione diventa un simbolo potenziale di profezia
e protezione.
Una significazione complessa
da cui si sprigiona una concezione, vasta e profonda, che forma una
sensazione strana non ancora compresa da chi non è assuefatto
a concepire il momento psichico dell'ispirazione. Mentre, il busto del
Duce dove l'espressione della fisionomia ha un carattere decisamente
romano-imperiale, è mantenuta un'integrità assoluta di
rassomiglianza, che si direbbe quasi un ritratto fuso in una vibrazione
intima dello spirito creatore, che anima la potenza del grande condottiero.
La ferrea volontà caratterizzata da quella mascella volitiva,
l'occhio che spazia oltre il segreto, la fronte dalla modellatura ampia
e possente, la linea accentuata dal carattere combattivo e tenace, la
fierezza serena del sagace profilo, riassunti nella costruzione veramente
degna è una delle opere piú notevoli e solide dell'ultimo
tempo.
Il fare una descrizione analitica
sulla vasta produzione che anima lo studio vasto e raccolto, dove lo
scultore guarda il passato come una cosa morta e lontana, sarebbe riconfermare
l'apprezzamento generale sulla sua arte, ma è necessario ch'io
accenni al ritratto della principessina di Torre e Tasso dove
si palesa un ritrattista eccellente dall'equilibrio perfetto, per la
modellatura robusta, espressiva, dall'impronta personale che ha sempre
il pregio di non esser servile. L'Anima, che è uno degli
ultimi lavori, non ancora finito, segna un periodo di maturità
quasi completa che attraverso la bellezza materiale ha saputo egregiamente
dare forma all'essenza; l'atteggiamento, l'espressione, la morbidezza
di linea, la pastosità dei contorni, concorrono alla dimostrazione
di quell'anelito dell'anima tesa verso il mondo a cui ella veramente
appartiene; ed Asco è una di quelle anime appunto, che staccandosi
dalla vita materiale, aspira a quel mondo, dove la verità è
solamente quella dello spirito.
FE. - Giovinezza
ed Arte (suppl.mens. de "La Fiamma") - Trieste, 1 settembre 1930
in "Il ricordo perenne
della Tipografia"
Il personale di tipografia del nostro
giornale volle pure commemorare nella piu' degna forma l'anniversario,
e anche il pensiero di questri nostri colleghi andò, com'era
naturale, a Teodoro Mayer, e si concretò in un'opera d'arte.
E' un'opera veramente squisita della
scultura triestina odierna, e fa onore grandissimo all'artista, che
è Franco Asco. In un blocco di marmo del Carso, sapientissimamente
lavorato e fatto valere a un effetto di delicata policromia, il giovane
artista ha tagliato una stele, sulla quale s'appoggia, ad alto rilievo,
una figura di donna, chiusa, con finissima sensibilità, in un
atto d'ascesa che è insieme un atto di grazia. Artisti ch'ebbero
a vedere quest'opera nello studio dell'Asco dissero che questo è
il piu' bello dei nudi femminili del geniale scultore, il piu' spiritualizzato
dei suoi marmi. E' davvero l'artista vi ha raggiunto una leggiadria,
una flessuosità, un'adornazione sensitiva del proprio soggetto,
che uguagliano la sottile maestria con cui l'Asco ha dominato questa
esigentissima tecnica dell'altorilievo moderno e l'ha fatta entrare,
con un senso quasi di musica, nelle armonie decorative della stele.
I tocchi d'oro del manto, del quale la bella donna si sveste, compiono,
con un tocco di raffinatezze, che è pure nella stilizzazione
del manto stesso, la preziosa policromia di quest'opera.
In essa, l'Asco volle simboleggiare,
togliendosi dalle figurazioni usate, una idea di ascensione, di vittoria.
Le date degli annali del Piccolo - 1881-1931 - sono incise in oro sul
cartiglio che sovrasta la figura.
? - Il Piccolo di
Trieste - 27 dicembre 1931
La scultura al Giardino Pubblico (Mostra
Sindacale d'Arte) - Asco e Mascherini
Franco Asco e Marcello Mascherini
sono considerati due giovani scultori che rivaleggiano. In verità
si muovono su vie diverse, anche in forza di temperamenti molto diversi.
Asco persegue con maggiore insistenza una propria idealità plastica;
Mascherini si sposta con tutta l'elasticità del proprio ingegno
vivace dall'uno all'altro esperimento, inquieto di cercare, ma anche
godendo a ogni nuovo assaggio.
La statua monumentale "Madre
di eroi", presentata dall'Asco, insieme con alcuni particolari bellissimi
in grandezza che chiameremo eroica, piú la si guarda piú
persuade dell'unità, nobiltà e vorremmo dire religiosità
della sua concezione. Le grandi masse curvilinee, modellate dallo scultore
in modo da formare una sagomatura ampia e solenne, che dalla cadenza
delle spalle in giu' comprende tutta la figura chiusa nell'austero volume
delle sue vesti, ha la sua rispondenza e la sua integrazione nelle bozze
tondeggianti su le quali passa l'onda del modellato nella testa e nel
collo. La figura risulta insieme popolare e ieratica, moderna e senza
tempo, con un carattere proprio, ma con un valore universale di simbolo.
Si è voluto vedere in essa un perdurante riflesso nell'Asco dell'arte
mestroviciana; ma certo essa si distacca dallo stile del maestro dalmata
per l'architettonica ampiezza del ritmo e per un certo richiamo che
ci sembra sentire, anche nella tecnica del trattare le superfici, a
talune antiche cose dell'Asia, specialmente dell'Indocina. ...
B. (S. Benco)
- Il Piccolo di Trieste, 15 ottobre 1932
La Scultura alla Mostra
del Ritratto
Nelle opere di scultura, alla
Mostra del Ritratto Femminile, c'è il massimo salto: dalle teste
romane del Museo di Aquileia e del nostro Museo di Storia e d'Arte si
passa immediatamente alle opere della scultura contemporanea. ...
... Riguardo alle sculture, si
potrebbe ripetere quello che fu osservato per le pitture. I ritrattisti
presenti sono pochi; e taluni mantengono nel ritratto un certo carattere
di generalità, proprio dei loro studi di figura e del loro stile.
Non certo questo si può
dire dell'Asco e del Carà. L'Asco, nel suo busto della signorina
Fiora Cantoni, ci dà forse il piú bello dei suoi ritratti:
la giovinetta leggiadra e fiorente dal fresco sorriso è del resto
un buon tema ispiratore per un artista che, come l'Asco, abbia il culto
della bellezza. In questo suo armoniosissimo marmo non si nota la raffinatezza,
il tormento stilistico di alcune opere posteriori di lui: tutto si modella
con una naturale euritmia di movimento e la linea si compone, ampia
e bene alitata di movimento, con una spontaneità data dallo stesso
senso di giovinezza della rappresentata creatura. ...
? - Trieste, 1933
Il busto di Riccardo Zampieri consegnato
dai giornalisti alla città
... Generale ammirazione suscita
il busto, opera di Franco Asco. Tagliato ad erma, in un marmo bianco
assai nobile e bello, con felice proporzione tra la testa e il piedistallo
dove è scritto il nome dell'onorato, il ritratto di Riccardo
Zampieri ha le caratteristiche di stile proprie dell'Asco, e nello stesso
tempo un severo senso della massa e un'interpretazione maschia e grave
dei tratti fisionomici.
Lo scultore non conobbe l'illustre
patriota che negli anni della vecchiezza, quando già la molestia
dell'asma che poi lo condusse a morte, aveva tolto la naturale spigliatezza
alla bellissima testa. Da artista, l'Asco preferì evidentemente
attenersi a queste sue impressioni vive, traducendole in una tal quale
monumentalità e venerabilità della figura, anziché
cercare in antiche fotografie il piglio arguto e ardito dello Zampieri
giovane. Potranno di ciò dolersi suoi compagni di giovinezza,
che lo ricordano nel tempo delle lotte comuni; ma l'opera d'arte guadagna
in dignità da questa espressione d'un'età matura, d'una
riflessione grave e serena, che allarga la linea della figura e quasi
il significato di essa dinanzi ai posteri. La modellazione dell'Asco,
di una organica, concentrata originalità, è in armonia
con la compostezza della bell'opera. E questa onora anche il suo autore.
? - Il Piccolo di
Trieste, 25 ottobre 1936
Un'opera di Franco Asco
al nostro Cimitero
Sculture nuove di Franco non
ne vedevamo già da qualche tempo. Ora l'artista, che negli ultimi
anni è vissuto quasi costantemente a Milano, ha compiuto un'opera
per il Cimitero Monumentale di Trieste, e precisamente per la tomba
della famiglia Mosconi, situata nel primo campo a sinistra del vecchio
ingresso. Il tema dell'opera scultoria è un Crocifisso, incluso
in un'alta e stretta nicchia misurata su le brevi braccia della Croce.
E' un soggetto già da lunghi anni vagheggiato e studiato dall'Asco,
e da lui portato a un'estrema finezza di osservazione anatomica, con
una giusta ponderazione dell'elemento realistico e dell'elevatezza severa
richiesta dall'immagine sacra. Intermediaria fra i due elementi è
l'espressione del dolore: dolore che non è soltanto il fisico
tormento delle membra straziate e stanche, ma anche l'angoscia spirituale
per tutti gli uomini espressa dal viso su cui è passato il sudore
dell'agonia, espressa dalla mano che, inchiodata al legno del supplizio,
ancora leva due dita a mostrare il cielo. L'Asco ha concentrato molta
vita di dolore in questo suo Crocifisso, e ha chiuso in una linea sua,
nuova e ben meditata, il complesso lavoro analitico impostosi alla sua
modellazione.
B. - ? - circa 1937/38
Galleria Pesaro
- Milano (1937)
Artisti che espongono,
Franco Asco
Lo scultore triestino Franco
Asco non ha mai esposto a Milano, sebbene egli vi risieda da quattro
anni; e il fatto di trovarci quasi all'improvviso in presenza d'un artista
tanto notevole accresce per noi l'interesse della Mostra dove son raccolte,
nella Galleria Pesaro, ventidue opere sue. Silvio Benco, che l'ha seguito
dal giorno in cui egli esordiva felicemente a Venezia, pochi anni dopo
la guerra, ci narra sul catalogo le prove, le fatiche e il severo studio
che lo portarono a questa fase, ormai piena, d'espressione artistica.
Ma della sua laboriosa formazione vediamo oggi i risultati, convincenti,
qui dentro, anche per la varietà degli esempi.
Come tutti i veri scultori, Asco,
d'origine carrarese, predilige il marmo; e marmi da lui scolpiti e curati
fino all'ultime finezze sono, per la maggior parte, i saggi che egli
ci mostra: saggi nei quali la forma non appare cristallizzata entro
schemi stilistici predisposti, ma è un problema che l'artista
si pone e risolve di volta in volta, secondo le esigenze del tema, Da
ciò, a tutta prima, alcune apparenti contraddizioni fra la purezza
riposata e armoniosa, poniamo, delle sue teste di donne o del bel nudo
Anadiomene, e la plastica tormentata di certe maschere che adombrano
miti o caratteri religiosi, come il Monaco Buddista e il Sacerdote
Egiziano. Ma la contraddizione cessa non appena si considerino,
per l'appunto, i soggetti e i diversi propositi dell'artista.
Fra le opere esposte, una delle
piú vigorose è certo il grande Crocefisso modellato
nella carne umana che soffre con tanto realismo, e con un senso mistico
nel volto, che riflette la luce dello spirito immune da carnali sofferenze.
Altre opere da porre tra le migliori sono, con la già ricordata
Anadiomene, il bassorilievo Maternità, i cui scorci
obbediscono non senza qualche violenza al ritmo costruttivo e architettonico
della composizione, e il ritratto della signora Jia Ruskaja.
In essi specialmente appaiono quella "vigile coscienza", quella "naturale
raffinatezza" e "quella nobile e sicura esperienza d'ogni tecnica della
scultura", di cui parla il Benco nella sua presentazione.
? - Il Corriere della
Sera - Milano, 4 giugno 1937
Mostre d'Arte in Milano
Franco Asco, lo scultore triestino,
espone alla Galleria Pesaro (Via Manzoni, 12) una ventina d'opere sue.
Già noto per lusinghiere e incoraggianti accoglienze, si presenta
qui colle varie caratteristiche dell'arte sua. E' scultore di forza
soprattutto, e tanto i marmi come i gessi e i bronzi hanno come l'impronta
d'una virile, quasi rude volontà di rappresentazione piú
che di espressione. E in lui si bilanciano senza mai equilibrarsi due
tendenze, la realistica e l'idealistica, l'una e l'altra però
sostenute da una tecnica di modellazione di martellamento quasi da far
pensare a una improvvisa animazione della meteora rude sotto il colpo
volitivo. La tendenza idealistica lo porta alla sua fattura migliore
quali sono i suoi nudi femminili e alcune teste pure muliebri che vibrano
d'una meravigliosa vitalità fatta d'armonia e di forma a un tempo
come fosse inspirata a una grandiosità classica. La tendenza
realistica invece quale la vedremo in molte teste maschili lo trascina
ad abusare del risalto delle linee e dell'acuto contrasto dei pieni
(vedi il "sacerdote ebreo", ad esempio, e il "commediante") sì
che per sfuggire al verismo, vede nella maschera, nel grottesco quasi,
suo malgrado, l'innegabile rivelazione di una intima personalità
del soggetto trattato. Queste due tendenze che, a quanto sembra, percuotono
sempre l'ispirazione dell'artista si trovano a riunite poi in un contrasto
che ha della lotta in quel suo grande "Crocefisso" il pezzo piú
saliente della mostra ma anche il piú discutibile. Sono quasi
due figure riunite, in uno sforzo di fondersi in una sola persona senza
però riuscirvi cioè la parte superiore e la parte inferiore,
tutte e due però esprimenti l'inanerrabile angoscia della Passione.
Ad ogni modo quella dell'Asco è un'arte che cammina verso una
unità di concezione che lo porterà molto lontano.
LUIGI VENTURINI -
Il Popolo d'Italia - Milano, 8 giugno 1937
Cronache d'Arte - Le ultime
mostre personali
Lo scultore triestino Franco
Asco ha radunato nelle sale di Pesaro un notevole gruppo d'opere che
ne rivela anzitutto il largo eclettismo: ritratti, studi di nudo, figure
evocanti con simboli ed allegorie i miti religiosi del passato, scene
sacre e profane, statue e bozzetti ora schizzati rapidamente nel gesso
e piú spesso accarezzati apzientemente nel marmo.
... Ed è appunto questa
purezza rappresentativa del nudo quella che ci piace di pu' nell'opera
dell'Asco. La sua Anadiomene vive in una sana espressione di gioventù
palpitante di verità e di fresche dolcezze in cui con l'anima
sorride la primavera.
Meno persuadono le figurazioni
ieratiche di un kistero troppo tradizionalmente espresso e di un misticismo
spesso grossolano nella sua solo apparente ingenuità.
GUIDO MARANGONI -
Perseo - 15 giugno 1937
Mostra dello scultore Asco
alla "Pesaro"
La Galleria Pesaro chiude la
sua stagione artistica con l'esposizione personale dello scultore Franco
Asco di Trieste, allestita con gusto e garbo veramente signorili. Ci
troviamo davanti alle opere di un artista che pensa, risente di una
cultura classica, ha sensibilità raffinata per le correnti moderne
e, cosa non comune oggi, è di coloro che ancora sanno cosa vuol
dire lavorare il marmo.
L'Asco conosce la sana scultura,
l'arte del "levare sulla pietra"; ama la materia e sa trasformarla,
raffinarla secondo la grande tradizione degli statuari di razza. Dalla
tecnica a quella che è l'intima espressione delle sue creazioni;
ove si rivela il pensiero largo e profondo ed il travaglio dell'artefice,
e gli studi suoi attorno ai miti, alle religioni, alle passioni: il
"sacerdote ebreo", il "monaco buddista", il "prete
egizio" e quella figura tirata su con singolare ardimento di forza,
"l'ipocrita". Opere tutte di fine e vibrante espressione psicologica,
se pure talvolta si appalesano nella tecnica un po' dura e ferrigna,
svelando altresì qualche venatura esotica, nordica, derivatagli
dai suoi studi viennesi.
Ma l'Asco che è artista
vero e istintivo si ingentilisce fino alla soavità nel misticismo
classico del suo originale "crocefisso" o nella squisita femminilità
di qualche ritratto: quello della Ruskaja, per dire di uno.
Qui lo scultore è piú
poeticamente sincero e spontaneo che allorquando naviga in certe astrazioni
non bene definibili né definite.
La squadratura geometrica di
certe sue forme rivela sì la forza espressiva e l'ardimento tutto
moderno e i mezzi tecnici dell'Asco, ma è verso le concezioni
delicate mistico-sensuali, prettamente ispirate alla femminilità
che il genio artistico dello scultore si orienta ed è quella,
a parer nostro, la sua strada e la sua meta.
A.M. - Corriere Padano
- 17 giugno 1937
Franco Asco
La mostra personale dello scultore
triestino Franco Asco alla Galleria Pesaro, ha raccolto buon numero
di opere che mettono in evidenza un forte temperamento di artista, tormentato
e ricercatore, che ha raggiunto una sua singolare chiarezza di espressione.
Forse l'indole spontanea di Asco era volta al classico. Ma tutte le
espressioni significative della polemica hanno colpito il suo interesse.
In modo più profondo sembra averlo percosso la formula wildtiana.
Da questa egli ha derivato vigore e gusto di stile che gli hanno permesso
di porre a fuoco la sua sensibilità fino a trarne risultati eminenti.
Tale la testa di "Sacerdote egizio" e quella di un "Sacerdote
ebreo", risolte con molta forza plastica, mentre il marmo di
"Anadiomene"
vibra di splendida purità e mentre il grande "Cristo crocefisso"
conquista una intensa suggestione per la serena e solenne disposizione
delle masse non meno che l'impeto umano della espressione. Tra le cose
di maggior pregio della mostra si deve porre un bellissimo busto della
signora Jia Ruskaja-Borelli,
che è una cera di grande sensibilità e di elevata purezza
plastica in cui vividamente si traducono l'effige e lo spirito della
insigne artista.
DINO BONARDI - Il
Secolo (La Sera) - Milano, 19 giugno 1937
Mostre Milanesi, Franco
Asco
Franco Asco, triestino, giovane
ancora, da qualche anno residente a Milano, dove deve aver vissuto raccolto
e operoso, anche perché non ha mai dato ombra in alcun modo ai
suoi colleghi, di colpo ora sbotta fuori con una impressionante rassegna
di opere esposte alla Galleria Pesaro: una ventina di sculture, la maggior
parte marmi diligenti, qualche cera, pochi bronzi e, se non erriamo,
un gesso solo, un grande Crocifisso che a tradurlo in materia
nobile deve costare un discreto patrimonio. Solo il fatto che egli preferisce
il marmo per la traduzione delle sue creazioni, già fa intendere
l'artista sicuro e amoroso. Beato lui che ha, indubbiamente anche la
possibilità materiale di poterlo fare, mentre tanti altri suoi
compagni d'arte, debbon correr via con mezzi piú rapidi e meno
dispendiosi, a ciò spronati da necessità inderogabili.
Questo diciamo, solo incidentalmente,
per rintuzzare, una volta tanto, la facile accusa che si fa agli scultori
d'oggi di aver perso la passione del marmo.
Asco fa bene a dare libero sfogo
a questa inclinazione. I suoi marmi, ritratti o nudi di donna, lavorati
talvolta con vigorosa ricerca della struttura anatomica, tal'altra quasi
con un lieve accarezzamento di forma (si veda ad esempio il mirabile
ritratto della signora Jia Ruskaja Borelli) rivelano sempre l'occhio
attento e la mano raffinata.
Ma le sue opere danno anche a
pensare che egli sia un temperamento esuberante, in quanto non è
fermo in un modo unico di plasticare. Egli passa da una maniera all'altra
che è un piacere a vederlo. Un piacere perché nell'un
modo o nell'altro, egli sa cavarsela con onore, cosa in verità
non facile. In un pezzo vedi un non so che di Wildtiano, in un altro
ti torna alla mente magari Donatello, in un altro ancora hai l'impressione
che egli abbia sogguardato alquanto Romanelli.
Certo che non sarebbe agevole
riconoscere un'opera sua se non fosse firmata. Generalmente si afferma
che questo non sia bene per un artista, ma nel caso particolare non
si può parlare di copie piú o meno riuscite che rivelino
desolante assenza di genialità. Al contrario! Asco è un
formidabile indagatore di tipi, di caratteri e di stati d'animo, cosa
questa che giustifica e spiega per le speciali esigenze interpretative,
i diversi segni plastici che abbiamo osservato. I suoi nudi, i suoi
ritratti, le sue teste di sacerdoti delle diverse religioni (Giovane
Profeta Cristiano, Sacerdote Ebreo, Sacerdote Egiziano,
Monaco Buddista, lavori potenti di sintesi), il frammento del
"Commediante", ancor piú dello "Studio d'ipocrita"
che non ci ha del tutto convinti, recano accenti che toccano, dicono
parole che commuovono, e rivelano tutta la forza di una passione, il
palpito di un'ansia.
Sicché noi sentiamo di
condividere pienamente il giudizio conclusivo di Silvio Benco nel catalogo
della mostra. ...
... Noi salutiamo questa giovane
forza sulla quale la scultura italiana può fare assegnamento
e sicuramente contare.
Scultore LUIGI GABRIELLI
(maggio 1937) - Lo scultore e il marmo - Milano 21 giugno 1937
Momenti d'arte
Nel numero del 21 giugno per
insufficienza di spazio non potemmo inserire nell'articolo dedicato
allo scultore Franco Asco tutto il materiale illustrativo di cui disponevamo.
Ecco ora la raffigurazione di altre due opere offerte alla vista nelle
sale della Galleria Pesaro. ...
... Questi caratteri sono evidenti
nella Anadiomene che vive in una sana espressione di gioventù
palpitante di verità e di fresche dolcezze, e nel Commediante
dove c'è una fortissima riproduzione del vero. ...
? - Lo scultore e
il marmo - Milano 7 luglio 1937
Artisti contemporanei
Da qualche tempo non osavamo
più dire la parola divina, definire così, spiritualmente,
l'Arte... corrente del momento decadente. Ma oggi, alla "Pesaro",
espone un giovane scultore che ci fa ricordare i nostri vecchi grandi
Maestri; e con lui, appunto perché giovane, tiriamo un largo
respiro di sollievo.
Laus Deo!... non tutta
la gioventù è degenere, ossessionata dal demone del deformismo!
La Bellezza ritorna ad imperare
con le sue leggi feconde d'ininterrotta continuità.
Il giovane artista triestino
Franco Asco, sedotto dalla Dea - come scrive Silvio Benco, presentandocelo
- "fa cantare nel marmo la sua contemplazione". Dia anni il Culto lo
possedeva; e, dopo incertezze, tormenti, lotte e sospiri l'innata genialità
ha prevalso: l'artista si è affermato. In questa sua prima Mostra
personale a Milano, egli si dimostra ormai maturo: equilibrato, tanto
quanto basta; positivo osservatore della forma e delle descipline
anatomiche ed estroso interprete delle più complesse interiorità;
classico e moderno al tempo stesso, tanto da sentire il Paganesimo
e la Cristianità; o nel nudo magnifico, canoviano, di Anadiomene,
o nel Crocifisso modellato con sofferenza della carne sorretta
dall'estasi della fede.
Artista nel più lato senso
della parola impersona il soggetto che lo colpisce e lo serve in laetitia,
in comunione d'ispirazione e creazione, tanto da viverlo nella modellazione
ed animarlo nella materia. Così nascono dalla sua anima il delicato
umanissimo gruppo: Maternità;
il mistico Monaco buddista,
ed il realistico ritratto di Jia
Ruskaja.
Franco Asco, però, nella
sua varietà di concezioni plastiche non è un improvvisatore
di... tentativi; ma uno studioso intelligente, un forte ideatore,
degno artefice, rispettoso della formaespressa sotto l'emozione delle
persone viste e delle passioni sentite. E questo stato di grazia gli
ha permesso, e gli permette, di spaziare nel campo della bellezza artistica
con positive qualità di tecnico, rifuggendo dalla deformazione
che è la comoda scusa di... tutte le incapacità. Tanto
è vero che egli stesso, il giovanissimo Asco, in buona fede,
e non esperto, né ancora maturo del mestiere, fu sul punto
di credere nella balorda faciloneria novecentesca esotica per una profittazione
materiale... ma "l'istinto più profondo lo salvò e lo
portò in alto".
Sacrificò l'interesse
alla spiritualità e lottò!... cominciò a modellare
con sofferenza, e sentì, ben presto, vibrare nel marmo e nel
bronzo l'anima sua; tanto nel mistico che nell'amoroso trasporto, nell'orrore
e nella letizia, nel sogno e nella realtà. Ed a volta a volta
creò. I volti delle giovani donne e i bei corpi perfetti,
estasiarono il giovane artista, lo redimirono quasi: la donna, questa
volta vero angelo tutelare, con la rivelazione della bellezza lo addusse
ad una contemplazione serena, sincera, umana. Franco Asco nel suo tema
della donna: Madre, Sposa, Vergine, Dea, raggiunse felicemente una nobilissima
personalità, lo stile classe degli artefici sommi. Già
da tempo fu notata questa sua caratteristica; ed in questa Mostra confermata.
Il grande gesso: Nudo di Donna,
per la purezza intenzionale, della linea e della posa, può stare
a fianco della Fiducia in Dio del Bertolini; ed il piccolo bozzetto
delle Tre Marie all'ombra della Croce, ha una voce lirica di
grande stile che fa pensare alle Porte di Berti.
Certo il giovane Asco ha consultati
quei codici, e vi apprese la tecnica dello scolpire, l'amore del disegnare,
la coscienza della propria personalità stillistica, l'abilità
di plasmare e lumeggiare le idee del Genio propulsore. Si perfezionerà
ancora, non nego, perché la sua gioventù lo sprona a maggiori
conquiste; ma non è vero che egli sia tuttora incerto e poco
uniforme... Poeta dello scalpello, sognatore, come tutti i liberi poeti
egli sceglie fior da fiore nella sua fantasia esuberante e crea
tutte opere che hanno ragione d'essere.
AUGUSTO PACI - PERINI
- ABC Rivista d'arte, Agosto 1937
Incontri: lo scultore Franco
Asco
Arte statuaria - arte del silenzio.
Il fascino della statua è silenzioso.
"Qual mistero dal gesto d'una
grande statua solitaria in un giardino silenzioso al vespero si spande!"
Arte del silenzio e arte del
gesto; quasi come la mimica. Ma nella mimica il gesto è della
creatura vivente, nella scultura è della imaginata parvenza.
Non è episodico, non si riferisce ad uno fra i successivi istanti
dell'azione.
Atteggiamento rispondente ad
una linea fondamentale, di cui tutte le altre sono in funzione, come
tronco rami e foglie di una pianta rispetto all'impulso che ne ha fatto
schiudere il germe.
Che vale il dire, come fu detto,
che la linea in natura non esiste? Può darsi che la matematica
la dichiari per sempre indefinibile, come indefinibile è matematicamente
la vita; ma ciò non toglie che lo scultore, per creare un piano,
metta in opera un numero infinito di linee. Misterioso potere quello
di agire come agisce la divina natura: ricavare dalla materia bruta
un'imagine risultante da una somma complessa di movimenti innumerevoli,
i quali dal primo chinarsi a prendere lo scalpello, all'ultimo tocco
di pomice, sono determinati dalla necessità di un solo ideale
vivente nell'anima dell'artista creatore; sono condotti da un filo impalpabile
vero e reale, che non ci è dato vedere, solo per la deficienza
dei sensi, ma che l'imaginazione incontestabilmente conferma.
Questa gioia suprema di collaborare
quasi alle potenze formatrici è rivelata da Franco Asco nelle
statue già esposte alla Galleria Pesaro.
La bellezza per lui non è
legata ai canoni di una perfezione astratta e in certo qual modo trascendentale,
come quella che in forme umane, presso i greci, doveva essere degna
di accogliere entità superiori, di rivelare la divinità.
Egli invece dichiara che intende
costruire una bellezza concreta: e ben vi riesce, ad esempio, nel torso
di una moderna "Anadiomene" tutto vibrante di vita, in un vago
tremolio della superficie marmorea, ricavato da una tecnica abile e
delicata.
Se ci rivolgiamo al ritratto
di Jia Ruskaja, guardandolo in modo da dimenticare, per quanto
possibile, ciò che sappiamo della personalità artistica
della danzatrice, dobbiamo senz'altro affermare che plasmando la fine
testa femminile, l'artista innanzi tutto si è ispirato a una
versione di bellezza; ammireremo poi la sensibilità e l'abilità
che gli hanno permesso di imprimervi i segni di una intelligente ferma
volontà contrapposta e fusa insieme ad un ineffabile sentimento
di nostalgia.
Franco Asco, non ammettendo limiti
all'arte, aspira ad addentrarsi nel campo delle indagini psicologiche
e spirituali. Alla maggioranza piaceranno piú facilmente le piú
semplici manifestazioni estetiche; ma egli ama ripetere come intenda
cercare altre vie, poiché ciò che fa dire ai pessimisti
che nelle Arti plastiche non c'è piú niente da fare,
è la mancanza di fantasia. Quindi considera le proprie opere
già lodate e rappresentanti leggiadre forme di giovinezza, come
studio e preparazione per piú arditi svolgimenti. Erronea pretesa
quella di ritornare ad atteggiamenti di epoche passate, con uno spirito
che piú non vi risponde, come se l'evoluzione dell'umanità
non avesse altro risultato che quello di incrostare e di corrompere:
se qualche cosa abbiamo da esprimere in arte dobbiamo sinceramente dimostrarci
quali siamo, nel carattere del nostro tempo. Una campagna contro l'intellettualismo
o il cerebralismo può essere utile contro la pretesa di crearne
basi di programmi, in senso statico ed unilaterale; non si bandiscano
però dall'arte quegli elementi culturali, che possono avere affinato,
senza inquinarla, la nostra sensibilità. Se non si può
ammettere un Manzoni menomato di storica conoscenza o un Carducci meno
erudito, si vorrà contendere ad un nuovo artista la facoltà
di evocare le imagini di cui ha potuto impadronirsi cogli umani mezzi
dello studio e della meditazione e vuole rivelarci coi divini mezzi
dell'Arte?
Riuscirà nell'altissimo
intento? Certe stilizzazioni che appaiono negli Studi sui miti delle
religioni del passato possono fare esprimere qualche riserva all'amatore
del piacevole e del grazioso; ma, chi ben guardi, sarà presto
persuaso che si tratta d'elementi vitali, consoni ad una ieratica e
sacra fissità. In quelle maschere del Monaco Buddista
e del Sacerdote Egiziano c'è del rituale, ma del rituale
vivente. Quanta parte della vita egiziana non era investita dal rito?
Sorge il mattino come per incanto nel paese, che quasi non conosce i
crepuscoli. Il re o il profeta incaricato dell'esecuzione dei riti subisce
l'apertura della bocca e degli occhi, funzione che secondo il rito osirico
fa di lui un dio, allontana ogni pericolo di morte e lo riunisce col
suo Ka, sostanza primordiale e universale, sorgente di vita. In tale
atto il nostro scultore lo ha immaginato: le palme sono accostate al
petto e le dita, raccolte in senso verticale, raggiungerebbero il mento
se il capo fosse meno in alto proteso, gli occhi sono largamente aperti,
non spalancati in contemplazione, e pure aperta è la bocca; da
tutto l'insieme risulta l'atto religioso dell'essere umano, dell'umanità
intera, che attende e riceve, al nascere della luce, la grazia dell'esistenza.
La realizzazione dell'Asco non è nostalgia del passato, non astrazione
storicistica e tanto meno puro giuoco di stile, bensì un'aspirazione
mattutinamente ottimista al bene, che gli dei saranno per concedere
nel maturarsi del giorno, realizzazione ottenuta dall'artista con fede
giovanile e profonda venerazione dell'Arte professata e diletta, come
se risentisse echeggiare la solenne definizione di quel suo sacerdote:
"Scultore è colui che fa vivere" - "la statua è un'immagine
vivente".
Ebbi l'occasione di visitare
lo scultore al suo ricetto un po' appartato nel vicolo laterale d'una
grande arteria cittadina.
Con persone di buona volontà
bastano poche parole per intenderci ed in modo particolare con Asco.
Non che si accontenti di accennare, di abbozzare. E' notevole anzi nel
suo discorso la precisione dei contorni. Ama i punti fermi: ma ciò
che gli serve a delineare l'idea è, come nelle statue, il modo.
La scultura è quell'arte che meno di tutte lascia il campo aperto
alla fantasia, perché, astrazione fatta del bassorilievo, chiede
d'essere mirata da ogni lato. Non dà niente da indovinare, non
c'è lavoro per quella specie di collaboratore che è il
pubblico. Non consiglia e non suggerisce, insegna e s'impone: le tre
dimensioni la confinano in limiti precisi. Dipingi la statua e avrai
oltrepassato i limiti della scultura, snaturandola.
Franco Asco conosce la specie
di responsabilità che scaturisce dalla sua arte, e che impone
una sintesi purificata, una sincerità assoluta, una continua
presenza di se stesso, per non lasciarsi cogliere dalla pigrizia dell'approssimativo.
Di tale coscienza sono primo
documento i ritratti, nei quali vanno riscontrati due momenti. Quello
che è volto alla riproduzione dell'imagine di una persona e quello
che intende rappresentare l'imagine di tipi psicologici e sociali o
di razza. Del primo momento, è fra gli altri ammirevole il busto
"Mia Madre" già esposto alla Mostra Commemorativa della
Biennale veneziana, opera d'un nobile realismo affettuoso, vivo, palpitante,
del secondo non possiamo dimenticare le sintesi intuitive dell'Ipocrita
e del Commediante.
Nulla di ricercato, di decadente
in questa multiforme attività, bensì calmo e sano vigore.
Vuole il corpo del "Crocefisso" quasi atletico, non quello di un malato;
vi conserva il vigore giovanile di Colui che non presentava certo un
gracile aspetto quando, solo, scacciava dal tempio i profanatori a sacrosanti
colpi di frusta. L'Asco non crede che dal volto divino possa manifestarsi
un dolore fisico e in ciò mi sembra discorde dal senso di quel
mistero per cui la divinità, incarnandosi, si è voluta
rendere partecipe delle piú atroci sofferenze umane; comunque
tal pensiero è altra prova d'una delicata spiritualità.
Spiritualità, non astrazione.
L'insieme dell'opera di Franco Asco ci appare come il prodotto di una
miniera ricca di piú metalli, disposti secondo i loro propri
filoni, che si intrecciano senza confondersi. Il minatore mette alla
luce con generosa fatica questi molteplici elementi: quale sia il piú
prezioso forse ancora non sa, oppure, siccome lo pensiamo, egli è
intento a scavare sempre piú in fondo, coll'ansia di raggiungere
quello, che, come in un rabdomantico presentimento, rende misteriose
vibrazioni al suo spirito investigatore.
ALDO PALATINI - Perseo,
1 ottobre 1937
Le nuove opere d'arte nei
Cimiteri milanesi
...Vi sono sculture che vogliono
subito essere segnalate come emergenti, per complessità di struttura,
perizia di tecnica, nobiltà di concezione. Si dirà dunque
da principio del gruppo in bronzo raffigurante la "Deposizione",
dello scultore Franco Asco (tomba Borrani Carlo). E' una poderosa concezione
che riceve vita da un fatto plastico e compositivo potente e complesso:
masse agitate da un interno dinamismo, sorrette da un mesto e tragico
canto di umanità, che tocca per il suo linguaggio acuto e penetrante,
detto in formule di una modernità equilibrata in cui echeggia
viva la coscienza della tradizione. Si tratta, oltre a tutto, di un'opera
in cui i valori di umanità si esaltano per virtu' di pensiero
e di concetto. Anche per questa ragione la segnaliamo opponendola alle
troppe opere vacue e inconsistenti.
DINO BONARDI - Il
Secolo (La Sera) - Milano, novembre 1938?
Franco Asco
E' un triestino: classe 1903.
Quando si affronta la scultura, a 36 anni si è giovani: perché
la scultura vuole un lungo tirocinio tecnico anche manuale, e impone
una sintesi di valori formali e spirituali insieme, a cui non si arriva
che tardi.
Perciò Franco Asco ci
pare uno di quegli artisti che promettono molto, ma che hanno già
mantenuto molto: e meritano d'essere seguiti e messi in luce.
Dalla scuola d'arte di Trieste,
dove ha cominciato a rivelarsi mentre ancora lottava con l'inesperienza
e gli impulsi disordinati d'un temperamento in formazione, egli è
stato mandato, dalla Città stessa, all'Accademia di Vienna, a
compirvi gli studi. S'era nel 1918; ed egli aveva 15 anni. Ma, appena
finita la guerra mondiale e apertesi le frontiere, è fuggito
da Vienna e si è iscritto all'Accademia di Venezia. Il suo carattere
indomabile lo ha vinto un'altra volta: ed egli ha peregrinato da Roma
a Firenze e di nuovo a Venezia, " accumulando fame su fame e sogni su
sogni ". Alfine è ritornato alla sua città, dove ha trascorso
dieci anni, in lotte e prove, in scatti di energia e di fantasia creatrice,
e disillusioni e sofferenze: " amarissima esperienza! "
A un certo punto ha sentito,
come tanti altri artisti, il richiamo di questa mirabile Milano che
ha un cuore e una mano pronti ad accogliere chiunque abbia una sua parola
da dire, una sua azione da compiere, anche e meglio se idealistiche,
pur che basate su qualche cosa di attuabile e di fattivo.
A Milano ha forse raggiunto la
piena coscienza dei suoi mezzi e dei suoi intenti.
Ha esposto, spesso come invitato,
a molte Internazionali, e ha vinto, in mostre e concorsi, - com'egli
dice sorridendo melanconicamente - " molte medaglie ". Il Museo Revoltella
di Trieste, e i musei di Venezia, Roma e Milano possiedono ciascuno
una sua opera.
L'arte di Franco Asco mira, spiritualmente
alla espressione, attraverso la definizione del tipo umano; tecnicamente
alla vibrazione e al palpito, non solo della forma, ma anche della luce,
attraverso una modellazione che associ alla struttura solida e profonda,
liquidità di piani e delicatezza di chiaroscuri e renda la superficie
quasi immersa nell'atmosfera e imbevuta d'ombra o di splendore.
Nella ricerca dei tipi umani
lo scultore non si vale astutamente delle note caricaturali, che portano
con più facilità a definire e sottolineare i caratteri,
sebbene a tutta prima possa sembrare. Lo nega la delicatissima figura
di Jia Ruskaya Borelli,
in cui la forza del ritratto emana da lineamenti armoniosi e da piani
modellati con morbidità e fluidità, e l'energia e l'originalità
sono espresse dalla fermezza della bocca, pur così delicata,
e dal taglio è dallo sguardo dei due occhi, sotto gli archi sopraccigliari
vibranti. Ma lo conferma la "Testa di donna", così gentile
e fiera, così passionale e casta, con quella mossa di falchetto
del collo, con quel profilo sottile e fremente, con quel mirabile sguardo
intenso e penetrante: scultura che fa pensare a certe teste di Desiderio
e di Duccio, e che certo alle più aristocratiche espressioni
scultoree del Quattrocento si ispira e si avvicina. Ma la Venere "Anadiomene"
non è meno musicale: classicità rivissuta con temperamento
moderno. Nudità che sa di mare e sa di custodia di cristallo:
carne che rabbrividisce, come al vento marino, e marmo che sembra già
trasformato in avorio dal sole. In Franco Asco si direbbe che combattano
due tendenze: una a un realismo che lo seduce a precisare la forma come
la vede nella sua verità materiale e spirituale; l'altra a un'idealismo
che lo spinge a sconfinare dalla forma singolare per arrivare alla conquista
del tipo; e a volte la vita e il simbolo si congiungono nella sua scultura,
ma in modo che se ne potrebbe segnare la linea di saldatura.
Come in "Maternità",
dove la testa della donna non si è liberata totalmente dal suo
carattere di ritratto, mentre tutta la figura, nella perfezione di un
modellato che pare tendere all'astrattezza, raggiunge il suo fine, che
è di cantare il poema universale della Madre.
Notevoli in questo senso sono
i due ritratti "Busto della
Madre" e "Commediante".
Nella cera c'è una conquista minuziosa della realtà che
solo l'impostazione grandiosa delle moli salva dal cadere nel trito,
e se ne esprime tuttavia un carattere umano pieno di sincerità
e di forza pacata. Nel "Commediante"
i piani larghi, il modellato più sintetico, non liberano la figura
da un soggiogamento alla realtà, ma rivelano la ricerca di una
più profonda verità umana che si esprime in un'amarezza
dolorosa e sdegnata.
Caricaturali si direbbero più
facilmente le due maschere del "Ebreo"
e del "Monaco Buddista".
Ma quanto sforzo di sintetizzare e di semplificare per raggiungere l'essenziale
in tutte e due le teste: basterebbe nel "Ebreo"
la piega sinistra del labbro, e nel "Monaco
Buddista" il socchiudersi dell'occhio che ha persino evidente
l'umidore della palpebra.
Ché certo all'Asco non
manca la conoscenza e il possesso di nessun mistero della plastica e
delle reazioni e dei riflessi del marmo, ch'egli lavora con la finitezza
ch'era l'intimo ideale del Wildt e come il Wildt porta a una luminosità
che quasi lo smaterializza.
Che cosa egli possa fare come
compositore, e quando si dimentica del particolare per giungere a larghe
e potenti sintesi, lo dice il gruppo funerario "La
deposizione".
La figura dell'uomo in piedi,
che è evidentemente un autoritratto (? ndr), rimane un po' impigliata
nel realismo più deciso; ma quale mirabile larghezza nella figura
della Donna che nella semplicità del saio rivela il nudo semplice
e potente, e nel gesto che accarezza e quasi vorrebbe raddolcire col
balsamo il piede ferito come fosse ancora vivo, esprime l'amore e l'angoscia:
e che nobiltà e che vigore nella figura del Cristo, pezzo di
scultura anatomicamente severo, e verità animata da un pathos
profondo.
Alla semplicità, alla
sintesi, alla intensità interiore, senza eccessi di forma, Franco
Asco deve continuare a tendere con tutte le sue forze: e sopra tutto
alla trasfigurazione della realtà, che è forse il più
alto fine dell'arte: la quale deve essere, sì, vera, ma della
superiore verità delle cose e delle creature sognate.
L'Eroica - Milano, settembre/ottobre
1939
Artisti Giuliani alla XXII
Biennale
... Tutti sanno che alla massima
mostra italiana si arriva o per invito o per concorso. ... E veniamo
agli artisti vincitori dei vari concorsi. Franco Asco ebbe accolta una
statua marmorea : "Anadiomene". Come il soggetto mitologico e simbolico
invitava, lo scultore dà alla figura muliebre un carattere essenzialmente
decorativo; forme belle di generica bellezza, corretta eleganza di linee:
l'autore non s'era proposto di piú.
REMIGIO MARINI -
La Porta Orientale - Trieste, n. 1/2 gennaio-febbraio 1941
Hotel Esplanada
- Sao Paulo, Brasile (1947)
Quasi alla chetichella, come
un qualsiasi "Uomo qualunque" (la politica qui non c'entra) Franco Asco,
scultore, è venuto da poco fra noi, e senza strombazzamenti,
con quella alacrità calma e pensosa, che deve essere nella sua
natura, ha allestito una mostra personale in uno dei saloni dell'Hotel
Esplanada.
Dopo le sue eccezionali doti
d'artista, questa silenziosa signorilità deve costituire senza
dubbio uno dei suoi pregi personali.
Non è il caso di nascondere
che, da questo nostro lato dell'Atlantico, il suo nome è noto
solo a coloro che si potrebbero chiamare gli iniziati dell'arte: eppure,
anche un profano capirebbe a prima vista, come attorno al suo nome ed
alle sue opere egli avrebbe ben ragione di suscitare i piú alti
richiami.
Evidentemente però, Franco
Asco deve ispirarsi a quel principio filosofico cinese secondo il quale,
anche sperduta a fior di sabbia nel deserto, la pagliuzza d'oro deve
presto o tardi richiamare l'attenzione di qualcuno.
Oggi che Franco Asco ha aperto
la sua esposizione, ecco che i critici, gli intenditori, gli amatori
sentono il richiamo dell'ammirazione che si desta attorno a lui, visitano
la sua mostra, si fermano dinanzi ad ogni sua opera e sentono di dover
confermare il senso ammirativo che è stato a loro comunicato.
Non staremo a dire che Franco
Asco ha una sua "spiccata personalità", che è un artista
maturo o che un grande scultore: non occorrono per lui le frasi fatte
né la ricerca di elogi piú o meno nuovi.
Franco Asco è uno scultore
ed un artista nel senso piú serio, piú ampio, piú
completo, del termine. C'è nelle sue opere una misura che non
trascende, una linea che non è la ripetizione o la copia di altre
scuole, e soprattutto c'è un acuto senso interpretativo espresso
senza sforzo e senza artifizi pure nella freddezza del marmo o del bronzo.
E c'è anche una certa
ecletticità di stile, che dimostra le capacità e la coscienza
dell'artista.
Eccolo gentile e un po' lezioso
nella "Vergine saggia",
vigoroso nella testa di "Don
Chisciotte", profondo e possente nella "Sonata
a Kreuzer", dolcissimo in "Maternità",
arguto e leggermente spavaldo nella "Saccente
inappellabile": così in tutte le sue opere.
Franco Asco è italiano,
triestino di nascita, ha studiato con maestri famosi, ma soprattutto
ha studiato e studia con se stesso.
Studia costantemente.
-Studiare- ci dice -è
per me, arte, in quanto produrre-. Studio dove mi trovo, senza preferenze
di ambiente o di soggetto: poi affronto il blocco di marmo; qualche
volta non sono soddisfatto del mio lavoro, allora non amo correggere,
rifare o, come si dice, "riparare", distruggo.
Franco Asco ci parla ancora della
sua arte: è venuto in Brasile, andrà poi in Argentina,
per conoscere il nuovo mondo e per farsi meglio conoscere; ma non ha
programmi immediati.
A Milano ha lasciato il suo studio,
al quale tornerà un giorno: non sa però quando e per quale
via.
Anche in questa sua vena di vagamondo
c'è il riflesso della sua arte (o viceversa) un riflesso appena
sentito, contenuto in quella linea di silenziosa signorilità
e di misura, che è una delle espressioni del suo elevatissimo
senso estetico.
Ecco, direi appunto che Franco
Asco, oltre che scultore e artista è prima ancora, un acuto pensatore
e un raffinato esteta.
GINO RESTELLI - Fanfulla
(San Paolo) Venerdì 5 Dicembre 1947
Franco Asco-Atschko
No Esplanada Hotel o notavel
escultor Triestino Franco Asco expõe dezoito trabalhos em bronze,
prata, marmore e cera. Trata-se de uma mostra rara, dado o valor do
estatuario, cujo nome, aliás, já é consagrado entre
os artistas da atual geração de escultores do velho mundo.
A arte de Asco é profundamente
aristocratica si a esta palavra dermos o seu justo sentido de refinamento.
Seus trabalhos são dos que melhor figurariam nos salões
de gosto requintado pela natural força decorativa que deles decorre,
não por um mero jogo substancialmente docorativo mas pela resultante
extremamente harmoniosa das suas linhas e pelo sofrido amor do acabamento.
Sem se filiar a Wildt, o admiravel escultor italiano, as peças
que Asco expõe não deixam de lembrar o carinho que o mestre
peninsular tinha pelas criações fortemente estilizadas
dentro de um espirito de certa eloquencia. E' que tambem esta escultura
é eminentemente figurativa, o que a transforma numa linguagem
plastica de imediata compreensão e, como alguns dos trabalhos,
como "Sonata a Kreutzer",
"Asceta", "Saccente
inappellabile", são intencionalmente representativos
de um ato humano, nutrem-se de eloquencia. Essa eloquencia, proposital,
salta da capacidade do artista em exprimir-se através do marmore.
Dizemos isso porquanto, quando Franco Asco quer permanecer discreto,
puramente escultor, limpamente plastico, consegue-o vitoriosamente como
o demonstra em "Retrato de minha mãe", para nós
talvez a mais sensivel e a mais bela realização escultorica
da brilhante mostra.
No "Fragmento da cabeça
de Cristo", trecho escultoreo de poderosa sensibilidade, de gosto
remotamente bizantino e lembrando as tragicas criações
de Mestrovich, o mestre que em dada época tanto influiu no nosso
Brecheret, pode-se bem notar a funda sensibilidade e a delicada técnica
do artista.
A exposição que
jà has dias está aberta no Hotel Esplanada tem sido muito
visitada por artistas e pessoas da nossa sociedade e ainda continuará
aberta por alguns dias. Temos certeza de que nossos colecionadores de
arte muito se interessarão por esse brilhante escultor cujo exito
de critica e de publico vem sendo completo.
? - A Gazeta - São
Paulo, 9 de Dezembro de 1947
Artes plasticas - Exposição
do escultor Franco Asco
Se em pintura não nos
tem faltado exposições de artistas estrangeiros, sobretudo
de italianos e franceses, o mesmo não acontece em escultura.
Raros são os escultores que nos visitam Desta vez porem temos
um escultor em São Paulo com os seus trabalhos expostos no Salão
do Esplanada Hotel. Trata-se de um artista triestino - Franco Asco-Atschko.
Pelos dezoito trabalhos em marmore
e bronze de sua exposição, podemos ver que se trata de
um artista de valor.
Tanto nas suas realizações
classicas como "Retrato de minha mãe" e "São
Francisco", quanto nas moderanas como "Maternidade"
e "Virgine Saggia", Asco se apresenta como um escultor equilibrado.
O seu estilo e disciplinado forte,
com linhas puras no classicismo de suas cabeças realistas e com
linhas estilizadas nas composições liricas, sem contudo
chegar à deformação. Com esta ultima maneira, Asco
consegue realizar justas proporções, equilibrios e ritmos
com os quais desperta no nosso espirito um sentimento de absoluta serenidade.
Na sua maneira clasica trata
com precisão minuciosa as figuras e com abundancia de observação
e de nitidez os detalhes, o que torna com isso as cenas evocadas em
suas composições de uma extrema exatidão.
Isto mostra que Asco e um artista
que possui uma tecnica escultorica segura e uma sensibilidade apurada
em seus vôos liricos.
OSORIO CESAR - Folha da Noite - São
Paulo, 12 de Dezembro de 1947
Seconda Mostra
Giuliana d'Arte Sacra - Galleria d'Arte 'Trieste' (Novembre 1948)
Le sculture alla Mostra
d'Arte Sacra
... Mirando le sculture dell'Asco
immaginai un'abside ornata nella sua parte inferiore dagli apostoli
seduti in semicerchio intorno alla santa mensa. Suggestiva la scena!
Questo suo stile tagliente, levigatissimo, lucido e tanto chiaro nel
candor del marmo, è atto a tradurre in forma precisa e chiara
sentimenti puri. La sua Pulzella d'Orleans, allucinata, rapita in estasi,
è uno dei pezzi indimenticabili della mostra. ...
CESARE SOFIANOPULO
- Messaggero Veneto - 26 novembre 1948
La Mostra d'Arte Sacra
alla Galleria "Trieste"
...Non è sempre il caso
di artisti che operino senza una meta immediata e si lascino trascinare
quindi dall'incanto della fantasia, dalla purezza del sogno. E' avvenuto
così per Franco Asco, che si è trovato nella possibilità
di cedere alla volontà di amici desiderosi della sua partecipazione,
perché stava bozzettando una grande sua composizione serrata
nel dramma dell'Ultima Cena e affidata alla difficoltà della
sola espressione facciale nel susseguirsi dei busti. Riportò
allora nella definitività del marmo la fredda venalità
di "Giuda", con impressionante
eloquenza del piú indovinato degli atteggiamenti di smorfia calcolatrice
nella rudezza del tipo. Con tranquilla sicurezza si rincorrono su quel
volto plasticamente i piani tra giuochi fieri di cavità e di
sporgenze. E da alcune fotografie esposte dei gessi degli altri personaggi,
quali finora sono apparsi nella concezione sua, l'opera promette di
essere una singolare orchestrazione, capace per numero e per altezza
artistica di rappresentare tutto lo scultore.
SILVIO BUTTERI -
Vita Nuova - Trieste, 27 novembre 1948
...Per quest'oggi solo ad una
ristretta cerchia di artisti dirò il mio pensiero, e citerò
per primo lo scultore Asco. Il suo "Giuda
Iscariota" l'ho già incontrato, sta in mezzo al gruppo
dei "Borghesi di Caleis" del Rodin, mentre la sua tecnica si rivolge
al "Prigione" di Adolf Wildt. Nulla di mostruoso per ciò. Se
il nostro scultore ricorre arditamente ad un espressionismo con una
modellazione che incidentalmente si avvicina a quella di un altro il
suo spirito sta lì, trasparisce da quel viso di fuoco del suo
genio, quella mascella disorientante, quell'arcata dello zigomo necessaria
e quel movimento mimico della sarcastica bocca del suo "Giuda"
ce lo significa. Lo sa Asco il perché di quello sferoide irregolare
che è l'occhio del suo torvo personaggio, in quella alterazione
esso trova l'espressione tragica di colui che seppe tradire Cristo.
L'effetto psicologico di questa espressione mimoplastica del sentimento
che ho incontrato nella scultura di questo nostro artista mi consiglia
a trattarlo con rispetto...
PING. (Giovanni Pinguentini?)
- Il Lavoro - Trieste, 28 novembre 1948
Arte Sacra alla Mostra
Giuliana
...Franco Asco signoreggia all
Mostra con alcune teste di apostoli di raffinata e potente modellatura
sia nella lavorazione del marmo, sia nel ritratto antropologico dei
tipi. L'artista ha deciso di comporre tutti i personaggi della "Cena"
col Cristo nel mezzo. L'ispirazione ha seguito una certa documentazione
che Asco ha ricavato dalle sobrie e rare descrizioni che degli apostoli
si trovano nel Vangelo e nelle agiografie.
Opera meditata con sensibilità
e concetto moderni, perciò ricca di interno travaglio e interessante
nella particolare individuazione marmorea dei personaggi tra i quali
è qui esposto in marmo Giuda
il traditore scavato dall'interno rovello. E poi c'è di Asco
una testa di Giovanna
d'Arco giovinetta, che spalanca lo sguardo rapito nella visione
divina...
? - Il Giornale di
Trieste - 28 novembre 1948
Spiritualità religiosa
nella traduzione coloristica - Asco
Uno dei lavori che piú
impressionano per l'acuta rappresentazione psicologica raggiunta da
un'opera d'arte è il "Giuda"
dello scultore Asco. Se l'artista nella stupenda rievocazione realistico-spirituale
della "Pulzella d'Orleans"
riesce a spogliare l'immagine del suo peso materiale per raggiungere
con a semplicità e la purezza della linea una figura prettamente
spirituale nel suo rapimento ascetico, così nel labbro inferiore
del "Giuda" raccoglie
con un intuitivo tocco tutto il dramma assillante dell'incredulità,
del tradimento, propri al personaggio così potentemente rievocato.
Le rughe della fronte, le rughe del viso segnano un commento a quel
ghigno della bocca che è il centro dell'espressione. Anche qui
disegno, volumi e forma sono al servizio di un'arte spirituale perché
superando la loro natura d'espressione umana raggiungono quell'ideale
spirituale, sia per rappresentare una forma di bene o qualche aspetto
di male, come concepita nell'animo dell'artista. Anche Asco, nella sua
evoluzione artistica, raggiunge, come Wild, un culmine nel quale la
pietra diventa un mezzo di espressione di quella semplicità lineare
che solo una grande arte riesce a rappresentare.
? - Vita Nuova -
Trieste, 4 dicembre 1948
Galleria d'Arte
- Trieste (Dicembre 1949)
Polemica con le statue
- Una Mostra artistica di eccezionale interesse a Trieste
Sta per essere inaugurata nella
nostra città una Mostra d'arte di assoluta eccezione e che solleverà
enorme interesse: lo scultore triestino Franco Asco, dopo oltre un decennio
di silenziose meditazioni, si ripresenta alla ribalta pubblica con un
complesso di lavori ispirati tutti al travaglio artistico dell'ora presente.
Egli narra, cioè, con le sue sculture, una specie di viaggio autobiografico
tra l'antico e il nuovo, l'arte gloriosa di ieri e quella incerta e
discutibile di oggi, con continui raffronti tra le due scuole o le due
tendenze. Le sue sculture hanno un vivace carattere polemico - polemica
nobile, svolta tutta in fede artistica - in quanto di continuo pongono
un confronto fra le due maniere, quella classica di intendere la forma,
e quella che insegue le farfalle surrealistiche o metafisiche o freudiane
sotto l'arco di un gloriosissimo passato.
La nobiltà dell'assunto e l'alto
valore delle opere presentate pongono la Mostra di Franco Asco - che
nella nostra città avrà la prima tappa in attesa di spostarsi nei maggiori
centri della Penisola - al di sopra di ogni discussione critica per
essere anzitutto un avvenimento artistico di prim'ordine, per cui è
da attendersi un vivo successo di curiosità. La Mostra si terrà alla
Galleria Trieste, in viale Venti Settembre.
? - Il Lunedì
- Trieste, 19 dicembre 1949
Questa o quella?
Una delle due è una fiorente
donna, l'altra...
Per carità, acqua in bocca;
ciascuno risponda come se la sente. Ma poiché sul tranquillo
orizzonte della locale vita artistica stanno per comparire quei due
personaggi, con un plotone di altre statue, e vengono tutti a Trieste
7per iniziare una specie di viaggio polemico attraverso le altre città
italiane, conviene al cronista segnalare l'avvenimento così pieno
di singolarità. Se, poi, nel corso del viaggio incontreranno
fiori o verdura, applausi o fischi, sarà cronaca di domani.
Quelle due figure, a modo loro
spavalde l'una e l'altra, dicono a prima vista di che si tratta: la
signora Arte (per dirla pirandellianamente) uno e due. Ed è chiaro
che, accostandole, l'autore ha preso una nettissima posizione polemica,
anche se ha l'aria di mettersi in un angolo, in attesa che qualcuno
pronunci un giudizio, non tanto sulla sua opera quanto sull'assunto
che l'ha impegnato; parli se gli piace quella o quell'altra, quale delle
due strade è la giusta. L'autore, in sostanza, non risolve il
problema; lo espone. Anche se col dente avvelenato.
Ma non è tutta qui la
ragione di tanto lavoro. Lo scultore triestino Franco Asco ha inteso
di tradurre in forme plastiche un suo episodio autobiografico, e narrare
il suo tormento di artista. Elio Predonzani, nel presentare con accento
lirico l'eccezionale esposizione, conclude col dire che l'artista uscirà
da questa prova "vincitore o distrutto". Difatti egli si butta nel quadrato
con tutte le sue forze, pronto ad affrontare il combattimento sino alle
estreme conseguenze, cada uno o cada l'altro, purché vinca la
Bellezza. E' un indubbio atto di coraggio umano oltre che di lealtà
artistica; ed è forse, nel suo campo, una cosa nuova e ardita.
Da alcuni decenni il triestino
Franco Asco vive e opera a Milano. Non ha falsi pudori, nella sua confessione:
"Ho vissuto di mestiere". Si. Ha fatto tante belle statue (proprio
così, come le volevano: "belle") per ginecei e cimiteri, seguendo
con il pollice le curve delle matrone lombarde e degli zeri scritti
sugli assegni. Poi ha sentito la nausea del "mestiere" e si è
fermato "in un'oasi di ripensamento". Dice: "Avevo bisogno di umiliarmi,
di imparare cioè a ripresentarmi umile, quando un giorno vi fossi
ritornato". Sennonché, quando riaperse gli occhi, e riprese
contatto col mondo artistico, gli parve di avere disparato a parlare.
Trovò in giro un nuovo alfabeto, a lui incomprensibile. Gli parve
di essere un muto, da non potersi intendere nemmeno a gesti con gli
altri. Nel suo autoritratto, battezzato "Risveglio", egli contempla
attonito, perplesso, addolorato il nuovo mondo artistico: gli pare di
guardare il caos. Gli sale alle labbra una parola: "squilibrio". Ma
come poter comunicare col mondo, con gli altri? Dice: "Io non posso
tramutare in parole sulla carta la dialettica del mio spirito; non so
scrivere". Infine s'accorge di possedere un alfabeto da utilizzare:
l'alfabeto della plastica. E riprende a modellare; e, fatalmente, a
polemizzare, a lottare; ed entra, come scrive il suo biografo, in quel
quadrato dal quale uscirà "vincitore o distrutto".
Sarà compito, domani,
dei nostri critici, di pronunciare un giudizio; e francamente, non invidiamo
il loro mestiere. E' facile prevedere un interesse straordinario a questa
Mostra straordinaria, con scambio di bordate polemiche di grosso calibro,
tra scoppiettanti girandole di entusiasmi, inni di esultanza e cachinni,
sdilinquimenti e spandimenti di bile. Davanti al gruppo delle "Tre grazie"
-la figura centrale di una purezza classica, le altre due tagliate con
la scure novecentista, uno sguardo onirico negli occhi anatomicamente
incerti- si svolgeranno sicuramente scaramucce polemiche, chissà,
battibecchi tra i visitatori.
Il sapiente tenterà di
sedare gli eccitati gridando dignitosamente che "se ogni bellezza è
verità, ogni verità non è necessariamente bellezza";
e che "per raggiungere la suprema bellezza è altrettanto essenziale
allontanarsi dalla natura quanto riprodurla". Forse un altro gli risponderà
subito che "la bellezza fa parte dell'esperienza umana, è un
fatto palpabile e inequivocabile". Un terzo potrà appellarsi
a Rousseau, per ripetere che l'arte non è una descrizione o una
traduzione del mondo empirico, ma uno sfogo per sentimenti e le passioni,
e un vecchio maestro butterà sul rogo delle discussioni il leonardesco
"saper vedere", e la nobildonna che ha nel salotto due "biscuit", concluderà
col dire che "l'astratto intellettualismo è una parodia dell'arte".
E, non visto da nessuno, forse qualche studente, aggiornato piú
degli altri, incollerà a una parete il ritaglio dell'ultima scanzonata
lettera di Giorgio De Chirico a un giornale romano, nel quale il famoso
pittore afferma che "quella brutta strega che chiamasi arte moderna
si mette a letto, gravemente ammalata, per tirare, speriamo al piú
presto possibile, le raggrinzite cuoia". (Se questo è vero, lo
scultore triestino le sta preparando un funeralone di prima classe,
con cavalli impennacchiati e fanali accesi).
Noi andiamo molto piú
lontano, addirittura sino a Eraclito: il quale disse che il sole è
nuovo ogni giorno; il sole dell'artista, non quello dello scienziato.
Che nel cielo nuvoloso e pieno di folgori dell'arte d'oggi appaia un
improvviso raggio di sole -anche d'un sole lontano e solitario, forse
incamminato su un'ellittica ancora misteriosa perché non registrata
nei quaderni ufficiali- è un messaggio da accogliere con speranza
di naufraghi smarriti nell'immensità dell'indifferenza quotidiana,
quali tutti noi ci possiamo spesso sentire.
UGOSAR - Il Giornale
di Trieste, 21 dicembre 1949
Strano ritorno all'arte
dello Scultore F. Asco
Forse nelle sale della Galleria
Trieste in viale XX Settembre scoppierà in breve la scintilla
della rivoluzione contro l'arte moderna e Franco Asco diverrà
un suo Robespierre: gli effetti dell'atomica, che lo scultore triestino
ha plasmato con febbrile ansia nel tempo di sei mesi, per ora non si
possono misurare, ma essi potrebbero anche sconvolgere gran parte del
mondo, ecco perché di questo eccezionale avvenimento artistico
- che in fondo niente altro è che una mostra di scultura - prima
che il critico, si deve occupare il cronista.
Sì potente materia ritenuta
disgregatrice è contenuta attualmente in un limitatissimo numero
di copie d'un bellissimo catalogo, fatto stampare a proprie spese dallo
stesso scultore, che s'intitola "Un episodio autobiografico di Franco
Asco tradotto in forme plastiche", e nella lunga prefazione (tecnicamente
un'intervista) scritta da Elio Predonzani, oltre che - ben s'intende
- nelle circa quaranta opere in terracotta, gesso, bronzo e marmo esposte
da domani nella suddetta galleria.
Per spiegare chiaramente anche
ai piú profani quale sia lo scopo che l'artista si prefigge,
e per non incorrere in errori di valutazione, in argomento così
delicato convien pedestremente seguire l'intervista del Predonzani;
ma prima di farlo, da coscienziosi cronisti, vogliamo descrivere un
significativo episodio accaduto pochi giorni or sono, quando la mostra
era ancora in allestimento. Il leggiadro marmo delle "Tre grazie" (secondo
episodio autobiografico di Franco Asco), esposto nella vetrina della
galleria, richiamò nell'ora del massimo passaggio l'attenzione
di molte persone, e, fra queste, l'attenzione di un anziano e distinto
signore, che improvvisamente entrò in galleria ed entusiasticamente
fece sapere di essere stato, forse venti, forse trent'anni fa, uno dei
primi a riconoscere in Asco un sicuro artista. In seguito - disse -
ne smarrì le tracce, e ora lo ritrovava "meraviglioso" in quel
"trittico esistenzialista", ed era un uomo serio e di rispettabile età.
Disperato equivoco.
Dire che in queste sculture di
Franco Asco ci sia, non dico ispirazione, ma anche una sola traccia
o segno o incisione di scalpello esistenzialista, è come dire
che i caratteri coi quali sono state composte le colonne del giornale
che avete sott'occhio non sono fatti di piombo, ma di ceralacca. Non
esiste dunque piú nessuno che sia capace di comprendere l'arte,
che nell'arte sappia distinguere il genuino dal falso, che dell'arte
conosca le fondamentali virtù?
Queste domande, che per piú
di dieci anni hanno tormentato Franco Asco e alle quali egli non seppe
o non volle dare una precisa e coraggiosa risposta, determinarono praticamente
nella scorsa estate in lui la "crisi", che si è poi risolta,
attraverso una semestrale sofferenza creativa, nella sconcertante e
tuttavia affascinante opera dell'artista "rinato".
C'è però un fatto.
Quel pretenzioso signore che definì Asco "esistenzialista", non
fu il solo a perderne le tracce in un lontano (per la vita di un uomo)
passato. Lo scultore, che dal suo esordio nell'arte trasse bensì
notevoli soddisfazioni e riconoscimenti, a un certo punto fu moralmente
sopraffatto dall'incalzante "progressismo" e gli cedette il passo. Non
partecipò pi' a mostre, e si ritirò a lavorare per conto
proprio o per "commissione" a Milano, e qui divenne in breve proprietario
di un magnifico studio, donde uscirono alcuni dei piú lodati
monumenti funebri del Monumentale e di Musocco, e decine e decine di
busti e di teste e di bronzi e di marmi, cristi in croce e angeli con
le ali raccolte o spiegate. Via i monumenti funebri, dove sono ora tutte
queste opere?
In parte sono proprietà
private di ricchi milanesi (ma qualcuna si trova anche a Trieste), in
parte sono emigrate perfino in America, recate dallo stesso autore quando,
circa due anni fa, vi andò dopo aver venduto lo studio per pagarsi
il viaggio. Asco, in America, cominciò a vendere i suoi marmi
nel momento stesso in cui dovette disimballarli alla dogana. Avrebbero
voluto che rimanesse laggiù, a scolpire e a insegnare, ma egli
preferì ritornare, come infatti ritornò, senza che abbia
potuto riavere uno studio come prima della partenza: il suo "episodio
autobiografico" antimodernista - come tutte le altre sue opere recenti
- lo concepì in una stanza del suo appartamento. Ora Franco Asco,
che ebbe la forza di dire di no ai costanti inviti della Biennale, si
ripresenta d'improvviso al pubblico e riaffronta la critica, con che
cosa? Con un'atomica, come abbiamo detto all'inizio, distruttrice? Scusate,
non è vero. Polemico e peraltro remissivo, combattivo e tuttavia
umile, deciso e comunque disposto al compromesso, viene a dire nella
sua diciassettesima - se non erriamo - pagina: "Pace in terra agli uomini
di buona volontà". Presunzione - in questo tempo dell'anno -
l'apostolico e prelatizio piú che artistico appello? Lo dica
l'opinione pubblica, alla quale solamente egli si rivolge.
E' vero che chiunque s'adatti
a lavorare per sè o su commissione, non fa piú dell'arte,
ma soltanto un mestiere? Può darsi. Asco questo ha fatto, per
tre lustri o giù di lì, e ora, dopo la lunga digressione,
rientra nella corrente, ma dalla foce, e dio solo sa quanta forza dovrà
avere nelle braccia per restare a galla.
Il tormento dell'artista, descritto
nelle quindici pagine di prefazione dal Predonzani, è liricamente,
epperò efficacemente trasfigurato, mentre qui noi lo si vorrebbe
volgarizzare, renderlo quasi tangibile al lettore: in parole povere,
ad Asco è successo come spesso succede a tutti noi, quando ci
troviamo davanti a una pittura o una scultura "moderne" e - poco o niente
comprendendo - ci domandiamo: "Ma cosa significa? Che cosa rappresenta?
Che cosa vuol dire?" Finora, a una domanda simile, veniva risposto:
"Questo martello rappresenta il ritratto del signor X, come l'artista
se lo è raffigurato al momento dell'ispirazione. Vuol dire che
il pittore, nel suo "io" lo vedeva così, e se lei non riesce
a identificarne la personalità, significa che non capisce niente
dell'arte moderna". Insomma: o fingere di capire e di estasiarsi, dire
ch'è bello anche ciò che ripugna, oppure ammettere con
disinvoltura la propria ignoranza.
Asco, dopo essersi rifiutato
di accettare una simile imposizione, con una definizione misurata all'eccesso,
per non irritare, dice che si tratta semplicemente d'uno "squilibrio"
dell'arte, Non appena, però, pronunciata questa parola, gli par
già di sentir dire: "Ce lo dimostri, questo squilibrio!" Non
possiede il dono della dialettica, che è facoltà o potenza
di discutere, e ne prova sconforto, ma poi un improvviso soffio lo rianima:
"Darò in creta la prova piú evidente di questo squilibrio",
e i suoi pollici cominciano immediatamente a modellare le immagini della
mente.
E' inutile e soprattutto impossibile
tradurre qui in parole piú o meno efficaci il linguaggio plastico
dello scultore, figura per figura, opera per opera, i cui pregi e difetti
artistici altresì bisognerà in un secondo tempo esaminare
da chi se la sentirà, senza reticenze. Giova invece - crediamo
- riassumere molto brevemente e nel modo piú chiaro possibile
il "filo conduttore", come usa il linguaggio rivistaiolo, dell'episodio
autobiografico descritto da Asco nelle sue figurazioni. Eccolo, in sintesi.
C'è un uomo che si risveglia,
e, si guarda intorno; vede l'arte moderna di "sinistra" e quella di
"destra", e le raffigura nello schema del Calvario: Le Tre...Grazie,
quella "classica" in mezzo, le altre due una per ciascun lato, come
i due ladroni, e lascia un barlume di speranza, il ravvedimento. Ma
il ravvedimento presuppone che non si abbia Orrore del vero,
come invece lo ha chi concepisce Un nuovo vero, che Asco traduce
e simbolizza in una figura scimmiesca sbozzata "a posteriori". E' già
caduto in piena polemica, e ne dà riprova dapprima con una Nascita
di Venere, che sotto la scorza nasconde, forse, la verità;
quindi con Pomona e Flora, che è un ibrido accostamento,
ma nello stesso tempo la dimostrazione forse piú riuscita dello
"squilibrio" che forma la sua tesi. Eccoci alla personificazione dello
"squilibrio": nasce Sorgente...di vita, una madre disumana, dalle
cui poppe succhia linfa vitale un bambino; da essa nutrito, che diverrà?
Un ebete, L'erede che "sarà molto se ci saprà dire
frasi come questa: voglio la guerra, perché mio padre la volle".
Questo si tenta di imporci, e questo bisogna evitare. Perciò
Asco ammonisce con La vendetta della Gorgona, che sovverte il
mito di Perseo, facendo soccombere costui alla terribile Medusa. Due
"passaggi" sono L'incubo del surrealismo e Ritmi, e poi
nuova inesorabile caduta nella polemica: come ottenere in arte un picassiano
"bambino con granchio"? Semplice: basta Un pugno dello scultore
che, abbattuto sul capo d'un bimbo normale, lo deformi senza pietà.
Asco si riprende, e torna agli accostamenti; li sorvoliamo per sorprenderlo
nell'ieratica invocazione del ritorno alla ragione, che attraverso altri
riecheggiamenti, si riafferma nel Incontro mistico fra Santa Caterina
da Siena e San Francesco d'Assisi, dove "all'ombra della croce si
sono incontrati i due poli della bontà umana".
I nostri posteri che cosa diranno
quando fra tremila anni dissotterreranno un Vaso del 1949? E
come raffigurare la smania degli "arrivismi" se non con un Ascesa
al Parnaso, dove ciascuno tenta di calpestare il prossimo, e il
primo in cima calpesta tutti? Ma infine un po' d'ottimismo con La
bella e la bestia: la grazia soggiogherà pur sempre la forza
bruta. Per queste "eresie", pensa ora Asco, ormai prossimo alla fine
del suo incontro, sarò io crocefisso? Forse sì, ma "mi
si piegherà, non mi si spezzerà", risponde il povero cristo
fatto segno agli strali nemici.
Avete capito qualche cosa? Non
è facile, senza l'aiuto e la guida delle figure. Insomma Asco,
con questa sua originale "sterzata", è l'idealizzazione del signor
Piscitello del film "Anni difficili", là dove questi domanda
ai grigi antifascisti del retrofarmacia: "Queste idee, mi pare che vadano
bene, ma perché non si gridano in mezzo alle piazze?". Cioè
Asco si è messo a gridare, e vedremo quello che succederà.
Perché per gridare ha
scelto proprio Trieste? Oh, bella! Perché è triestino.
Ma la mostra non morirà qui: andrà subito dopo (forse
già in febbraio) a Milano, poi a Roma e poi avanti. Non siamo
forse in regime di libertà?
VLADIMIRO LISIANI
- Le Ultime Notizie - Trieste, 21 dicembre 1949
Una polemica condotta attraverso
la scultura
Oggi alla "Galleria Trieste"
di Viale XX Settembre, uno scultore molto conosciuto anche nella nostra
città, Franco Asco, apre una Mostra che per la sua originalità
e arditezza non mancherà di destare la piú viva eco non
soltanto negli ambienti artistici locali, ma anche nel grosso pubblico
solitamente estraneo a tali manifestazioni.
Franco Asco, scultore che sinora
ha espresso la sua arte soltanto attraverso la piú pura linea
classica, completamente astraendosi da ogni "modo" moderno, ha voluto
cimentarsi con la scultura espressionista e cubista: è stato
il suo un travaglio profondamente sofferto, dal quale l'artista è
uscito sconvolto, senza trovare una strada nuova che lo soddisfacesse.
Frutto di questo travaglio, la mostra che si inaugura alla "Galleria
Trieste": una serie di sculture in cui i vari stili si confondono, si
intersecano in un viluppo ibrido che lascia scosso e stupefatto il visitatore.
Piú che una mostra d'arte è forse una polemica espressa
anziché con parole, con scultore: anche il profano non mancherà
d'esserne interessato.
Una mostra che, comunque, desterà
vivo scalpore, non soltanto nel ristretto ambiente cittadino. Questa
"mostra polemica", Asco intende condurla attraverso l'Italia: aver scelto
quale prima tappa Trieste è senza dubbio un omaggio al gusto
ed alla sensibilità artistica dei triestini.
? - Messaggero Veneto
- 21 dicembre 1949
Arte e polemica
E' possibile all'artista - pittore,
scultore, architetto - fare della polemica senza mutare i pennelli,
il mazzuolo o il compasso per la penna del polemista?
In un certo senso ciò
è possibile. Ma vi è una specie di polemica che assolutamente
non patisce di essere tradotta in linguaggio plastico ed è quella
di chi voglia impegnarsi in una sorta di "reductio ad absurdum" relativa
a quelle tendenze e a quel linguaggio ch'egli intende combattere. Anche
se accanto alla figura N. 1 "così fa Tizio" (ed è brutto)
si trovi la figura N. 2 che corregga: "così faccio io" (ed è
bello). E' logico che, finché le due figure restino in questi
termini, una sarà sempre e fatalmente brutta: qualora facciano
gruppo, i valori negativi dell'una non potranno annullare i valori positivi
dell'altra. In verità, nessuna opera d'arte che sia realizzata,
può insieme servirsi di un determinato linguaggio e combattere
nello stesso tempo una battaglia contro quel linguaggio medesimo. Perché
"affermare e negare" - potremmo dire parafrasando un noto verso di Dante
- "insiem non puossi, per la contraddizion che nol consente". E allora,
una manifestazione di questo genere è destinata in partenza a
fallire o sul piano della polemica o sul piano dell'arte.
La Mostra di Franco Asco che
si è aperta ieri nei locali della Galleria Trieste, vuol essere
indubbiamente nell'intenzione prima del suo autore, una mostra polemica.
Ciò non di meno, a nostro avviso, tale polemica fallisce; vedremo
qui di seguito quali possano essere i valori genuini che, sempre a nostro
avviso, la salvano sul piano dell'espressione. Ma vediamo prima di che
si tratta.
Asco è uno scultore non
piú giovanissimo, che da giovanissimo ha avuto a Trieste il suo
quarto d'ora di gloria. Si è quindi trasferito a Milano dove,
per sedici anni, ha "fatto il mestiere", restando in un certo senso
assente dal grande rivolgimento che, nelle arti figurative, si andava
compiendo attorno a lui. Fermo su posizioni che si possono ricollegare
al romanticismo seriore dell'inizio del secolo. Ciò sia sempre
inteso come riferimento estremamente lato. (Come artiere, come artigiano
del marmo e del bronzo, le qualità di Franco Asco restano fuori
discussione). A un certo punto l'uomo Asco ha aperto gli occhi e si
è guardato in giro ed ha veduto che non intendeva piú
quanto avveniva intorno a lui. Ha accumulato in breve tempo un'esperienza
delle forme figurative piú estremistiche visitando mostre e musei,
sfogliando cataloghi e pubblicazioni. Gli parve di trovarsi dinanzi
a un colossale sovvertimento di valori, a un fondamentale squilibrio.
Ne è rimasto confuso, ossessionato. Risultato: il materiale che
oggi si espone, "Un episodio autobiografico di Franco Asco tradotto
in forma plastica", come dice il titolo del sontuoso catalogo con prefazione
di Elio Predonzani, uscito per l'occasione. Un avvenimento spirituale,
potremmo dir noi: un ciclo che deve essere considerato nel suo complesso,
perché chiude entro termini certi un unico racconto.
"Risveglio": un autoritratto
espressionistico del modellato tendente al pittorico apre la serie.
Sul viso attonito dello scultore è dipinta l'angoscia. lo sgomento
dell'uomo che inizia il suo viaggio nel mondo delle esperienze antiaccademiche,
anticlassiche, disumane del nostro secolo. Seguono composizioni e gruppi
dove l'incontro, la frizione fra le due diverse concezioni esprimono
l'angoscia, il senso nostalgico dell'artista innamorato della "bellezza"
intesa in senso classico di fronte al culto del "brutto" che pare essere
uno dei fattori dominanti nell'arte del nostro secolo. La "grazia" classica
è crocifissa tra due sagome che riecheggiano moduli espressionistici
e cubisti; un putto di fattura classicista succhia il latte da una balia
foggiata sulla "Maternità" di Moore, un cavalluccio di Marino
Marini è impegnato in un muto colloquio con un corsiero mestroviciano,
che inarca le reni rinculando di fronte alla sconcertante apparizione.
E' così di seguito via,
via "La vendetta della Gorgona", "L'incubo del surrealismo",
"La bella e la bestia" segnano le tappe del viaggio fortunoso.
Indi un momento di riposo: "Incontro mistico" fra Santa Caterina
da Siena e San Francesco di Assisi, bozzetto per rilievo di forbita
stilizzazione. Ecco ancora "Vaso" e "L'ascesa al Parnaso",
dove le forme ossessionanti che all'artista parve di leggere in ogni
manifestazione della plastica modernissima, si compongono in un conglomerato
di corpi che, per il suo senso di "orrore del vuoto", pare ricollegarsi
per misteriose vie, ai "Giudizi Universali" delle cattedrali di Francia.
Il viaggio è concluso da un nobile autoritratto che si ricollega
all'autoritratto di apertura, ed esprime non piú lo stupore,
ma il senso di stanchezza, di vuoto, di disorientamento, che le esperienze
violentemente hanno determinato nel mistico pellegrino. La mostra è
completata da alcuni pezzi di egregia fattura che risalgono al periodo
immediatamente precedente.
Ma torniamo alla serie dell'episodio
autobiografico: di che si tratta alla fine? Una caricatura dell'arte
modernistica di puro interesse contingente e che si nega da sè
come espressione d'arte ("vedete come sono brutte queste sculture; se
voglio so farne anch'io di così, ma non ne vale la pena")? Una
magari non prevista ma reale accettazione dei linguaggi dei singoli
e diversi autori di cui in un primo tempo l'intenzione, tradita in fase
di esecuzione, era di fare la parodia? Né l'una né l'altra
cosa a nostro avviso. Perché ciò che Asco ha in realtà
espresso non è questo o quel nudo astratto o concreto, questa
o quella figura classica o cubisticizata: ma l'incontro di due mondi
eterogenei che non si comprendono. E' nel valore nostalgico dell'innamorato
della "bellezza" classistica che si duole, ma non senza una punta di
sopraggiunto compiacimento sadistico, del dramma che ha spezzato il
filo di una tradizione di bellezza e di grazia, sta il solo modo di
esser poesia di questo gruppo di sculture. E poiché tali sculture
costituiscono, alla fine, un racconto e, per esprimere questo racconto,
Asco si è servito non delle forme del linguaggio accademico,
ma di un linguaggio che punta alla suggestione del subconscio attraverso
l'eterogeneità delle forme, vuol dire che Asco sta, bene o male,
sul piano medesimo dei surrealisti. Non sappiamo quanto egli persisterà
per questa strada, né quale traccia questo esperimento potrà
lasciare sulla sua opera futura. Ma è certo che questa manifestazione
genuinamente surrealistica non può combattere una genuina battaglia
in nome del "passatismo" contro il "modernismo". Semmai, partito dal
"racconto" e pervenuto al surrealismo, potrà, incontratosi a
mezza via con i surrealisti, che partiti dall'assoluta negazione del
soggetto di Dada, hanno reintrodotto il soggetto in arte per la porta
di servizio, ed ora annacquano via via il loro vino in un'arte "fantastica"
di piú larga accezione, potrà, dicevo, inserirsi in un
modo o nell'altro in quel movimento a largo raggio verso una maggiore
ricerca di umanità nell'arte moderna, auspicata in questi ultimi
anni in Francia e altrove, con una certa insistenza da parte di diverse
sfere della critica figurativa.
La mostra di Asco susciterà,
immaginiamo, calorosi consensi e "superbi disdegni". Ingiustificati
a nostro avviso gli uni e gli altri, perché partenti ambedue
dal falso presupposto che tale rassegna non sia intessuta che di volgari
caricature. Interpretazione che piú che a ogni altro dovrebbe
rincrescere all'artista stesso. Ma che, ne siamo convinti, non coglie
nel segno, perché in Asco ci sono vivi e ricchi fermenti spirituali,
che gli permettono di giungere ad "esprimersi" anche attraverso le vie
piú impensate, anche in mezzo a scivolate, a squilibri, a contraddizioni.
DECIO GIOSEFFI - Giornale
di Trieste - 22 dicembre 1949
La ribellione di Franco Asco
C'è un gran subbuglio
in questi giorni tra i filistei locali dell'arte e della critica: un
ribelle si è messo a fare da Sansone scrollando le colonne del
loro tempio di menzogne, e, se esso non è crollato - poiché
i templi di menzogne sono piú resistenti di quel che si crederebbe
- pur tuttavia non è piú possibile celarne le incrinature
che ha subìto. Mi riferisco alla Mostra di scultura di Franco
Asco, che quindici anni fa si è ritirato timido dalla mischia
delle competizioni artistiche - assai meno nobile ormai di quel che
si crederebbe - e che oggi vi torna beffardo, perché se allora
disdegnò i volgari e brutali metodi da "rugby" che s'erano sostituiti
alla purezza della classica gara olimpionica, nel frattempo ha trovato
il modo di affrontare a battagli senza abdicare la sua dignità.
E la affronta da par suo, con
il vigore che gli viene dalla consapevolezza della giusta causa per
cui si batte. Poiché la sua è soprattutto una battaglia
morale, verte piú sul contenuto che sulla forma, e quei filistei
che, nella polemica che s'è accesa con questa Mostra, vorranno
fare soprattutto una questione di forme e di stili, lo faranno per il
consueto opportunismo, per evitare nella sfida l'arma della verità,
che li annichilisce, ed usare invece quella dell'arzigogolo, in cui
sono maestri.
Ma quella di Franco Asco è
una sfida morale, ed è inutile tentare di sfuggirvi, bisogna
affrontarla. Devono affrontarla artisti e critici, ed è perciò
che noi prendiamo così nettamente posizione. Devono affrontarla
gli artisti, non a chiacchiere, ma producendo - se ne sono capaci -
cose migliori di lui, ed i critici non dicendo al solito fra le righe
qualcosa che sia e non sia consenso o opposizione, ma dicendo in tutte
lettere il loro giudizio.
Che cosa ci presenta in sostanza
l'Asco in questa sua mostra? Tante cose. In buona parte è polemica.
Combatte le false drammaticità, le assurde ricerche formali,
gli eccessi di deformazione nell'esasperazione espressionistica. Ai
sadisti o masochisti che vi indugiano egli dice chiaramente, mettendoli
alla gogna, quanto ripugnanti siano le loro esperienze. Abbiamo allora
opere che volutamente imitano, caricaturandoli, codesti stili, codesta
inconsistenza di contenuto, evasione dal reale, finzione. A volte è
invece il risultato di un'esperienza che anche lui ha tentato nella
sua pur sana ricerca. E allora il contenuto c'è, e vi corrisponde
in gran parte la forma, ma è come se l'artista, nel suo procedere
quasi a tentoni, stesse per imboccare una delle false strade, e s'accorgesse
in tempo dove mena. Egli allora marca appena appena, salvando il buono,
l'elemento erroneo di quel tentativo, non lo deride ma solo ne sorride
e passa oltre.
E poi ci sono le opere non demolitrici
ma costruttive. Ché se gli sfidati volessero intrattenerci solo
sulla satira, respingendola o prendendola con relativa disinvoltura,
sarebbe un'altra volta uno scantonare, un evitare lo scoglio. Perché
quella di Asco non è solo una condanna, né solo denuncia,
e se, poste la tesi e l'antitesi, non è forse posta anche una
sintesi definitiva, è però indicata la via, siamo già
sull'anello superiore nella spirale dello sviluppo.
Asco nega validità a certe
esperienze, specie se fatte come da tanti nell'intento di truffare il
prossimo. Ma non si limita a negare. E che cosa allora afferma? Che
dev'esserci un contenuto, ch'esso dev'essere morale, che dev'esserci
unità e proporzione e adeguatezza tra contenuto e forma, che
non è arte dove non siano insieme e il vero e il bello e l'umano.
E se il vero fa soffrire, si accetti la sofferenza.
Guardate la rappresentazione
del "Incubo del surrealismo". Un mostro abbranca per il dorso
una donna, e sono intorno tutte le sovrapposizioni usate dai surrealisti.
Ma quel volto - splendido di bellezza, di amore e di dolore - non ha
da stare così riverso, imprigionato per i capelli all'orrido
che gli sta sotto e dietro, ha da essere liberato, su quella bocca amara
ha da tornare il sorriso.
E tornerà. Tornerà
nell'arte perché c'è ancora chi crede nell'umano e la
vincerà sui filistei dell'arte. Come tornerà nella società
e nelle vita - delle cui aberrazioni e delle cui conquiste l'arte non
è che riflesso - perché c'è chi crede e lotta,
e la vincerà sui filistei della vita
MARIO PACOR - L'Unità
(ed. Italia settentrionale), 25 dicembre 1949
La Mostra polemica di Franco Asco
A sommuovere le placide acque
del nostro mondo artistico, sempre saporosamente provinciale, sono giunte
le piú recenti opere plastiche di Franco Asco che alla sua città
natale ha voluto riservare l'onore di giudicare per prima le sue nuove
fatiche, rappresentanti per lui ed un'esperienza ed una confessione
e che da Trieste si trasferiranno ben presto nelle maggiori città
italiane. Ma forse a torto s'è voluto dare a tale mostra un assordante
accompagnamento di squilli bellicosi e di puntate velenosamente polemiche,
perché, se talora la nota caustica e volutamente caricaturale
fa capolino in certi bozzetti, il piú dei lavori esposti riflettono
essenzialmente l'intimità di un dialogo tra un animo aristocratico,
ansioso di bellezza e di verità e la vita stessa che lo vorrebbe
piú facile, piú aperto ai richiami del tempo e del gusto,
in una parola piú ossequiante ai vari "ismi" che attualmente
folleggiano e imperano. L'Asco, negli anni della sua felice e serena
giovinezza, ci ha dato tra l'altro, una "Flora", un marmo palpitante
di vita e di fierezza dove c'era unicamente la volontà di esaltare
e di ridare in forme eterne, il fulgore superbo d'un bel volto femminile.
V'era quindi nello scultore semplicità e purezza d'intenti ma
sappiamo purtroppo che tale semplicità e tale purezza suggerivano
e suggeriscono tuttora ai malevoli e agli incompetenti boriosi certe
parole, che la superficialità della cultura odierna condanna,
come "accademia", "visione retrograda" e via di seguito ed è
naturale quindi che il nostro abbandonasse quella ch'egli riteneva la
strada della vera arte per darsi a un cosiddetto "mestiere", all'arte
commerciale, all'arte cioè dettata ed uniformata alla volontà
dei committenti. Da ciò crediamo, nasca la vera e propria polemica
interiore dello scultore, egli cioè pretese e pretende, con concetti
tipici dell'esasperato romanticismo romantico che l'arte mestiere, condizionata
a desideri particolari, sia arte ibrida, falsa e disonesta, dimenticando
così che i piú grandi artisti di tutti i secoli si sottoespor
con piena umiltà a simili costruzioni, non rinnegando mai il
loro credo, anzi facendo scaturire dalla proficua collaborazione con
i loro simili, opere d'imperitura bellezza. L'Asco invece dalla sua
fatica commercializzata, che gli diede però successi e riconoscimenti
non dimenticabili, volle ritirarsi con un senso di disgusto e di ripugnanza,
fatto che è tendenziosamente messo in evidenza anche nella tipica
presentazione dettata da Elio Predonzani per il catalogo della mostra
attuale. Volle ritirarsi perché credette di aver vilipeso e venduto
la sua onestà ed il suo credo di artista. Il desiderio germinato
in lui di spiegare e chiarire a se stesso, desiderio, che egli, a torto
ritenne un risveglio e una ribellione cosciente, lo portò naturalmente
ad osservare ed a studiare con piú maturato interesse le ricerche,
le ansie, le deviazioni della plastica moderna. Vide intorno a sè
un mondo ibrido, confuso, in cui l'universale veniva a patti con il
piú smaccato soggettivismo, vide che l'individuo era soprattutto
portato ad un'affermazione del suo "io" che faceva risaltare piú
il bestiale che il divino della natura umana. Ed ecco quindi la polemica
interiore, quella muta, ansiosa domanda, che l'Asco fa a se stesso e
che non è ribellione o decisa volontà di abbattere i falsi
idoli e di tuonare contro i canoni dell'arte moderna: "Sono stato io
un disonesto ed un ipocrita quando facevo dell'arte mestiere, quando
cioè m'adattavo alla volontà altrui o non piuttosto, a
differenza di tanti cosiddetti puri ero io nel vero, perché credevo
e crederò sempre alla bellezza, alla trasfigurazione nell'ideale?"
E' stato codesto per lo scultore un atto di sincerità, di umiltà,
di fede che non può essere non sentito ed ammirato da tutti gli
onesti, un atto che per noi è tanto piú efficace perché
s'è risolto in una lunga serie di opere plastiche che ripercorrono
idealmente le tappe di tale tormento e che sono riuscite, crediamo,
ad avvalorare nell'animo dell'autore la coscienza del suo valore e della
sua onestà. Attraverso il travaglio d'un istante d'una vita d'artista,
travaglio che si materializza nella sinteticità della forma plastica
possiamo ripercorrere tutta la lancinante sofferenza d'un dubbio: da
un attonito "Risveglio", efficace stilizzazione della propria
personalità umana, alla tormentosa ricerca d'un bello conculcato,
ignorato travisato da intellettualismi o da concezioni demoniache, al
tentativo di accostamenti amorosi a determinate visioni artistiche (vedi
"La nascita di Venere" e "La madre"), al deciso rifiuto
di elementi repellenti e di giudizi partigiani e astiosi, alla ricerca
d'un equilibrio spirituale dato da una profonda adesione al sentimento
religioso - ed ecco l'incontro mistico tra i due santi -, al finale
deciso convincimento che, nella incondizionata adesione al bello e nel
tormento d'una ricerca indefessa v'è l'unica verità dell'arte.
(Siamo così giunti al secondo autoritratto ed al rilievo che
indica la decisa volontà di accettare ogni sofferenza per il
trionfo del proprio ideale).
La polemica interiore s'è
risolta così, a tutto vantaggio d'un aristocratico sentire d'artista,
che ha voluto umilmente lumeggiare la sua crisi e le sue incertezze,
perciò è inutile nelle sue opere ricercare la frecciata
irriverente contro un Moore, un Marini, un Picasso, un Mascherini od
altri, com'è inutile voler scientemente contrapporre in ogni
sua opera, per puro gusto polemico, il bello al brutto, l'ideale dell'Asco
a forme da lui non intese, perché l'Asco, con le sue ricerche
di movimenti controllati nella loro violenza espressiva, con il suo
gusto per la stilizzazione, con il suo amore per il particolare, con
la sua arcaicità che vorrebbe temperare una genuina sfrenatezza
d'immaginazione, è presente sempre (esempio evidentissimo la
sua "Sorgente di vita" in cui la madre ha una impostazione che
è ben cara al nostro).
Certamente la valutazione che
si può dare di quest'ultimo momento dell'arte dell'Asco è
profondamente influenzata dalla passionalità e dall'impeto d'una
confessione che tanto può togliere alla serenità d'una
visione plastica. V'è nell'artista tendenzialmente forte la ricerca
d'un freno inibitore, d'un freno che può troppo assomigliare
ad una maniera, ad uno stile faticato e che può valersi tanto
di accostamenti parziali ai modi espressivi d'un Mestrovic o d'un Wildt,
quanto di una ricercata servitù al materiale trattato.
Il tono, il modo con cui s'esprime
l'Asco è decisamente quello monumentale ad ampio e talora enfatico
respiro, ma in esso si può trovare sempre anche molta poesia
e molta concisione (si veda il ritratto della madre ed il frammento
bronzeo del Cristo distrutto in un bombardamento) e sono doti che ci
ricordano uno scultore umano ed efficacissimo.
M.P. - Il Corriere
di Trieste - 27 dicembre 1949
L'arte e il popolo
Bisogna veramente dire che l'arte
moderna è andata un po' troppo alla ricerca dell'originalità.
E ricerca l'originalità oggi, ricercala domani; ed affaticati
ad essere sempre piú originali - originali per partito preso
- in modo tale da vincere di molte spanne l'ultimo espositore (proprio
come fanno certe donne, quando vogliono con la moda far parlare di sè
oscurando le loro compagne), s'è arrivati ad un punto in cui
chi s'orienta è bravo. Certuni dicono che certe forme d'arte
moderna non le capisce nessuno, e chi dice di capirle le capisce quanto,
o forse meno, degli altri, ma solamente vuol passare per molto intelligente
e dotto. Già, perché passa per intelligente e dotto chi
assicura di capire ciò che gli altri non capiscono. Il nostro
prossimo è spesso molto buono e semplice, tanto da credere al
primo che asserisce di saper decifrare i geroglifici. Li conosce lui,
il buon prossimo, i geroglifici? No. Quindi non può controllare
se il presunto decifratore sappia realmente decifrarli o meno. Però
a lungo andare questo gioco stanca.
Nel campo dell'arte si sono stancati
anche gli artisti, almeno alcuni di essi. Ed oggi, uno di essi, uno
scultore, entra in polemica contro tutti i tendenzialismi moderni. E'
Franco Asco che, dopo essersi appartato per anni ed anni onde poter
sfuggire la ridda degli "ismi" artistici, ad un tratto si risveglia,
ed osserva a che punto è giunta l'arte moderna. Le sue osservazioni
sono accostamenti fra le interpretazioni moderne e l'interpretazione
sua, che è nutrita di tradizione nostra, classica, italica, cristiana
se volete, come fondamentalmente è cristiano tutto quanto è
italiano. E da questi accostamenti risalta quanto la modernità
spinta ha fatto. C'è l'orrore del vero, ci dice una scultura,
ed il vero bisogna perciò, per certi modernisti, camuffarlo,
cominciando dal volto umano: due orride figure abbrutiscono perciò
una bellezza classica.
Tutta una polemica la serie delle
sculture che l'Asco ci presenta nella sua mostra, aperta in questi giorni
a Trieste, ma che passerà in seguito per le principali città
italiane le quali già stanno risentendo l'eco dello scalpore
destato dal nostro artista a Trieste, ché l'interesse da lui
destato non s'è fermato alla stampa locale. Tutta una polemica,
tradotta in forme plastiche, riassunta in un gruppo di sei figure rappresentanti
le varie correnti moderne che si torcono inorridite e decretano il pollice
verso alla bellezza classica.
Ma con ciò - si chiederà
qualcuno - l'artista si ferma? Polemica vana, sterile, e nulla piú?
No, la polemica ha trovato la
sua risoluzione nell'artista che, dopo le varie esperienze rientra in
sè. Non è detto che proprio nulla egli abbia accolto delle
varie esperienze attuali dell'arte. Ma ha saputo dominare, non essere
dominato dalle esperienze attuali. Ed il bello trionfa. Trova la sua
espressione in una visione della Sacra Cena di cui presenteremo qualche
figura. E son figure che sostanzialmente ci dicono che l'equilibrio
artistico come quello morale si può effettivamente trovare anche
in questa nostra epoca che sa di degenerazione per troppi suoi aspetti.
E risolvono un problema che era vivo in noi, che era vivo nel nostro
popolo tutto, incapace ormai di seguire i funambolismi dell'arte moderna,
che talora perfino dei nostri santi, nelle nostre chiese, aveva fatto
delle caricature.
"La guerra contro la generazione
artistica dei nostri tempi è iniziata", ha detto qualcuno.
"Ecco uno che ha finalmente iniziato
una campagna che s'imponeva", ha detto, con termini militari, il generale
Airey, comandante angloamericano del Territorio di Trieste.
L'assenso del vescovo di Trieste,
Mons. Santin, è venuto infine a confortare l'Asco nella sua buona
battaglia. Battaglia che s'è iniziata a Trieste e, come abbiamo
già detto, con non poco scalpore. Battaglia che sarà continuata
- ed anche questo l'abbiamo detto - nelle altre città italiane,
dove la mostra sarà trasportata. Ma battaglia che, a parer nostro,
sarà pure continuata all'estero. E sarà battaglia del
genio italiano, del senso di equilibrio, del senso del bello che è
una caratteristica dei popoli mediterranei e. forse, primo fra tutti,
del popolo italiano.
G.G. - Azione Sociale
(Settimanale dei lavoratori cristiani) - dicembre 1949
Franco Asco, lo scultore
polemista
Che cosa vuole questo uomo? Fu
un fanciullo prodigio. Ebbe fortuna. Non a lungo, ma la ebbe: ed anche
guadagni e onori. Fece delle cose meravigliose per un giovane della
sua età. Poi lasciò Trieste. Si recò a Milano,
circa vent'anni fa. E si chiuse in se stesso: forse punto già
dalla amarezza del mondo che lo aveva illuso e deluso sconcertandolo.
Capì che con gli uomini la lotta può assumere aspetti
paurosi. Lavorò per vivere. Il lavoro per campare talvolta è
molto duro. Adattarsi è vittoria; ma, a quale costo.
Sofferse anche lui, e pochi lo
sanno fino a qual punto. Modellò, scolpì per oltre tre
lustri, senza troppo preoccuparsi di ciò che accadeva intorno
a lui. Perché gli mancava anche il tempo, ed i suoi intimi consigli
non erano per molti motivi ancora sufficientemente maturi.
Ma il tumulto nel campo dell'arte,
lo scosse, lo fece fremere, lo assillò a tal segno da rendergli
impossibile piú l'attesa. Ruppe la stecconata che s'era costruita
in giro, per poter operare a calma. Rivisse mondi in fiamme, spasimò,
si violentò il cuore, pianse, si disperò, si torturò.
L'arte, nel mondo impazziva e faceva impazzire. Poteva lui, che sentiva
nel sangue il monito della plasticazione costruttiva, del modellare
assoluto e vibrante di vita effervescente nell'alveo del normale sia
pur dinamico e vuoi pure violento; poteva lui rimaner ancora chiuso
nel guscio scaglioso rizzato per fruire giorno per giorno del pane che
usciva dalla sanguinosa fatica? Poteva rimaner ancora avvinghiato ad
un campo che diventava galera? Con le mostruosità sfocianti balenando
dai subfondali di certi sedicenti artisti, torpidi seguaci di aberranti
lottatori che pur racchiudevano geniali risorse anche se infernali,
che tra le turbe urlavano i loro prodotti?
No. Giunto al colmo della tolleranza;
evocate dalle lontane e vicinissime sorgenti l'energia e l'audacia,
scolpì una serie di raffronti tra l'orrido e l'umano, tra l'assurdo
frodare e l'onesto e sincero procedere; tra lo sconvolgente sovvertimento
degli innumerevoli valori che i secoli non bastano ad elencare e che
il genio latino lanciò alle genti del mondo, e le orrende fratture
prodotte da un'ondata di sarcastici e roboanti conquistatori che con
la potenza dell'organizzazione calcolata fino all'atomo, vollero dominare
il fronte delle arti. Dominare qui, dove Leonardo e Michelangelo, Tiziano
ed il Veronese, Canova e Tiepolo e mille altri gridano: "Fermatevi forsennati,
di qui non si passa!".
Ecco, ciò che le sculture
poiché sono innegabilmente sculture - esposte alla Galleria Trieste
vogliono gridare in faccia a tutti.
E' questa polemica? Sì:
polemica, che urterà, che non piacerà a piú d'uno.
Polemica forte, volitiva, audacissima.
Ma, non farà male. Farà
riflettere, ripensare, qualunque sia l'atteggiamento dei singoli. E
qualche cosa potrà uscirne.
? - Vita Nuova -
31 dicembre 1949
Franco Asco
Gran parlare fassi nella nobile
città di Trieste della (sensazionale!) mostra dello scultore concittadino
Franco Asco, il quale dipartitosi da Milano ove risiede, qui se ne venne
con il fermo proposito di spezzare una lancia contro l'arte moderna
in nome del "bello" e del "classico" ed è effettivamente riuscito a
spezzarne una, ma a favore della piu' sconfinata libertà, anzi licenza,
nelle arti figurative e, semmai, del surrealismo e di ogni altra forma
di espressione anticlassica e antiaccademica. Volle infatti l'Asco raccontarci
un episodio autobiografico tradotto in termini plastici. Il racconto
si riferisce ad una sua violenta ingozzatura di arte estremistica e
della conseguente indigestione, nausea, disgusto ecc. Ma di quale linguaggio
plastico Franco Asco si è servito per la sua storia? Non certo di quello
del fregio del Partenone, ma di un'ibrida commistione o compresenza
di forme classicheggianti e "modernistiche", sia pure inizialmente concepite
con intenzioni parodistiche. Narra Franco Asco come smarritosi nel mezzo
di cammin di nostra vita nella selva oscura delle correnti plastiche
novecentesche si sia imbattuto nelle tre fiere astrattismo, espressionismo,
surrealismo; da esse oppresso ed ossessionato, mentre anelava in cuor
suo alla grazia santificante della Beatrice ottocentesca. Poiché tale
racconto, espresso con tali forme, è bene o male efficace, resta provato
che la scultura può servire ad esprimere non solo ciò che, timidi, timidi
astrattisti e cubisti vogliono farle esprimere, ma anche le piu' strane
avventure spirituali, interpretandone gli stati d'animo relativi per
mezzo della piu' sfrenata libertà nella scelta delle forme. E questo
si chiama essere surrealisti. Anzi piu' surrealisti del re.
Si vocifera pertanto che i circoli
artistici di avanguardia della nobilissima città e del territorio intendano
esternare nelle forme piu' appropriate e in modo tangibile i sensi della
loro gratitudine e della loro solidarietà a un artista che ha così validamente
contribuito a dimostrare la validità non già, ma la legittimità delle
loro posizioni. E la malafede? Dice: ma Asco quando ha rifatto Pablo
Picasso o Marini li ha rifatti in malafede per far vedere di che lacrime
grondino e di che sangue e che le loro sculture erano brutte ed era
facile rifarle. Già, ma quando intende far rabbrividire un nudino da
ninnolo all'abbraccio di due fantasmi di troppo contrastanti nature
era sincero, no? O almeno nel raccontarci il suo disgusto per l'arte
"modernistica" era o non era in buona fede? E il suo contributo d'artista
sta proprio in questa narrazione. Nella quale però i mostri del surrealismo
e la composizione per linee e volumi astrattamente considerati e la
"deformazione" il "cubismo" e molti altri ismi sono così strettamente
commisti che per liberarcene ci sarà mestieri chiamare lo stregone maggiore.
Perché gli spettri non amano essere disturbati per ischerzo: "die ich
rief die Gester werd ich nun nicht los".
? - La Cittadella
- Trieste, 1949
La discussa Mostra dello
scultore Asco
Come nel campo del pensiero,
della letteratura e del teatro le angosce esistenzialiste, il rifiuto
di solidarizzare con il resto dell'umanità, la lotta contro il
razionale per l'irrazionale, un'amara ironia su se stessi e così
via caratterizzano l'androne in cui per forza di cose è venuta
a cacciarsi la cultura borghese nel suo estremo declino, così
nella musica abbiamo la cacofonia e nelle arti figurative le varie brutture
che vanno dall'espressionismo al surrealismo, dal cubismo all'astrattismo.
Franco Asco è uno scultore
a un tempo forte e delicato, dotato come pochi di capacità plastiche,
espressive e decorative. E alla sua sensibilità ripugnano le
brutture del modernismo, specie quelle di coloro che non vi esprimono
il loro genio la loro anima farisea. E' innamorato della bellezza classica,
che però è ormai cosa del passato. E pensa che l'arte
debba avere bellezza nella forma, verità e umanità nel
contenuto.
Tutto questo egli cerca di fare,
e in gran parte ci riesce, nella seconda serie di opere della sua mostra,
in cui sono i suoi tentativi di soluzione del problema dell'arte. La
prima serie è invece una satira spietata del modernismo: figure
espressioniste, surrealiste, cubiste, ecc. caricaturate per mostrarne
tutto il brutto e il disumano che contengono e perché pubblico
e artisti e critici si dedicano a considerarle esperimenti superati
e ad auspicare qualcosa di piú sano, di meno mostruoso.
Non parte l'Asco dai nostri presupposti
sociali ed estetici (ma concezione dialettica del mondo e classista
della società, da cui provenga un'arte essenzialmente popolare
e sociale), né può quindi giungere alle nostre conclusioni.
Ma la sua è comunque una critica a ciò che anche la nostra
ideologia respinge, e la sua via è quella di un realismo che,
se non è ancora e forse non sarà mai il nostro, è
pure sempre un genere di realismo.
ARIM - Il Lavoratore
(organo del Partito Comunista del territorio libero di Trieste) - 2
gennaio 1950
Conoscete lo scultore Franco
Asco ?
La mostra di questi giorni alla
Galleria d'Arte a Trieste è il documento piú significativo
di quella crisi della cultura dell'Arte Figurativa che travaglia il
nostro Continente. Questa ci sembra un ammonimento che dovrebbe essere
inteso da tutti gli onesti ma che certamente non potrà venire
compreso dagli inetti.
Ha fatto bene l'artista a presentare
fra le altre opere anche la sua crocefissione. Questa ci testimonia
che lo scultore è conscio di quale sia la forza della coalizione
dei lestofanti dell'arte e ci fa comprendere come lui non possa aspettarsi
altra fine che quella pronosticatasi nell'alto rilievo.
Pretendere di fare fallire coloro
che proteggono per i loro fini reconditi quella banda di scultori falliti
che sono in gran parte quelli di quest'ultima generazione, di far rimangiare
a certi critici d'arte tutte le corbellerie dette e scritte per anni
ed anni e di costringere certi altri a spostarsi da quella mangiatoia
dove i menamestoli dell'arte gettano loro ogni tanto qualche manciata
di spiccioli detratti dai milioni che i nostri governanti così
sconsideratamente versano nelle loro mani per organizzare le grandi
manifestazioni d'arte nella Penisola, sembra ad Asco cosa impossibile.
E' conscio della lotta che sta
per intraprendere, ma non può piú far tacere la propria
anima. Essa si ribella all'ipocrisia di quelli che la vilipendono ed
a tanta miseria egli risponde con il cuore ponendo l'arte al di spora
della propria persona, sacrificando i propri interessi materiali per
poter giovare anche con un solo atto alle nuove generazioni.
Ed è piú per questo
che ha creato le opere di questa mostra e si è deciso ad esporre.
Ma non lo avesse mai fatto perché ora tutta la cittadinanza sente
gracchiare i ranocchi dell'Arte locale e se ne sente di belle sul suo
conto: per esempio corre voce che Asco è uno scultore sconosciuto;
che Asco non fa che del mestiere; che egli è un morto che resuscita
per farci sentire il tanfo del suo cadavere e quello dell'arte classica
da lui praticata; che lo scultore non ha lavorato che su ordinazione
e che pertanto non è da considerare un artista in quanto non
ha fatto che soddisfare il desiderio di chi lo ha pagato. Ma se non
erriamo è stato proprio il Cardinale Giovanni della Graslajer,
abate di S.Dionigi a commissionare la Pietà di Michelangelo;
e così pure Giulio II a commissionare a Raffaello Sanzio l'Attila
arrestato alle porte di Roma. Forse per questo i magnifici capolavori
hanno perduto il loro valore artistico e non sono delle vere opere d'arte?
Ma lasciamo riposare in pace i nostri grandi maestri e le loro centinaia
di commesse ricevute da Papi, regnanti, principi ecc. ecc. e riportiamoci
ai nostri scultori moderni. Considerando che per il momento le malignità
sul conto di questo artista vengono propagate nel nostro ambiente, noi
ci peritiamo di chiedere, a quelli che osano affermare dette malignità,
se non sono delle semplici commesse le opere che vengono eseguite per
i nostri magnifici transatlantici e per i nostri palazzi; opere che
vengono sovente esaltate da tutta la stampa e spacciate per degli autentici
capolavori, pur non avendo nulla di comune con l'Arte. E non si rendono
conto che quei lavori non appartengono all'Arte ma che si tratta di
mediocre decorazione. Insomma per molti di questi Artisti, siano essi
di qualsiasi nazionalità, l'Arte non è che un affare e
noi sappiamo che quando qualcuno osa intralciare il corso degli affari
si usa adoperare ogni mezzo pur di levarselo d'attorno. Il discredito,
la maldicenza, la politica, le questioni familiari, perfino le origini
vengono adoperate come mezzo per demolirlo. Ma la vera Arte non è
commercio; i piccoli uomini che si credono grandi artisti potranno anche
eliminare l'artista ma l'impronta del suo genio mai. Fra le altre abbiamo
inteso dire anche che Franco Asco con la sua Mostra ha spazzato via
vent'anni di progresso in Arte; noi invece pensiamo che lo scultore
con la sua bravura ha minato le basi di quel castello di menzogne così
sapientemente costruito dalla propaganda e da tanti artisti falliti.
Il pentimento di De Chirico, le sue dichiarazioni con le quali si qualifica
un grande mistificatore metafisico, anche se propagate da tutta la stampa
di ogni colore, non possono avere la forza sufficiente per abbattere
quel castello, in quanto non trova l'appoggio di un'adeguata dimostrazione
artistica. Invece il colpo di piccone dato da Asco a quelle basi è
piú robusto, piú gagliardo perché non solo ci mostra
l'inganno della scultura moderna ma ci addita la strada da percorrere.
La sua coscienza estetica ci libera di Henry Moore, di Marino Marini,
di Henry Laurens, di Fritz Wotruba, di Alberto Viani e di tutti i loro
seguaci e ci riporta in clima moderno pur conservando le motività
del soggetto, dal quale trae la sua sostanza poetica.. La sua scultura
è viva anche quando inscena spettacoli plastici come quelli di
questa Mostra. Essa non è il prodotto di un'esperienza occasionale
ma semplicemente la rivolta di una meditazione da lunghi anni repressa,
Queste riflessioni le troviamo scolpite in ogni sua opera come troviamo
in esse (anche quando ironizzano) un ritmo formale perfettamente concepito.
Lo si osservi in quella figura dove intenzionalmente parla il linguaggio
di Martini quanto sia sentito. Dunque un movimento rinnovatore esiste
in lui. Esso vive nell'equilibrio delle sue realizzazioni stilistiche
nelle quali domina non il rilevo di un allucinato, ma l'estasi poetica
del bello di cui noi tutti godiamo.
Dopo quanto abbiamo scritto ci
piacerebbe vedere in una gara questi grandi maestri a fare il mestiere
di Asco. Quel mestiere che loro disprezzano e che certamente sono incapaci
di fare in quanto esso è sostanzialmente Arte con la A maiuscola.
Lo spazio viene a mancare, ma prima di chiudere queste note, chiediamo
al Sig. Sambo ed alla sua Commissione perché corrono così
affannosamente alla ricerca di Picasso per sprecare i denari appositamente
assegnati loro dal Comune, quando la cittadinanza tutta sarebbe felice
che il museo Rivoltella con quel denaro venisse onorato con qualche
opera del nostro valente artista concittadino. Inoltre è per
noi inspiegabile il fatto che mentre tutte le maggiori autorità,
siano queste militari, civili, ecclesiastiche e dell'Arte, abbiano visitato
la Mostra dando all'artista quelle soddisfazioni che si merita, il Sovrintendente
alle Belle Ari non si sia ricordato di farlo e ci sembra sintomatico
che la memoria lo regga solo quando si tratta di vistare e di acquistare
in qualche Mostra di minore interesse. Ma certi uomini sono così
bizzarri. Noi però non ci lasciamo sfuggire certe bizzarrie.
Intanto l'autore di questo articolo
si prepara a prendere posto accanto all'artista sullo stesso suo crocifisso.
Avanti dunque, io sono pronto, carissimi amici.
GIOVANNI PINGUENTINI
- Il Lavoro - Trieste, 4 gennaio 1950
Una ribellione nel campo
dell'arte
L'arte moderna - pittura, scultura,
musica che sia - è passata da un tentativo all'altro, da una
tendenza all'altra. Si è allontanata sempre piú dalla
comprensione del popolo, ed il popolo infatti, nella stragrande maggioranza,
non la capisce piú. Questo è successo in America, come
in Europa. Dal futurismo in poi, si può dire che sotto un quadro,
per chi non è iniziato, bisognerebbe scrivere: "Rappresenta un
uomo". Oppure: "Rappresenta una gallina". Oppure: "Rappresenta un albero"..
Per il pubblico o, per lo meno, per la gran parte di esso, quell'insieme
di forme e di colori è qualche cosa d'incomprensibile o, per
lo meno, di non facilmente comprensibile. Né uomo, né
gallina, né albero.
Ora noi sappiamo che l'arte,
come la vita, si rinnova sempre, ma che per essere accettata la nuova
arte deve essere comprensibile, intuitiva per tutti.. E sappiamo pure
che tutte le riforme, per essere vitali, devono trovare la loro base
nella tradizione. Gli italiani sanno che la riforma musicale di Verdi
trova le sue basi nel canto popolare italiano; i tedeschi sanno che
la riforma di Wagner s'innesta, da un lato, alla tradizione nazionale,
dall'altro alla tragedia greca.
L'arte moderna invece è
fatta di astrattismi. Ed ha finito con lo stancare il pubblico.
Questo senso di disagio e di
stanchezza ha finito col cogliere, dopo il pubblico, anche certi artisti.
Ed uno scultore italiano, anzi, per essere piú precisi, triestino,
Franco Asco, ha avuto un'idea originale. Un'idea Americana, si direbbe
in Europa. Quest'artista cioè, invece di dire il suo pensiero
polemizzando su giornali e riviste con i suoi colleghi d'arte, ha pensato
di presentare il disagio del pubblico, che poi è anche il suo
disagio, in forme plastiche. Ed ha presentato una serie di lavori che
rappresentano varie fasi della polemica sua. Ne è venuta fuori
una mostra originalissima che, inaugurata a Trieste, ha avuto largo
consenso di pubblico e della stampa nazionale. Tale mostra sarà
poi portata nelle altre principali città d'Italia, e poi - speriamo
- d'America, certamente interessando pubblico e stampa.
ARNALDO GARIBOLDI
- Illustrazione Ticinese - Basilea, 25 febbraio 1950
Lo stesso articolo è
ripubblicato negli USA, con il passo conclusivo sotto riportato, e con
il titolo:
Una rivoluzione nel campo
dell'arte
Logicamente le opere, testé
esposte dal Franco Asco, vanno sviluppando critiche favorevoli o contrarie:
nel riprodurre qualcuna fra le piú facilmente significative ed
emotive, va detto - fra i tanti - il commento del generale americano
Airey, diretto di persona all'autore dopo averne visitata la mostra:
"Siete finalmente uno che ha cominciato una battaglia artistica della
quale si sentiva bisogno".
ARNALDO GARIBOLDI
- L'Italia (The Italian Daily News) - San Francisco, 12 marzo 1950
Psicanalisi
plastica - Galleria dell'Illustrazione Italiana - Milano (1950)
Uno scultore offeso dall'arte
moderna
Nato a Trieste, nel 1903, e da
molto tempo abitante a Milano, questo scultore cominciò a esporre
che era quasi un bambino e continuò con buon successo per un
lungo periodo, che va fino al 1933 (una personale alla Galleria Pesaro)
partecipando a importanti mostre nazionali e internazionali, comprese
quattro Biennali, Poi per circa quindici anni si ritirò e soltanto
sul finire del 1949 riapparve al pubblico italiano con una personale
a Trieste; la stessa che ora i milanesi possono vedere nella Galleria
di Via Spiga. A Trieste la mostra ebbe grande eco. I giornali se ne
occuparono diffusamente; e uno degli aggettivi preferiti dai critici
fu "polemico". Nella prefazione del catalogo, Asco però nega,
in sostanza, l'intenzione offensiva. Lo scultore confessa che, avvistosi
come nella "Repubblica delle Arti" e forse piú che
altrove siano indispensabili le gomitate, gli imbonimenti e le vie traverse,
non avvilito né scoraggiato ma disgustato, lasciò il
campo senza esitazioni. Un giorno, tuttavia, uscendo dal lungo
intorpidimento si guardò in giro e il panorama artistico
che gli apparve lo lasciò stupefatto. Non piacevolmente
stupefatto, aggiungiamo noi. Allora Asco in sei mesi si improvvisò
poliglotta dei numerosi linguaggi plastici moderni, imitandoli,
rifacendoli, esagerandone le caratteristiche. (Unico linguaggio trascurato,
l'astratto). E, a parer nostro, certo condannandoli; anche se nella
prefazione leggiamo: "Fatta eccezione per la malafede e la faciloneria,
non presumo di condannare individui o maniere, né intendo fare
la caricatura di certe espressioni artistiche altrui". Ventisette sculture
sono esposte, che costituiscono nel loro insieme "la crisi" di Franco
Asco; crisi compresa e limitata fra due autoritratti. Il primo "Risveglio"
rappresenta l'artista perplesso e turbato. Il secondo l'artista in
ascolto, ancora dubbioso e lontano dalle lotte, ma in attenta aspettativa.
"Dopo il tormentoso pellegrinaggio alla ricerca della verità,
dopo aver crocifisso me stesso nel dubbio, mi abbandono alla speranza
che una voce di salvezza Ci raggiunga".
La mostra, dunque, è un
atto di disperazione prima che di speranza. Asco, artista che comincia
immaturo con fortuna, maturando si accorge un po' per volta che la fortuna
non l'aiuta piú, mentre invece aiuta artisti faciloni o in malafede;
e deluso, offeso, sdegnato dapprima si ritira e poi protesta, o si lamenta.
Dobbiamo veramente credere che queste sculture siano semplici esperienze,
senza allusioni e intenzioni offensive o almeno critiche? Ci sembra
chiaro, piuttosto, che siano state fatte proprio a dimostrare che in
certi modi non bisogna scolpire che certi brutti, laidi fantocci, che
certi grotteschi mostri bisogna ricacciarli nell'inferno degli idioti.
Ed ecco infatti l'arte, la vera Arte, una bellissima vergine ignuda
stretta fra una di quelle femmine steatopigie, o a pera, e una di quelle
rozze viragini squadrate via a colpi di accetta, frequentatrici oziose
e noiose ormai da troppi anni delle nostre esposizioni. La grazia fra
due disgrazie. Ed ecco, uno di quei cavalli senz'orecchi, con un muso
da luccio, e per coda un manico di legno, con la pancia a vescica e
per gambe quattro stecchi, contro un sontuoso Pegaso rampante e annitrente.
Due rilievi di Asco; dai quali, come da altri e da vari pezzi a tutto
tondo, noi crediamo di capire che il confronto dovrebbe ansare a netto,
indiscutibile vantaggio di una sana, bella ed equilibrata scultura:
la scultura di Franco Asco.
E può darsi che capiamo
male. Può darsi benissimo che lo scultore triestino abbia voluto
appena paragonare la bellezza alla bruttezza, l'equilibrio allo squilibrio,
la salute alla malattia, il ritmo e l'armonia al disordine e alla stonatura,
senza pensare alla propria arte. Sia pure così. Ma -siamo sinceri-
valeva la pena di sprecare l'ingegno e il tempo in simili pericolose
ed esagerate polemiche plastiche? Non avrebbe fatto meglio il nostro
artista ad aggiungere altri esempi alla Giovanna d'Arco, a Mia Madre,
alla testa del Cristo, ai pezzi insomma eseguiti non per polemica o
dispetto, o per dolorosa irritazione? Asco è ingenuo; è
uno schermidore che si scopre. La sua polemica plastica, la sua "polemica
in silenzio", criticamente ed esteticamente regge poco. Basti osservare
che fra i numerosi linguaggi moderni da combattere sceglie proprio i
piú deboli, i peggiori, quelli che piú facilmente chiunque
voglia può mettere subito in ridicolo. Ad Asco, per esempio,
non dovrebbe spiacere il linguaggio di un Martini, di un Manzù.
O, meglio, di un Messina. Non li considera fra i moderni? O vorremmo
stabilire una netta differenza fra la bellezza fisica e la bruttezza?
Gli scultori dovrebbero e avrebbero dovuto da secoli e secoli tenersi
a canoni greci?
Certo è che oggi esiste
e resiste tenacemente un gusto per il brutto, per l'invertito e l'ambiguo,
per il malsano. Ma non bisogna lasciarsi impressionare: tolta un po'
di cattiva stanca letteratura, non è altro che formalismo e accademismo.
Da combattere con altro formalismi e accademismi solo in apparenza piú
gradevoli, magari perché piú facili e sensuali?
Bisogna, al contrario che in
giusta e necessaria lotta prevalgano i valori spirituali. Un vero artista
moderno dovrebbe aver la forza di provare col pensiero che certi linguaggi
formali sono cattivi non tanto in sè stessi, quanto perché
esprimono cattivi sentimenti o perché non esprimono nulla: il
qual nulla in arte significa d'altronde cattiveria. Ha Franco Asco uno
spirito migliore? Ha della bontà la sua arte? Il suo linguaggio?
Asco è un mistico ed è un sensuale. Nelle sue sculture
fuori della polemica ora aspira alla purezza religiosa, ora indulge
alquanto alla lascivia. Ne deriva un linguaggio non sempre coerente
e unito. Là si ferma troppo su un particolare vero; qua rende
con eccessiva sintesi un volume o tutto un corpo. Ben per questo avremmo
desiderato, piú che polemica o l'aspettativa, una mostra amica
e costruttiva. E' un plastico che ha delle notevoli doti, che ha un
buon senso tattile, che ha forza o slancio quando tira su una figura.
Gli manca ancora il gusto sicuro, l'eleganza e cioè il saper
scegliere; e volendo averne troppa, non ha molta fantasia. Si moderi.
Cerchi la semplicità e la naturalezza. Guardi sè stesso
senza tormenti e titanismi. La salvezza è in noi stessi, come
dice Tolstoi.
E alla prossima esposizione Asco
ci dirà grazie.
LEONARDO BORGESE
- Corriere della Sera - Milano, maggio 1950
Franco Asco è stato un
"enfant prodige" e ha cominciato a esporre a dodici anni. Ha viaggiato
molto, ha vissuto a Trieste, a New York, in Brasile; l'ultima sua mostra
italiana ha la data del 1938. La sua storia di scultore si alterna con
lunghi silenzi e ardenti fasi di creazione. Tutti i bronzi riuniti da
Stefano Cairola sono stati eseguiti negli ultimi sei mesi del '49 e
sono, si può dire, ancora caldi di fonderia, e, soprattutto,
caldi di uno spirito polemico, che si concretizza in esemplificazioni
plastiche condotte con una foga che in qualche momento ha persino dei
caratteri tribunizi. L'eloquenza polemica di Franco Asco è, qualche
volta, un po' elementare, come quella di chi, per demolirlo, mette in
caricatura il suo avversario. Ci sono probabilmente molte piú
ragioni misteriose, nella crisi dell'arte contemporanea, di quante l'ardente
scultore triestino mostra di voler definire attraverso la sua indagine
e i suoi confronti con quelle soluzioni che nel suo animo sorgono in
opposizione alle soluzioni che del problema plastico sono state tentate
in questo ultimo mezzo secolo. Da Picasso a Moore il cammino e il travaglio
hanno motivi, se non altro, di "disperazione" che sono indiscutibilmente
tipici delle nostre generazioni e sui quali, se l'ironia è facile
e può essere persino amena e convincente, è bene sostare
con la meditazione di una ostilità meno preconcetta, per non
scivolare nelle soluzioni di una estetica che potrebbe esser definita
"qualunquista". In ogni modo -detto questo al polemista Asco- bisogna
riconoscere che spesso la sua polemica ha battute convincenti e non
frivole, anche se le opere dove la "discussione esemplificata" è
piú apertamente didascalizzata, con un invito al pubblico perché
dica se preferisce una bella ragazza ad un "mostro novecento" ci sembrino
le meno necessarie.
La parte migliore e quella vitale
della polemica di Franco Asco è quella in cui egli, dimettendo
le armi del Crociato in guerra contro l'Infedele, mostra e confessa
le estasi e le visioni e i turbamenti del suo Credo. Anche Asco, probabilmente,
sa che la miglior polemica è quella dei fatti. Nato e cresciuto
alla confluenza di molte correnti del gusto europeo e soprattutto centro-europeo,
travagliato da una cultura sottile e avveduta, Asco svolge il suo filo
di Arianna nel labirinto delle infinite tentazioni: e questo filo è
quello che Picasso chiamò il ritorno a Ingres e che uno scultore
potrebbe chiamare, se non il richiamo agli ideali greci, il "ritorno
a Canova". Gli accostamenti a Moore, da una parte, mi sembrano, piú
che segno di ironia, un segno di affinità; e quelli ad un "bello"
canoviano anch'essi, dichiaratamente amorosi, segno di una convinzione
profonda. L'artista, che è sembrato così aggressivo nella
definizione della sua polemica, trova pace -anche se si dichiara ancora
dubbioso- nelle due opposte voci del suo singolare temperamento, fatto
ad un tempo di tumulto e di estasi..
ORIO VERGANI - L'Illustrazione
Italiana - Milano, 21 maggio 1950
Franco Asco è uno scultore
triestino di 47 anni che espone alla galleria dell'Illustrazione Italiana.
Studiò a Venezia, a Vienna e a Roma, viaggiò moltissimo
e partecipò ad innumerevoli importanti mostre.
Con questa sua esposizione intitolata
"Psicanalisi plastica" l'autore "Ha inteso dare evidenza figurativa
ai problemi, ai dubbi, alle ipotesi che hanno scosso il suo credo nell'arte".
In sostanza questa è una mostra con la quale l'autore (se ho
ben compreso, ma ne dubito assai) intende manifestare i suoi tormentosissimi
dubbi intorno al mezzo di espressione; perciò li prova tutti
da quello classico a quello cubista. I risultati, com'è ovvio,
sono accademici appunto perché la scelta non è ancora
stata fatta.
La mostra è interessante
per la sua stranezza e per i pensieri che suscita.
M.R. - L'Italia -
Milano, 23 maggio 1950
Accademismo di Franco Asco
Alla Galleria Cairola lo scultore
triestino Franco Asco pone in termini di autoconfessione il contrasto
tra le espressioni dell'arte contemporanea e quelle di accademismo tardo
a morire. Asco, che ingenuamente confessa il suo dubbio, ha una capacità
non indifferente di assimilazione e riesce in modo straordinario a imitare
tanto i classici quanto i moderni. E' una curiosa rassegna che va dai
Greci e si conclude a Marino Marini e a Carmelo Cappello. Non senza
un accenno ironico a Picasso. Talvolta giunge alla caricatura che potremmo
anche accettare. Ci sia consentito tuttavia suggerire allo scultore
di interrogarsi meno, di non chiedersi se convenga essere arcaici o
astratti, ma di cercare di ascoltare l'interiore dettato, il quale solo
può indicare a un artista la propria strada. Asco ha sufficienti
qualità plastiche per poter riuscire a dimostrare di essere veramente
qualcuno.
GARIBALDO MARUSSI
- Fiera Letteraria - Roma, 28 maggio 1950
Una mostra polemica alla Galleria
dell'Illustrazione Italiana: una mostra polemica promossa dallo scultore
Franco Asco, il quale è un artista abile, serio ed anche notevolmente
profondo, come specialmente risulta dall'eccellente ritratto della propria
madre saviamente modellato con un senso di osservazione davvero cospicuo
e con una fattura ponderata, efficace, sicura e personale. Perché
dunque, simile autore, deve ora trovarsi in crisi spirituale e perché
con questa esposizione da lui intitolata Psicanalisi plastica,
vuol dimostrarsi incerto e timoroso? Le sue satireggianti, argute, caustiche
e spesso mordaci evocazioni, osservazioni o critiche che dir si voglia
sono assai interessanti e dichiaratamente espresse (Sgomento di Ellade,
le Tre Grazie, eccetera); ma ci sembra che l'Asco, artefice sicuro
e degno come appare dalla migliore sua produzione, non abbia a nutrir
dubbi intorno alle precedenti sue opere. E che non debba dare soverchia
importanza alle fuggevoli mode ed alle odierne astruserie che tentano
confondere il vasto campo di tutte le arti.
Fidia, Donatello e Rodin, pure
appartenendo a tre epoche tanto diverse e tanto lontane fra di loro,
rimangono maestri eccelsi dell'arte statuaria: maestri che non possono
essere scalfiti dal susseguirsi di nessuna moda.
Almeno che, l'Asco, con questa
sua mostra, non abbia voluto canzonare le nuove tendenze: vogliam dire
quelle piú assurde ed arbitrarie ed allora c'è da assicurare
ch'egli è riuscito nel suo intento e c'è da esprimere
che questa sua mostra è divertente e che può giungere
anche istruttiva per coloro che danno troppo peso alle incompostezze
tecniche e significative del caotico momento artistico che stiamo attraversando.
? - Corriere degli
artisti - Milano, 31 maggio 1950
Alla Galleria Cairola espone
lo scultore Franco Asco che definisce la sua mostra personale "Psicanalisi
plastica". Si tratta del tentativo di tradurre nell'opera sua i propri
stati d'animo, ma c'è, in tutto ciò, qualcosa di programmatico
e di retorico che impedisce risultati genuini. E' un peccato, poiché
le qualità di buon modellatore sono evidenti in piú di
una scultura e precisamente in quelle dove non si avverte la preoccupazione
di raccontare con atteggiamenti e con gesti, i dubbi e le angosce. Il
ritratto della madre è per noi l'opera migliore della mostra
perché immune, appunto da elocubrazioni.
Nell'autopresentazione, pubblicata
nel catalogo, Franco Asco ci mette al corrente di una sua crisi spirituale
artistica che avremmo preferito avvertire nel suo lavoro piú
che nelle sue parole, convinti come siamo che i piccoli e grandi drammi,
veramente sofferti, mal volentieri si raccontano alla massa.
VICE - Il Tempo di
Milano, 3 giugno 1950
Una cappelletta votiva di Franco Asco a
Sant'Anna (edicola fam. De Rosa)
E' stata recentemente consacrata
al Cimitero di S.Anna una cappelletta votiva che un industriale triestino
ha voluto dedicata alla figlia scomparsa in giovane età. Architettura
e sculture decorative sono opera dello scultore concittadino Franco
Asco.
Si tratta di un'edicola porticata
di granito nero lucidato a specchio. Le forme sono elementari: un parallelepipedo
molto alto e stretto, sulla fronte del quale si apre un protiro ad arco
sostenuto da pilastri che a lor volta vengono a determinare due archi
di minor luce nei fianchi dell'edificio. L'estrema semplicità
delle forme può richiamare certe architetture dipinte dal primo
De Chirico: come se un elemento cavato da un portico di una delle sue
"piazze d'Italia" fosse stato ritagliato dal complesso e isolato nella
cornice di bianchi marmi e di neri cipressi del nostro cimitero maggiore.
La "cella", di capienza assai limitata, reca nel fondo uno spartimento
architettonico a forma di croce, inquadrato tra vetri colorati che diffondono
nell'interno una luce calda e dorata.
Il pezzo decorativo di maggior
impegno è la porta di bronzo centinata, che inquadra, in dodici
spartimenti rettangolari e due a forma circolare, le quattordici stazioni
della Via Crucis. Per alleggerire il corpo dei battenti Asco si è
servito di un espediente originale: ha abolito gli sfondi, di modo che
i quattordici episodi di basso rilievo vengono a campirsi "a giorno"
contro una lastra di cristallo. E' notevole in queste sculture la ricerca
di architettonicità, di essenzialità, che sopprime tutti
i personaggi non protagonisti del dramma e ne raccoglie le forme entro
robusti impianti volumetrici. Ed è interessante osservare come
tale studio formale non pregiudichi, ma venga anzi a sottolineare l'efficacia
drammatica della composizione. Solo nella "Crocifissione", che veniva
a collocarsi troppo in alto rispetto all'occhio dell'osservatore, Asco
non ha saputo rinunciare a dar prova delle sue virtù e, nello
scorcio arditissimo dal sott'in su del corpo del crocifisso, ci ha dato
un pezzo di bravura: nobile del resto e bene inteso.
La cappelletta, con la sua nota
di nero lucido, costituisce una macchia cromatica di rilievo nel desolato
biancore del nostro cimitero e armonizza assai bene il proprio verticalismo
con le forme svettanti dei cipressi che le fanno corona. E' un'opera
di notevole interesse artistico che si fa subito notare fra mezzo le
gran masse di lavori artigianali o di dubbio gusto. E onora degnamente
così la giovane scomparsa, come i dedicanti e l'artista.
GIO. - Giornale di
Trieste - 13 settembre 1950
Galleria Cairola
- Milano (dicembre 1950/gennaio 1951)
?
A pochi mesi di distanza da una
sua "personale" di cui molto si è parlato, lo scultore Franco
Asco ritorna con un gruppo di opere nuovissime alla Galleria di Stefano
Cairola. In così breve spazio di tempo non si può certo
parlare di evoluzione o di nuovi sviluppi: ma certo l'arte sua appare
sempre piú chiaramente diretta; e quando questo dotatissimo artista
avrà pienamente digerito la propria bravura di mestiere e superato
lo stadio polemico, troverà quell'unità di stile che ancora
gli manca e che si nota pur nell'accostamento dei suoi pezzi migliori
come L'urlo, Maternità, Autoritratto.
? - Candido - gennaio
1951
Cronache d'arte - Franco
Asco
Lo scultore Asco, che espone alla
Galleria Cairola (via della Spiga), è un artista senza un preciso
mondo da esprimere e ciò lo induce a vagare di forma in forma:
dalle forme astratte a quelle naturalistiche deformate assai spesso
in senso caricaturale. Sarebbe necessario che Asco, fuori dalla vena
polemica, imboccasse una sua strada e la percorresse coraggiosamente.
M.D.M.
- L'Unità - gennaio 1951
?
Triestino è invece Franco
Asco, che alla Galleria Cairola presenta quasi una trentina di sculture;
e, appena dodicenne nel 1915, fu salutato dai critici di allora come
un autentico "enfant prodige". Se poniamo mente al gusto che correva
in quel tempo nella città adriatica, che subiva in parte l'influsso
dell'arte nostra, in parte quello proveniente dall'Austria e dall'Ungheria,
vedremo che l'Asco, partito di là, vi ha fatto ritorno dopo un'esperienza
astrattista la quale (stando alle parole del catalogo) volle essere
piú che altro una dimostrazione polemica della vacuità
e dell'inutile "fumisterie" dell'astrattismo plastico. A quel gusto
risalgono, infatti, alcune singolari composizioni plastiche il cui simbolismo
ha, piú che altro, il sapore di una rievocazione del mondo figurativo
anteriore alla prima guerra mondiale (vedi "Culla della vita");
ed anche l'amore per un certo "flou", per le forme suggestivamente non
concluse, risente non poco di quel mondo e di quel clima. E, se lo "studio
per l'Evangelista Luca", ad esempio, tradisce un certo vigore istintivo,
ricaviamo da questa selezione di opere di Asco la sensazione di un eclettismo
ancora malcerto nella scelta di una via.
A.Z. - Il Tempo di
Milano - 5 gennaio 1951
Mostre d'arte - Franco
Asco
Questo scultore, oriundo di Trieste,
ha fatto una personale riassuntiva lo scorso anno alla galleria dell'Illustrazione
Italiana.
Si ripresenta in questi giorni
alla galleria Cairola con le sue opere piú recenti. Esse non
hanno un carattere ben definito o facilmente definibile, ricordando
l'espressionismo ed anche l'impressionismo. Il gestire delle figure
e l'espressione del volto sono portati quasi all'esasperazione. Tutto
sommato mi pare che questo scultore dia piú importanza ai valori
fisionomici, espressi per altro con molta efficacia, che a quelli plastici.
Alcuni "pezzi" sono astratti.
Nella prefazione del catalogo Stefano Cairola ha scritto che lo scultore
"ha voluto realizzarli per dimostrare a se stesso e a noi quanto sia
facile trovare delle forme che, se possono rappresentare piacevoli creazioni
decorative, hanno in comune con la vera scultura soltanto la materia
con cui sono eseguite".
Niente affatto. Questi insignificanti
"pezzi" di scultura astratta stanno veramente a dimostrare il contrario,
ossia che il genere astratto è altrettanto difficile di qualsiasi
altro. Le difficoltà in arte, poi, non hanno molta importanza.
Conta il risultato.
M.R. - L'Italia -
9 gennaio 1951
Fra tre donne uno scultore
e un pittore
Nel maggio scorso lo scultore
Franco Asco tenne nella stessa Galleria Cairola, dove oggi ordina un'altra
personale, una mostra polemica. L'artista partiva lancia in resta contro
quel che stimava inutile e brutto o insincero di molte correnti d'arte
moderna, e ne presentava delle caricature plastiche. Ma in realtà
- e lo si vede nella sua esposizione attuale - il suo temperamento eclettico
gli impediva di veder bene tra i tanti "ismi" di cui abbondiamo e, pur
polemizzando era in definitiva influenzato da questo e quello e non
si ritrovava. Oggi, pur presentando ancora, ma non piú polemicamente,
una serie di sculture che vanno dal cubismo all'astrattismo, allinea
dei pezzi - fra i quali quello che riproduciamo - nei quali egli sembra
aver scelto la sua via, essersi in certo senso orientato. Ma se in essi
v'è un modo, un filo stilistico comune, un residuo di eclettismo
permane e proprio per questo accanto ad una franca abilità, ad
una sicurezza di mestiere non v'è ancora una libera comunicazione
poetica, l'artista non riesce ancora ad esprimere interamente il suo
mondo. Malgrado ciò v'è tuttavia in Franco Asco un superamento
di posizioni passate, uno stimolo vivo "a farsi" che rendono notevoli
le sue opere.
M.L. - Milano Sera
- 9/10 gennaio 1951
Mostre d'arte - Il triestino
Asco alla Galleria Cairola
Alla Galleria Cairola ritorna
il triestino Franco Asco con una serie varia e ricca delle sue sculture,
al solito maliziosamente rilanciate nelle direzioni piú varie
dell'attuale babele linguistica, dal patetismo floreale di Mestrovic
e Wildt al grottesco neoetrusco di Andreotti e fino all'astratto di
Laurens, sorrette in ogni caso da una non comune sapienza tecnica nonché
da una facilità inventiva incline alle forzature ironiche. Mostra
dunque improntata ad un eclettismo burbanzoso e festevole, in cui semmai
la nota piú autentica è da ricercare in certi ritratti
drastici e rubicondi, di fiera caratterizzazione.
C.B. - Il Popolo
- Milano, 11 gennaio 1951
Tavolozza Milanese - Franco
Asco da Cairola
... Davanti a tale diversità
contrastante di forme e di tendenze (astratte, espressioniste, romantiche,
statuarie, geometriche e via di seguito) chi visita la galleria Cairola
penserà che anche lo scultore Franco Asco è un cerebrale.
Ma sbaglia: perché questa volta anzi si tratta di un artista
sopraffatto dal suo stesso istinto di scultore nato. E' la sua dotata
mano, il suo spontaneo senso plastico che si prende il gusto e il difetto
di trasformare la materia come piú gli piace; che si sbizzarrisce
nel toccare tutte le note della tastiera di tutti gl'innumerevoli stili
d'oggi e forse con polemica intenzione, si compiace dimostrare ai suoi
colleghi in arte che è facile darsi a questa e quella maniera.
Ma costa cara tale ben intenzionata dimostrazione, che finisce per smarrire
lo stesso artista che la irride. Infatti, le forze plastiche di Asco
potrebbero paragonarsi ad un cavallo puro sangue che ha sbalzato di
sella il fantino che guidava la sua sbandata corsa.
VINCENZO COSTANTINI
- Corriere Lombardo - Milano, 11-12 gennaio 1951
Presentato da Stefano Cairola
nella sua Galleria, lo scultore Franco Asco propone al visitatore della
sua mostra la soluzione di questo problema: si può fare della
scultura originalmente moderna attraverso un compromesso sinceramente
perseguito, ma contraddittorio, tra un estetismo plastico di costituzione
accademica e uno sculturalismo sommario che lo ripresenta rammodernato?
I risultati di questo sforzo sincero rimangono per ora nella sfera,
abbastanza vasta d'altronde, del mestiere, dell'esecuzione. IL "Ritratto
di Mavis", "L'urlo", il "Cavallino" costituiscono
inoltre un'anticipazione di nuovi sviluppi, nei quali questo scultore
triestino saprà risolvere la contraddizione stilistica di cui
si è parlato.
ENRICO SOMARE' -
Tempo - Milano, 13-20 gennaio 1951
Mostre d'arte
Franco Asco, lo scultore che
l'anno scorso improvvisò una mostra polemica, contro la scultura
d'avanguardia, alla Galleria Cairola, oggi, nella stessa sala, ritorna
con opere recenti quali impregnate di sentimentalismo, sensualità
e misticismo, quali nettamente volte al formalismo, alla purità
geometrica, all'astrattismo. Sembra quasi che la battaglia di Asco si
risolva in una sconfitta dello scultore sentimentale e sensuale. O ci
sbagliamo? Che piuttosto abbia ragione il presentatore Stefano Cairola?
"Alcuni pezzi esposti... sono curiosi documenti delle esperienze di
Asco. Lo scultore ha voluto realizzarle per dimostrare a se stesso e
a noi quanto sia facile trovare delle forme che, se possono rappresentare
piacevoli creazioni decorative, hanno in comune con la vera scultura
soltanto la materia con cui sono eseguite".
Per conto nostro, invece, ci
par di vedere un Asco tentato piú che un Asco offeso e irritato
dalla scultura di Arpo di Moore. E sarebbe male, perché - sempre
secondo noi - la via giusta di questo scultore, anche se via rischiosa,
è quella segnata dal nativo temperamento romantico.
LEONARDO BORGESE
- Corriere della Sera - Milano, 19 gennaio 1951
Galleria Cairola
- Milano (novembre/dicembre 1951)
Una mostra di Franco Asco
a Milano
La Galleria d'Arte di Stefano
Cairola ha allestito la terza Mostra personale dello scultore triestino
Franco Asco nel Salone dell'Illustrazione Italiana. Intensissima si
svolge ora la vita creativa di questo artista sincero che, già
salutato come "enfant prodige", volle poi superare la grave lacuna di
venti anni di ritiro e di solitudine per raggiungere la vera maturità
della sua espressione. Dal 1947 Asco ha ripreso ad esporre ed ogni sua
mostra ha testimoniato al pubblico - fosse brasiliano triestino o milanese
- l'estrema tensione accumulata nello spirito dell'artista e che non
poteva non commuovere le tranquille acque della critica. Alla "vernice"
di questo terzo ritorno di Asco - sorretto dal sicuro e sereno senso
d'arte di Stefano Cairola - erano presenti critici, artisti e ammiratori
numerosissimi.
La simpatica semplicità
di Franco Asco uomo conquista tutti; la mirabile semplicità della
sua scultura chiarisce ed illumina molte posizioni sbagliate. Davanti
ad un suo gesso - sia una testina, o sia la grande "Pietà"
- si arriva finalmente a superare la paralizzante incertezza dello spettatore
davanti alo spettacolo - sovente clownesco - dell'arte cosiddetta moderna.
Si parla si comunica con la statua, con l'opera compiutamente creata
che dal greve della materia si eleva in spirituale levità. Una
mano appena sbozzata, un profilo di corpo proteso - come gli "Amanti"
- una curva tenera e tragica per la "Maternità sognata"
sono la piú alta semplificazione della scultura intesa come "preghiera
espressa con le forme"; così vuole la sua scultura Asco.
Una Mostra che dona commozione,
per la commozione stessa che l'autore fa vibrare nel gesso opaco e pur
reso trasparente: come una vita che trapela e traspare appena, il vero
mistero della maternità che ha ispirato tutte le opere presentate.
? - Corriere di Derby
- 1951
Gallerie di Milano
...E importante è infine
la mostra che Franco Asco ci offre alla Galleria Cairola. Dopo quasi
vent'anni di silenzio, in questi ultimi tre anni l'Asco ha ripreso il
suo lavoro di creatore. Lo ha ripreso confusamente e polemicamente in
tre mostre successive, di cui l'attuale è il coronamento, pur
non essendo ancora il superamento definitivo d'uno stato d'animo un
po' confuso. Questo stato d'animo mi giustifica gli apprezzamenti mistici,
di cui si compiace lo scultore nei raffronti della propria opera, e
in generale dell'arte. In effetto però quello che s'impone nell'opera
dell'Asco è la raggiunta semplificazione formale, per cui la
figura si svincola, come in "Loth" dal suo involucro pesante
per protendersi nello spazio, come idea di una realtà. E' un
grande passo avanti questo che l'Asco ha compiuto, e non è soltanto
un passo individuale. Ne è l'ultimo passo. In ogni modo è
un passo risoluto in cui il suo innato senso plastico, indulgente finora
alle forme classicheggianti, si incontra con il travaglio del mondo
spirituale moderno e lo esprime con meditata e appassionata potenza
stilistica.
DARIO DE TUONI -
Il Progresso - Milano, 10 dicembre 1951
Ritratti d'Artisti - FRANCO
ASCO
Superato un periodo polemico,
Franco Asco si è presentato di recente a Milano in una veste
ben piú conclusiva: ossia con una purezza di intenzioni da cui
si era fuorviato nel suo ironico polemizzare degli anni addietro. Schiarite
a se stesso quelle possibilità, che erano già in nuce
nella sua opera anteriore, egli ha ripreso la propria linea essenziale:
quella serenità un po' severa che aveva sempre guidato la sua
mano. S ciò si è effettuato attraverso una inquieta fase
polemica, ebbene, quella fase gli è stata salutare.
Non ci interessa affatto se l'attuale
opera dell'Asco abbia, o no, quella piacevolezza che si avvertiva nel
realismo ritrattista del suo periodo giovanile. Quand'anche tale piacevolezza
compaia ancora, si nota subito però che essa è in funzione
con un nuovo criterio. Non ha piú una significazione suggestiva,
poiché viene assorbita e si fonde nel complesso, che procura
di conseguire un determinato sintetismo formale, atto a favorire un'emozione
lirica.
Non credo di essere lontano dal
vero. Per me, gli elementi di questo sintetismo si possono riscontrare
già nelle prime opere dello scultore. In effetto, certe stilizzazioni
volumetriche gli erano sempre state proprie. Sotto questo riguardo,
la sua produzione giovanile anziché dal Rodin, da Medardo Rosso,
dal Hanak, o da altri scultori del tempo, sembrava stimolata dal Mestrovic.
Vi era qualche cosa delle epiche cariatidi mestroviciane nei ritratti
che l'Asco veniva via via modellando; in quei rifiniti e levigati busti
che riuscivano ad abbinare il realismo con una cauta stilizzazione sia
dei tratti fisionomici che dei volumi. Ed era appunto questa particolare
stilizzazione che infondeva all'opera quel suo innegabile senso ieratico,
rispondente all'indole dell'artista, piuttosto impassibile e contraria
alle impetuosità drammatiche.
Oggi egli ha varcato i confini
della consueta espressione visiva. Sconcertato dal farraginoso materiale
delle tendenze moderne, di ritorno dal Brasile si mise in lizza con
loro, allestendo quelle mostre polemiche di cui s'è parlato nelle
prime righe. Non si trattava di una ribellione ottusa, dettata soltanto
da una idolatria del passato, caso molto frequente; ma di una inavvertita
reazione forme che in apparenza troppo contrastavano con il suo lirismo
interiore. Sennonché a un certo punto, nel maneggiare gli elementi
polemici, o da lui ritenuti tali, essi gli rivelarono il loro inatteso
aspetto positivo, la loro forza dinamica. Non ci fu quindi un crollo
d'ideali; semmai una coscienza acquisita. Lievi modificazioni a quelle
volumetrie ieratiche che gli erano proprie, furono sufficienti per portarlo
su nuove forme plastiche. Una maggiore evanescenza del soggetto realistico,
e in certi casi un superamento addirittura di quel soggetto, per liberare
il ritmo di una pura forma.
Attraverso un intimo travaglio,
Franco Asco è giunto oggi a questo punto, pur sapendo che gli
ammiratori del pompierismo scultorico gli saranno avversi. Ma vi è
giunto, e questo è un fatto importantissimo, non saltabeccando
a destra e a sinistra e scimmiottando astutamente tutte le correnti
e tutte le mode; anche se agendo in tal modo non pochi drittoni riescono
a gabellarsi per grandi artisti, buscandosi premi su premi. Vi è
giunto con mezzi propri, non rinnegando se stesso, poiché, come
s'è detto, gli elementi fondamentali del suo mondo attuale erano
già in nuce nella sua opera anteriore. Essi non potevano
rimanere statici, insensibili agli attuali accadimenti estetici, se
non condannandosi da soli a una indifferente mediocrità. Dovevano
raggiungere una ulteriore espressione, anche a rischio di rinnegare
la realtà esatta e naturale delle cose raffigurate, la calligrafica
precisione delle fisionomie, per conseguire sotto la spinta di una ricerca
e di una osservazione penetrante, il puro o meglio disinteressato, fatto
plastico.
DARIO DE TUONI -
Il Corriere di Trieste- - 13 marzo 1952
1a Mostra Nazionale
d'Arte Trieste (1952)
Arte italiana a Trieste
...Franco Asco presenta, pur
in un limite di piú intima umanità ma con pari sebbene
diverso valore estetico, due pezzi d'eccellente fattura e squisita sensibilità:
un piccolo "nudo" e un ritratto
femminili, che danno la misura dell'equilibrata e personale visione
della moderna astrazione purché idealmente congiunta alla forma
naturale.
SPARTACO BALESTRIERI
- Il Gazzettino Liberale - Milano, 16 Luglio 1952
Uno scultore
Di Franco Asco, scultore triestino
da molti anni residente a Milano, ho riprodotto un'opera nel "Gazzettino
Liberale" del 16 luglio scorso, in occasione del mio articolo sulla
Mostra Nazionale di Trieste, dove fu premiato. Mi torna ad interessare
alla sua arte una bella monografia illustrata, dallo specioso titolo:
"Un episodio autobiografico di Franco Asco tradotto in forme plastiche"
(Ed- Smolars, Trieste) con prefazione del triestino Elio Predonzani.
Tutta una originale iniziativa triestina, che mi ricorda le due recenti
mostre personali di questo tormentato scultore italiano alla Galleria
Cairola di Milano e che merita un particolare commento perché
l'Asco è il primo artista moderno che, direttamente con i propri
naturali mezzi di espressione, appunto le sue stesse "forme plastiche",
ha coraggiosamente affrontato il problema della decadenza e degenerazione
attuale dell'arte.
La sua campagna moralizzatrice
d'artista autentico, il suo monito di scultore veramente dotato e artigianalmente
esperimentato, assumono infatti inoppugnabile autorità in quanto
la sua non è parola scritta, ma insita nelle sue stesse opere.
Perciò non mi rifaccio alla parola scritta del prefatore, dedotta
del resto dalla documentazione creativa dello scultore, cui mi rifaccio
direttamente a mia volta. Denegare quindi la parola scolpita dell'artista
significherebbe denegarne l'opera, ma la sua validità critico-estetica
s'impone da sè e comunque s'impone a una discussione almeno altrettanto
seria quanto quella agitata dalla singolare serie di scultore che costituiscono
gli insoliti capitoli dell'episodio autobiografico di Franco Asco. Tanto
seria che, giustamente avverte senza far nomi il prefatore, non può
toccare la personale suscettibilità di noti artisti viventi,
come ad esempio Henry Moore, Marino Marini, Pablo Picasso o apparire
irriverente alla memoria d'artisti scomparsi quale Arturo Martini, di
cui a titolo esemplificativo l'Asco contraffà gli stili. Lo scultore
triestino, in sostanza, rivaluta la classicità che, anche in
"Pollice verso",
dove sono gli "arrivati" a sentenziarne la morte, sovrasta tuttavia
i mostruosi pigmei della decadenza trionfante.
Classicità ch'egli non
intende imporre all'arte moderna, in funzione di supina acquiescenza
agli antichi canoni della bellezza, ma come eterno elemento moderatore
delle aberrazioni trasmodanti i limiti della fantasia e dello spirito
umano, che in "La
bella e la bestia" si concretizza in equilibrio tra forma e
contenuto. Armonia che, per chi non ami la polemica neppure se costruttiva
come quella delle opere citate, si realizza pienamente nell'opera d'arte
pura che è l'autoritratto intitolato: "Risveglio",
in cui la potenza e l'immediatezza espressiva sono fusi dal dinamico
tocco impressionistico e dal solido impianto classico, con luci e ombre,
pensiero astratto ed umanesimo che trovano riscontro nel sentire moderno
di chi della modernità non abbia perso il pur tormentato sentimento.
In questo nostro tempo appunto in cui la vita tradisce purtroppo profonde
ombre, ma ogni giorno rivela altresì folgoranti luci; in questa
nostra epoca di germinazione caotica e d'urto inconsulto di tante astrazioni
non soltanto estetiche che nella loro barbara teorica sembrano spesso
ignorare l'estremo valore e significato dell'umanità, eppure
segretamente anelante a un superiore ordine umano; l'arte troverà
ancora la soluzione della crisi che la travaglia, nell'uomo.
Nell'opera "L'ascesa
al Parnaso", Franco Asco riesce a dare un'efficace sintesi plastica
del farraginoso aggrovigliarsi di tendenze e dello spasmodico soverchiarsi
di gruppi sprovveduti d'effettive individualità artistiche che
hanno causato l'attuale caos estetico e urge ormai fare appello invece
a singoli artisti, le cui opere non siano aride ostentazioni intellettualistiche
di teorie, bensì concrete opere d'arte e cioè di poesia.
Uno di questi potrebbe essere l'Asco e c'è da augurarsi che altri
se ne rivelino, altrettanto equilibratamente classici e moderni, affinché
dal caos sia dato finalmente sperare di passare a un ordine nuovo di
rinnovata bellezza estetica e ideale.
SPARTACO BALESTRIERI
- Il Gazzettino Liberale - Milano, 16 ottobre 1952
Arte sacra casalinga all'Angelicum
...Sicchè trovo che lo
scultore Franco Asco, con la sua Michelangiolesca ma anche modernissima
"Pietà",
si riagganci appunto con sentire linearmente geometrico alla grande
tradizione italiana dell'ultima opera sulla quale quel gigante spirò.
SPARTACO BALESTRIERI
- Il Gazzettino Liberale - Milano, 24-30 Aprile 1953
Colonna Mariana -
Trieste (1954)
I lavori in corso nel giudizio
della commissione
...Nel suo complesso l'opera
dell'Asco risulta particolarmente pregevole, per il senso architettonico,
per la bloccata e ieratica semplificazione delle masse che molto contribuisce
alla chiarezza ed intelligibilità delle immagini, anche se nota
a distanza ed efficacemente concorre ad esprimere la spiritualità
del tema....
? - Le Ultime Notizie
- Trieste, 12 luglio 1954
Le cinque Madonne della
Colonna Mariana
...Il premio, cioè la
scelta della scultura che verrà posta sulla Colonna, è
andato alla Madonna di Asco, che fra i suoi innegabili valori ha pure
quello di essere "architettonica". Risolta secondo una severa direttiva
monolitica, l'opera di Asco sembra la piú idonea al ruolo di
"monumento" che le è stato assegnato, inoltre ha in sè
sufficiente dolcezza e semplicità per interpretare le piú
immediate necessità spirituali del nostro tempo. Non imposta
problemi né vuole essere polemica, ma nelle sue linee essenziali
sta ad indicare la transizione attuale dell'estetica e del gusto, senza
per questo rinunciare alle prerogative che l'arte sacra fa proprie.
L.M. - Le Ultime
Notizie - Trieste, 15 luglio 1954
La Madonna di Franco Asco
Palestra della scuola Brunner
di Trieste a Roiano. A chi entra si presenta per prima la statua di
Amstici. E subito si osserva quella. Ma il nostro occhio cerca la premiata,
quella di Asco, che già la mal riuscita fotografia apparsa su
un giornale ci aveva fatto comprendere richiamare degnamente la Madonna
con le sue linee nobili e maestose. Ma quella sbiadita e fosca fotografia
non aveva saputo dirci quanto fosse giovane ed illuminata la sua faccia,
quanto ricco di vita contenuta il suo atteggiamento. Bella. Bella. La
espressione di questo volto, arrovesciato verso l'alto, anche se la
bocca è appena schiusa in un sorriso piú interiore che
esterno, ci fa sentire il canto del Magnificat: "Et exultavit spiritus
meus in Deo salutari meo". E' la Madonna. Bella...
...La mia opinione è che
la commissione non poteva scegliere meglio, non solo per il valore artistico,
ma anche per il significato che l'immagine sprigiona. Un'opera che farà
onore alla città.
L.L. - Vita Nuova
- Trieste, luglio 1954
...La bloccata e ieratica semplificazione
delle masse contribuisce alla chiarezza espressiva dell'opera; le bellissime
mani aperte a preghiera e protezione, a rassegnazione e gloria, sono
piú di una voce, sono un canto. La statua merita pienamente tutta
la viva ammirazione di pubblico e di critica cui è già
stata fatta segno, per la sua superiore nobiltà spirituale e
artistica.
? - Derby - Milano,
15 agosto 1954
Milanese-triestino scultore
"mariano"
Franco asco è uno scultore
che davvero possiede il mestiere e padroneggia la materia con la disinvoltura
di chi sa il fatto suo. Qualche anno fa, in una Galleria milanese, come
in una serie di campionari dei piú svariati stili, dai piú
"estremisti" ai piú "passatisti", diede prova di saper realizzare,
quasi fossero uscite dalla sua mano per miracolo, tutte le mille maniere
contraddittorie di cui si compiace la scultura d'oggi.
Ma Franco Asco è un artista
di profondo sentimento; perciò ha rinunciato alla sua incredibile
bravura per manifestare nelle sue sculture, e specie in quelle modellate
sulle tombe del nostro Cimitero Monumentale, quella mistica ed umana
interiorità che ha quasi disincarnato le figure nella elementarietà
delle moderne interpretazioni.
Triestino di nascita ma milanese
di adozione, Franco Asco nel concorso indetto dal Comune di Trieste
per celebrare l'Anno Mariano, su ventisette concorrenti è riuscito
vincitore del "monumento alla Vergine" che verrà eretto in una
piazza della città di San Giusto. Anche in questa statua, come
in quasi tutte le opere del nostro scultore, piú che la figura
di semplice purezza, soprattutto le mani ed il volto esprimono l'ardente
tensione volta verso il cielo a protezione di noi uomini.
? - Corriere Lombardo
- Milano, 19 agosto 1954
Intervista con lo scultore
Asco
...Nel presentare il suo lavoro,
lo scultore ha voluto precisare le ragioni ideali della sua funzionalità
estetica, in rispondenza al carattere religioso della statua. Nel primitivo
bozzetto aveva le mani congiunte sul petto; le ha ora disgiunte in atto
invocativo.
Esse - dice l'artista - rispondono
meglio alla consueta iconografia dell'Immacolata, senza punto alterare
la staticità del movimento verticale di tutta la statua, il quale
è garantito dal manto che schiudendosi in due rette verticali,
asseconda il gesto delle braccia verso il cielo. L'evidente divergenza
fra la modellazione anteriore e posteriore della statua, coloristica
la prima, liscia, rigida e metallica la seconda, è simbolicamente
voluta. Nella parte posteriore il manto dorato assume il valore di un
paramento sacro che accompagna la massa nella sua tendenza allo slancio
verticale verso l'infinito, proteggendo tale slancio con il suo involucro
architettonico.
Inoltre, semplificando al massimo
gli attributi dell'anatomia femminile, lo scultore ritiene di aver impresso
all'opera quel carattere ieratico che dovrebbe trasparire dal complesso
equilibrio delle singole parti, dal loro particolare atteggiamento,
dalla fantomatica costruzione, che negligendo o addirittura eliminando
ogni sostanziale materialità, aspira nel suo ascendere verso
l'alto a una conclusione plasticamente estatica e trascendentale...
? - Corriere di Trieste
- 12 settembre 1954
La Madonna dell'Asco in
Piazza Garibaldi
Felice l'idea dell'ubicazione
di questo monumento. Dopo tanto discutere, eccola al suo posto la Madonna,
in una piazza popolare, in mezzo al traffico della gente, presidio alla
città, accompagnatrice del viatore. La bella colonna monolitica,
di pietra bianca del Carso, semplice, armoniosa, raddolcita dall'entasi
che un po' l'ingrossa nella parte di mezzo del fusto, ora campeggia
sullo sfondo verde dei platani e la statua d'oro spicca piú alta.
La si vede già dal Corso Garibaldi, in fondo, posta là
come una meta, che ci viene incontro. Certamente questa soluzione merita
plauso, perché tanto originale, come quella che non si poteva
prevedere e pertanto ci piace ancor di piú. Sta in sul principio
della Piazza Garibaldi, dove questa si restringe, ed è per chi
s'avvicina e la guarda piamente un saluto divino.
Invero l'opera di Franco Asco
interpreta ottimamente ciò che il Comitato Mariano chiedeva:
una figura divina ed umana che sollevi lo spirito del passante al cielo,
una Madonna sentita religiosamente, umile e alta, semplice e immensa.
Il capitello della colonna, sui cui Lei posa i piedi, è di stile
moderno, quasi cubista (un dado che ha i canti intersecati da una sfaccettatura
che gli dà ad ogni lato un pentagono) e la Madonna vi sta ritta
e ci appare tanto piú aerea. Tende le mani in alto verso il cielo
con lo slancio d'un'anima devota all'eccelso. L'attitudine è
ieratica, composta quasi in uno schema geometrico, eppure vi si sente
il palpito della vita.
Il suo viso estatico scompare
nella luce del cielo, e quasi non lo si distingue. Ed è bene
che sia così. I soliti simulacri umanizzano troppo la Madonna
e la rappresentano come una bambola, che al popolo ignaro dell'arte
e dell'infinita e sublime maestà dell'argomento può anche
piacere, perché piú vicina alla sua comprensione. Questa
nuova opera dell'Asco forse può deludere i devoti a immagini
stereotipate e comuni. Ma chi guarda quel gesto delle mani che si allargano
verso il cielo, sente bene che l'artista ha sentito profondamente ed
ha reso perfettamente questo anelito delle anime che in Maria trovano
l'Avvocata che intercede per le grazie celesti sulle pene dell'umanità.
Le mani sembrano simmetriche, ma non lo sono nell'espressione delle
dita. La mano destra si rivolge a Dio, e l'altra invece quasi si distacca
dolorosamente dai supplici, per chiedere misericordia.
Il manto cade alle sue spalle
ai lati, come ali; ed è rigido nelle sue pieghe. Invece la stoffa
del vestito pare piú morbida, damascata. Il corpo, nella schiettezza
di forme appena appena mosse castamente contenute in una linea sobria
e irreprensibile, è sottinteso ed è nulladimeno vivo.
I piedi calpestano vittoriosamente il serpente.
Quando è caduto il telo
che copriva la sua opera, l'artista mirandola aveva gli occhi luccicanti.
Poteva ben essere commosso alla solenne cerimonia, quando un Cardinale,
che presiede all'arte cristiana, inaugurava la sua opera d'oro.
Noi ora ricordiamo che egli si
fece tutta la sua strada da solo. Uscì dall'Istituto, e quando
fece la sua prima mostra da Michelazzi, nel 1917, siamo stati noi a
fare la prima noterella di critica sul "Lavoratore", unico giornale
allora "degli Italiani in Austria". Quanto cammino da allora ad oggi.
Come abbiamo già detto, l'Asco scolpì in marmo il busto
dello Zampieri, direttore dell'indipendente, al Giardino Pubblico; sulla
facciata dell'Aeroporto, ch'è volta sul ponteverde del Canale,
le due figure che si protendono verso l'alto in un anelito di volo;
ed ai lati dell'orologio, nel frontone della Stazione Marittima le due
nude figure, sedute, che si voltano a guardarsi, oltre le onde che uniscono
i continenti lontani. Raffigurazioni spaziali, in cui le distanze vengono
espresse dai limiti certi e sicuri dell'arte scultoria.
CESARE SOFIANOPULO
- Messaggero Veneto - 24 settembre 1954
Galleria Pagani
del Grattacielo (Milano, ottobre 1959)
Scultori astrattisti in
Via Brera
In occasione della personale
del pittore francese Michel Senphor, che espone da circa una settimana
alla Galleria Pagani ("Grattacielo") in via Brera 10, è stata
allestita per la prima volta nel bellissimo attiguo giardino una mostra
collettiva di alcuni scultori astrattisti, fra cui Fontana, Bloch ecc.
Segnaliamo un bronzo dello scultore Franco Atschko (Asco), intitolato
"Meriggio", che fa parte di un trittico comprendente anche "L'alba"
e il "Il tramonto".
? - La Notte - Milano,
6/7 ottobre 1959
Disegni astratti e sculture
all'aperto
La nuova galleria diretta da
Enzo Pagani inizia con la mostra di disegni...di Michel Senphor. ...
Lasciando Senphor l'intellettuale, il visitatore può accedere
al giardino della galleria. Sull'erba c'è scultura, inutile dirlo
astratta. ... Espongono Cappello, Carmassi, Crippa, Bloch, Fontana,
Minguzzi, lo statunitense Gould e Franco Asco. Cappello e Asco sono
i due che preferiamo per l'eleganza dei bronzi. ...
MARIO PORTALUPI -
La Notte - Milano, 14/15 ottobre 1959
Note d'arte - Forme e figure
nello spazio
... Sicché nelle more
dell'attesa di piú edificanti sviluppi dell'incipiente stagione
delle mostre a Milano, capitato a Varese sono tornato a quel Cimitero
Monumentale per rivedervi il monumento Grassi, dello scultore triestino
Franco Asco che da molti anni risiede ed opera nella capitale lombarda.
Proprio ora questo scultore ha avuto la ventura d'essere prescelto nel
concorso di pittura, che non gli è abituale, per il pannello
decorativo che verrà eseguito in mosaico veneziano sulla facciata
del nuovo Palazzo "Lido Sport". La massa bronzea di Varese, forse ispirata
dalla Michelangiolesca "Pietà Rondanini", ne è una libera
e nuova (questa sì veramente) poetica interpretazione, per il
lievitante affiorare delle figure dalla materia bloccata nell'estrema
sintesi delle linee.
Specchio del tempo, queste successive,
recentissime "Forme nello spazio", dello stesso scultore, legni forati
e levigati con l'artigiana diligenza d'un Moore, finiscono invece per
rimanere - come dice il titolo stesso - allo stato embrionale appunto
di "forme", casuali nella materia inerte, fine a se stessa. Non è
la prima volta (probabilmente sarà ormai l'ultima) che un artista
uso a lanciare figure nello spazio, si metta un bel momento a proiettarvi
delle forme: ma, a pensarci bene, queste potrebbero essere paragonate
a spenti meteoriti, quelle però - in termini astrali - a luminose
stelle. ...
SPARTACO BALESTRIERI
- La Rivista di Lecco, n.6 - dicembre 1960
Galleria Arredarte
- Trieste (1961)
In Viale XX Settembre n.16, nei
locali già occupati dalla Galleria Trieste (per tanti anni meta
obbligata degli amatori cittadini), s'è aperta la Galleria "Arredarte",
inaugurata sabato scorso con una personale di Franco Asco.
Chi sia Asco a Trieste lo sanno
tutti: anche se l'artista, triestino "di razza", viva e operi a Milano
da molti anni. Ma molti ricorderanno le sue piú recenti "personali"
che Asco allestì nella medesima Galleria Trieste (tra cui, ultima,
una "mostra polemica" che opponeva le mitiche figure di uomini e di
cavalli della tradizione accademica alla degradata umanità dell'espressionismo
sentita come "caricatura"); e tutti conoscono l'aurea "Madonnina" della
colonna di piazza Garibaldi: che sì è inserita assai stabilmente
come un dato ormai consueto e caro del paesaggio cittadino.
Asco fa ancora lo scultore e
non rifugge dal figurativo per il fatto di essersi accostato all'astratto.
Rifugge dalla deformazione espressionistica o cubistica, dal "brutto"
come afferma lui stesso: dal deforme quindi, non dall'informale. Ma
se i suoi "motivi" plastici, presentati in gesso (e da realizzarsi in
oro o in metalli preziosamente patinati), rappresentano in ogni modo
un notevolissimo ampliamento (pur nei limiti di una tematica lineare
unanimemente armonica) degli orizzonti culturali di Franco Asco scultore
figurativo, l'esercizio della pittura (cui da qualche tempo l'artista
si dedica con preponderante impegno) rappresenta qualche cosa che non
può e non deve essere considerato come un sottoprodotto o come
un diversivo: perciò il pittore inalbera un nome diverso da quello
ormai consacrato dalla multidecennale fama dello scultore. E se oggi
firma Atschko (secondo l'originaria grafia del suo cognome) ciò
è proprio perché si dica: "è apparso il nuovo pittore
Atschko" e non: "Franco Asco scultore s'è messo a dipingere".
Ma francamente della serietà
e dell'importanza della pittura di Asco non è il caso in nessun
modo di dubitare: si tratta di composizioni che, della poetica dell'informale,
mostrano di aver colto l'essenza, e di averne sentito tanto piú
sinceramente il richiamo, quanto meno sollecito di un puntuale riferimento
a Tizio o a Caio. Nell'ambiente dell'astrattismo italiano Atschko (riprendiamone
anche noi il vecchio e nuovo nome nella sua sonorità "mitteleuropea")
si trova in una condizione privilegiata: quella di aver dietro a sé
l'impareggiabile fondamento del tirocinio compiuto nelle Kungstgewerbeschulen
austriache. Se non altro produttivo nel senso di qualificare la sua
pittura come tecnicamente diversa di fronte all'informalismo di macchia,
effervescente ed estemporaneo comune nell'ambiente italiano.
La tecnica di Atschko è
in realtà elaboratissima e preziosa: colature a colori multipli,
corrugamenti e increspature, contrapposizioni di colori lucidi e opachi
si dimostrano per tal modo consentanei e necessari, da parer generati
dall'opera stessa della natura. E in effetti l'artista ha saputo tener
presente insieme e i procedimenti naturali per cui si generano le marne
e le puddinghe e le brecce e i marmi colorati per intrusioni e cristallizzazioni
minute, distinti e variati in modo gradevole e, in ogni tempo, pregiato,
e il gusto inerente alla febbrilità artistica in sé considerata,
com'è nel caso della lacca, del mosaico e della pittura intesa
nei valori tecnici segno macchia pennellata. D'altro canto il tema della
"materia nascente" si innesta sul tema spaziale dei mondi in formazione
e dei sistemi galattici e quindi sul tema dell'infinitamente piccolo,
rivelato dalle moderne tecniche di fotografia microscopica se non proprio
dalla diretta esperienza del microscopio elettronico. E' dunque una
figuratività nuova questa, indagata primamente dall'occhio meccanico
della macchina fotografica e colta attraverso la visione mediata per
mezzo di filtri o schermi rivelatori (com'è del radar e del microscopio
elettronico) che hanno reso visibile l'invisibile, allargando d'altrettanto
il campo dell'esperienza visiva dell'umanità. E questa nuova
figuratività è poi una delle componenti piú valide
della piú complessa risultante "informale". Certe fotografie,
scattate dall'aereo servendosi di filtri all'infrarosso e di normale
pellicola a colori, rappresentano p.es. uno stimolo di primissimo piano
per la fantasia del pittore astrattista. E in tal modo la gioia esaltante
della scoperta di nuovi mondi, del cabotaggio in terre incognite, che
ha sempre sostenuto l'entusiasmo dell'artefice novatore, può
ancora accompagnare l'artista nella sua avventura sempre piú
avida e ingrata alla ricerca del nuovo per il nuovo. Codesto non manca
mai nei grandi, ma è, in misura maggiore o minore, presente sempre
negli artisti sinceri e seri, E' presente anche in Atschko ed è
ciò che riscatta dalla taccia di "preziosismo" queste composizioni
eleganti, raffinate, piacevolissime. Perché le composizioni di
Atschko, pienamente in linea con l'attuale situazione della ricerca
artistica e squisite e "finite" pur nella loro indeterminatezza, come
se fossero uscite dalle mani di un artista dell'Estremo Oriente, piacciono
al pubblico. Ed è facile prevedere per esse il maggior successo
mondano presso sempre piú larghi strati di ammiratori. E il successo
presso il pubblico non è necessariamente sinonimo di conformismo
e di superficialità.
GIO. - Il Piccolo
- Trieste, 25 novembre 1961
Nuova opera di Asco al
cimitero di S.Anna
Al cimitero di S.Anna si è
in questi giorni scoperto un notevole e pregevole pezzo di architettura
e scultura funeraria: la cappella Tyrichter, tanto nella parte strutturale
che nelle parti ornamentali, opera del concittadino Franco Asco. La
cappella è di forma elementare: un parallelepipedo di prezioso
e durissimo marmo nero di Svezia, con un vano interno di quasi quattro
metri quadrati, cui si accede attraverso una porta di bronzo a due battenti,
traforata da un'apertura a forma di croce e decorata di motivi astratti.
Internamente, sopra una mensa di marmo rosso è collocato un ritratto
in bronzo dorato, ovviamente realistico, della defunta in figura di
S.Rita. La parete di fondo presenta una finestra parimenti a forma di
croce e chiusa da vetri colorati.
L'insieme riesce di grande nobiltà,
per la calibrata armonia delle proporzioni, per la bellezza del materiale
e per la semplicità estrema (che non è tuttavia povertà)
del concetto architettonico: la cappella si erge infatti come una stele
o un altare da un piú espanso gradino; i brevi fianchi sono qualificati,
come tali e distinti dalla fronte da un austero gioco di rientranze
e di sporgenze, mentre il monolito di chiusura sigilla limpidamente
la forma geometrica del blocco. Delle decorazioni dei battenti bronzei,
a motivi astratti rettilinei e curvilinei, conviene rimarcare la discreta
prestanza decorativa, non disgiunta da un vago contenuto simbolico:
allusivo alla speranza ultraterrena nel passaggio dalle forme frante
e spezzate alla dolcezza melodica delle curve.
E' indubbio che la nuova cappella
è una delle piú pregevoli opere funerarie eseguite negli
ultimi anni per il Cimitero di S.Anna, e che la presenza e la responsabilità
di un artista vero è la sola garanzia di riuscita in imprese
di tal genere.
? - Il Piccolo -
Trieste, 10 giugno 1962
Il parco museo di Pagani
(estratto)
...Le monumentali opere di Asco che raggiungono i 15 metri di altezza si innalzano ocn sicureza ed eleganza.
FRANCA MENOTTI - D'Ars Agency - settembre-novembre 1962
Fondazione Pagani
- Castellanza
Sorge a Legnano un tempio
della cultura (estratto)
Novità di rilievo al Parco
Museo che il gallerista-pittore Enzo Pagani sta realizzando alla periferia
di Legnano. ... La seconda riguarda le opere di due scultori di chiara
fama che, da Milano e Parigi, si sono trasferiti al Parco Museo, per
realizzare alcune opere sul posto stesso dove sorgeranno, accanto ad
altre centinaia di sculture. I due scultori all'opera sono Asco e Falchi.
...
... Franco Asco, dopo aver girovagato
in Europa e in America, da vari ani si è stabilito a Milano ed
è stato lieto di aderire all'invito di Pagani. Asco, che ha sessant'anni,
la figura alta e lo sguardo occupato a trovare dimensioni che lo convincano,
ha completato "Metamorfosi di forme" che si erige bianca e snella.
Questa scultura ha la fierezza di un cane di razza al quale il suo padrone
abbia imposto una immobilità statuaria. Sono ormai due mesi che
l'artista modella le forme, prima sotto il sole, ora a intervalli, solo
quando le condizioni atmosferiche glielo permettono. Dopo aver terminato
"Lo spirito oppresso dalla materia", l'artista è intento
a dar vita a "Forme nello spazio", che si trasformano lentamente
dalle strutture in armatura, simili a scheletri abbandonati in un deserto.
Quest'opera sarà in cemento e mosaico.
La scultura di Asco ha qualcosa
di astrale che si ispira al figurativo, come ammette lo stesso autore,
ma che non manca di ottenere effetti immediati. L'accostamento tra "Lo
spirito oppresso dalla materia" e "Metamorfosi di forme"
fa pensare che la prima opera sia una liberazione dalla seconda. Un
pensiero, un'idea, nati per collegare un sentimento ma, contemporaneamente,
per liberarsene. Ecco perché Asco ammette che preferisce "sempre
l'ultima opera" quasi volesse distruggere quella precedente. ...
GUALTIERO CONTI -
La Notte - 27 novembre 1963
Il Parco-Museo Pagani
(Alcuni artisti del parco museo) - Asco:
Descrive forme nello spazio, articolando l'azzurro del cielo di un ritmo che lo rende riconoscibile.
ALEIMODO AXELOS - Artecasa n. 63 - 1963
Galleria Cavour -
Milano (Maggio 1968)
Asco d'oro
La mostra che lo scultore Francesco
Asco ha inaugurato giovedì alla Galleria Cavour (piazza Cavour
1) è di quelle che non si devono perdere. No, non è un
artista che Milano e i milanesi "scoprono" oggi; ma, proprio per questo,
la sua evoluzione apparirà a tutti particolarmente interessante,
orientata com'è verso un traguardo di bellezza che rappresenta
ormai il tema dominante della sua opera. Ecco, se di Asco si dovesse
dare una definizione breve, telegrafica, si potrebbe scrivere: sacerdote
della bellezza. Da parecchi anni, infatti, egli appare ossessionato
dal brutto, o meglio da ciò che di brutto c'è nell'arte
moderna e che, a qualunque costo, senza ritegno, si vuol far passare
per bello, o almeno per "importante". Asco dice che le cose brutte sono
brutte e basta, e che, come tali, non hanno niente a che fare con l'arte.
Aggiunge che bisogna combattere contro la bruttezza. Eccolo dunque in
trincea, nella galleria che lo ospita. Quali armi adopera? Le uniche
valide, le uniche capaci di convincere. Questa mostra ospita 25 sculture
e 25 disegni. Lo scultore, giustamente famoso, conferma con questa interessantissima
mostra le sue grandi qualità, rivelate quando a tredici anni
scolpì un busto dell'Imperatore Francesco Giuseppe. Per entrare
all'Accademia di Belle Arti di Vienna, gli fecero tenere -data l'età-
un esame speciale. Era un ragazzo prodigio, non volevano perderlo. A
17 anni vinse il suo primo concorso, a 20 il secondo. Nato a Trieste,
Asco non ha mai voluto rinunciare alla cittadinanza italiana. A Vienna
gli offrivano condizioni favolose, per restare; preferì tornare
in Italia. Vive a Milano dal 1933. Quando vi arrivò, aveva lo
studio in Via Manzoni e frequentava il bel mondo (Jia Ruskaja fu la
sua prima cliente milanese). Nel 1936, espose alla Galleria Pesaro.
E' suo il grande fregio sulla storia della danza che c'è al cinema
Ariston. Sono suoi i disegni su vetro e i pannelli del cinema Metro-Astra.
Per il Monumentale ha fatto 25 statue e una decina di cappelle. Il Museo
di Trieste e la Pinacoteca Ambrosiana hanno opere sue. La Fondazione
Pagani di Legnano, nel famoso Museo all'aperto, espone tre "colossi"
(uno è alto dieci metri) di Francesco Asco. E' uno scultore,
lo avrete capito, che non ha bisogno di fare una personale o di "rivelarsi";
ma gli piace il contatto col pubblico, gli piace essere umile; gli piace
soprattutto predicare (la bellezza) coi fatti.
? - La Notte - Milano,
Sabato 4 maggio 1968
Alla "Galleria Cavour" in piazza
Cavour 1 (tel. 667.705), Milano, lo scultore Franco Asco si presenta
con una ricca serie di disegni e sculture, dopo una lunga assenza dalla
vita militante artistica. Noi abbiamo visto con molto interesse la ripresa
operativa di Franco Asco, il quale è sempre proteso nella sua
ricerca che convoglia, in una unica sintesi formale, le necessità
espressive figurative con le soluzioni plastiche pure.
Partito da alcune esperienze
cubiste, Asco ha maturato in questi suoi ultimi lavori una maggiore
libertà formale, meno legata ai temi contenutistici, e certe
sue opere acquistano una particolare lievità, un senso di aerea
leggerezza, che meglio esprime la sua affinità spirituale con
l'astrazione. Asco è un artista seriamente impegnato dalla necessità
di sviluppare un suo linguaggio che esclude la poesia.
FRANCO PASSONI -
L'Avanti! - Milano, 5 maggio 1968
Franco Asco all'insegna
della "purezza"
A snellire in sede di cronaca
i precedenti artistici di Franco Asco - scultore triestino che riespone
adesso dopo una lunga parentesi - si può avviare il discorso
dalla mostra sua di trent'anni fa qui a Milano, ordinata alla galleria
Pesaro. Quella galleria, per importanza, era un'isola in una città
non artisticamente, mercantilmente viva come questa d'oggi, e in certo
senso, perciò, città piú esigente e restia e anche
diffidente dinanzi alle "bizzarrie" degli artisti espositori.
Asco vi ebbe la sua prima "personale",
e con essa egli allacciò i primi contatti col pubblico milanese.
L'artista dovette essere ben persuasivo attraverso le sue opere, se
talune di esse, dalla Pesaro e giusto nel '38, passarono alla Galleria
Civica di Arte Moderna e alla Pinacoteca Ambrosiana.
Asco aveva un quindicennio di
lavoro dietro sè. La sua biografia segna altre tappe in Italia,
e all'estero; anche alla Biennale di Venezia, ma quel che interessa
sottolineare allo stato dei fatti è che i trent'anni che separano
il primo incontro di Asco con Milano da questo suo ripresentarsi, ora,
alla galleria Cavour, non sono soltanto tre decenni di esperienza accumulata
(che contano pur molto nella vita di un artista), ma i tre decenni piú
"veloci" e turbinosi della vita contemporanea. Le forme scultoree sono
divenute, nel panorama dei gusti, della estetica, forme reattive al
naturale e anzi al naturalistico modo di esser viste e scolpite o modellate,
in qualche parte della produzione secondo-novecentesca: sino a far parlate
di forme pure. La "purezza", lo stile forbito e raffinato dipendono
dai concetti personali e di giudizio; oscillano di fronte alla astratta
idea del "puro"; tuttavia s'è autorizzati a considerare il "puro",
quando - ecco il caso di Asco alla "Cavour" - un artista dia la figura
umana mutilata agli arti, con il tronco sfuggente e liscio e fusellato,
con i volumi piú geometrici che imitanti gli umani, così
che le superfici - per esempio anche d'un cavallo stilizzato e asciuttizato
- abbiano a rifiutare le ombre per essere avvolte dalla luce.
Le modellazioni dei gessi levigatissimi,
le fusioni per le quali, a mezzo delle patine lucide o sabbiate, lo
scultore tende agli effetti del colore, fanno di Asco un purista. Depongono
su tale definizione il "torso" femminile della mostra, gli eleganti
pezzi a foggia di pale d'elica, ovoidali, lenticolari in sovrapposizione.
Asco è dunque scultore d'eleganze; è artista che opera
su posizione d'idealizzazione estetica, con un mestiere, sia detto a
suo onore, praticato a fondo. Il "torso", il "cavallo",
gli "ovoidi", le "pale d'elica", i gessi trattati come
marmo, i bronzi non possono andare avulsi dalla individualità
creativa di questo artista; paragonativamente, però, va rammentato
che certe forme a fusello, lenticolari, ovoidali in purezza e quindi
senza rughe, senza pieghe, senza anfrattuosità scavate, contrassegnano
nella scultura moderna un momento internazionale di approdo quasi a
un nuovo estetismo, dal dopoguerra in avanti. E a questo proposito vengono
facilmente alla penna i nomi di Arp, di Alberto Viani, del Moore essenzialista
e alcune forme delle "foglie" della scultura mobile inventata da Calder:
sculture come queste di Franco Asco, per la casa e per il giardino.
MARIO PORTALUPI -
La Notte, Milano 4 (o 9?) maggio 1968
Franco Asco
Settimana dedicata alla scultura,
questa: ecco alla "Galleria Cavour" (piazza omonima), le "sintesi" di
Asco. Sono bozzetti di opere che esigono la grande dimensione ma, anche
così, risultano interessanti, soprattutto per la carica di fantasia
che posseggono in quanto sono altrettante "forme pure" senza titolo,
proposte che l'autore ci fa (il mito, creatura donna, il grande uccello,
una Crocifissione ottenuta con un elemento unico incorniciato su legno
scuro, ecc.) in marmo, in gesso, in pietra. Forma pura, sintesi felice,
libero volo all'immaginazione. Forme che avrebbero la loro sede ideale
in altri immensi edifici funzionali, in giardini popolati di altissimi
fusti, oppure in nicchie ricavate nel verde. Una non figurazione, insomma,
che esprime ugualmente - e con estrema finezza - quella poesia, ch'è
elemento indispensabile per la creazione artistica.
Come dire, in conclusione, che
non si tratta di stili o di epoche ma, solamente, di possibilità
creative - ieri come oggi - e che ogni tempo deve lasciare, anche in
arte, la propria impronta.
PINO ZANCHI - Il
Giornale di Pavia - 19 maggio 1968
Flash su Franco Asco alla
Televisione Svizzera
Il 7 ottobre, durante la piú
importante trasmissione della Televisione svizzera dedicata alle arti
e alla letteratura ("Lavori in corso") è stato dedicato un importante
"flash" anche allo scultore triestino Franco Asco. Tra gli intervistati
erano Giorgio Bassani, Carlo Castellaneta, Bruno Cassinari, il teologo
svizzero Barth, la scrittrice Ingeborg Bauchmann, ecc. Di Franco Asco
sono state riprese le opere esposte alcuni mesi fa alla Galleria d'Arte
Cavour di Renzo Cortina a Milano, commentate da Luciano Budigna. Ai
telespettatori svizzeri il critico e poeta triestino ha spiegato che
"le sculture, le immagini" di Franco Asco - così affidate alla
bellezza, alla "bontà" della forma pura, della "natura creante"
piú che della "natura creata" - confermano ancora una volta la
profonda vitalità poetica dell'area culturale cui egli appartiene:
quella degli scrittori e degli artisti di Trieste, di Svevo e di Saba,
di Slataper e degli Stuparich, di Timmel, di Carmelich, di Bolaffio;
artisti e scrittori che sempre hanno fatto della ricerca un mezzo assai
piú che un fine.
La fama, il successo sono stati
sinora avari con Asco: un artista troppo schivo dal facile gioco mercantilistico.
Ma l'opera sua, a chi abbia occhi attenti e disinteressati, appare ben
dentro la via regia dell'arte europea contemporanea: partita con grande
umiltà dalle prime esperienze cubiste (alla Lipchitz, alla Zadkine
e, piú alla Henry Laurens), avendo ritrovato con animo intatto
le emozioni della forma di Brancusi, sembra ora voler percorrere all'inverso
l'itinerario che ha portato Wantogerloo dal naturalismo all'astrazione
assoluta nel segno della universale validità di Jean Arp. Un'opera,
la sua, di alto e, in ogni senso, duraturo valore.
Franco Asco, che vive e lavora
a Milano, si sta autorevolmente reinserendo nell'arte attiva. In un
certo senso la critica lo sta riscoprendo per la seconda volta e collocandolo
nel posto che gli spetta di diritto tra i massimi artisti italiani viventi.
Non a caso alla TV svizzera egli è apparso al fianco di Cassinari.
? - Il Piccolo -
Trieste, 15 ottobre 1968
Un cavallo in Galleria
Ottagono della Galleria "Vittorio
Emanuele". Nel bel mezzo troneggia da ieri la statua di un cavallo
in bronzo donata da Renzo Cortina all'Opera Mutilatini di Don Gnocchi.
Il cavallo è opera dello scultore Franco Asco, triestino di nascita
ma milanese di adozione (sue sono numerose decorazioni di cinema e teatri,
tra cui il Metro-Astra, e il grande bassorilievo che fregia il Palazzetto
dello Sport), che piú di un anno fa espose con successo le sue
sculture piú recenti proprio alla Galleria Cavour di Renzo Cortina.
Intorno allo splendido cavallo in Galleria i milanesi si soffermano
da ieri in folti gruppi, lodando l'opera e il munifico gesto.
? - La Notte - 9
dicembre 1969
A quattro anni dalla sua morte
forse UN NOME DA CELEBRARE non soltanto a Milano, sua città d'adozione,
in uno dei più significativi e fecondi periodi della sua vita,
ma DA PRONUNCIARE CORALMENTE ed inserire di diritto NELLA STORIA DELLA
SCULTURA DEL XX SECOLO
Franco Asco, triestino, nasce
nel 1903 e muore nel 1970. Nel prossimo anno 1975 il comune di Milano
si appresta a tributargli degna testimonianza con una grande mostra
antologica. Già nel lontano 1928, con la sua seconda mostra personale
organizzatagli dalla Galleria Pesaro, Franco Asco ricevette nell'ospitale
Milano il suo primo grande successo di pubblico e di critica.
Ma quella che, a buon diritto,
crediamo di poter chiamare la sua sorprendente e proteiforme "manualità"
d'artista, dovette trasparire agli intenditori molto tempo prima se
- appena quindicenne e a maggior ragione vero - "enfant prodige", nel
senso che la scultura, fra le arti, è certamente quella che richiede
un tirocinio tecnico più prolungato e più duro - la stessa
Accademia delle Belle Arti 7di Trieste lo inviò a sue spese alla
Accademia di Vienna.
Da Vienna il giovane Asco fuggì
quasi subito per rientrare in patria e le accademie d'arte che successivamente
frequentò furono un po' tutte le più importanti della
penisola: Venezia, Roma, Firenze e di nuovo Trieste.
La prima mostra personale, precedente
quella di Milano già nominata, l'ebbe nella città natia;
ma attestati, medaglie e continui riconoscimenti, fino al 1930 circa,
furono di ogni dove, nazionali e internazionali.
Dopo quella data, come spesso
succede agli ingegni troppo precocemente e velocemente rivelatisi, la
crisi e l'eclissi quasi totale in campo nazionale per circa venti anni,
con una sola eccezione extra-continentale: nel 1947 apparve alla ribalta
del successo nel lontano Sudamerica con una mostra a San Paolo del Brasile,
dove molti collezionisti apprezzarono ed acquistarono le sue opere.
Nel 1949 riappare in patria,
espone ancora a Trieste con una monografia che illustra una serie di
nuove opere rivelatrici non solo di una capacità tecnica oramai
interamente raggiunta, tale da permettergli di operare con estrema maestria
in tutti gli stili, utilizzando indifferentemente le varie materie:
la cera, la creta, il marmo, il bronzo, la pietra; ma opere rivelatrici
anche del tormentato diario postumo della sua eclissi, che poi altro
non è che una avvincente confessione della stessa crisi operosa-animosa
rimasta in atto, si può dire, fino alla sua morte.
D'altronde la sua personalità
inquieta è stata fin dagli inizi assillata da un'interiore problematica
tra realtà e verità che sembra trascendere la già
simile e già inquietante problematico di tutta la cultura e l'arte
dei nostro novecento.
A proposito, chi ha come me la
ventura di imbattersi in questa vecchia monografia (edita da Smolars
- Trieste, 1949), guardi la tavola intitolata "Orrore del vero",
naturalmente per un momento dimenticando tutti gli incombenti "ismi",
artistici e no, dei mezzo secolo italiano e sostituendo il titolo con
quello più suggestivo, pirandelliano e tragicamente calzante
sia per l'opera sia per l'autore, di "Uno, nessuno e centomila".
Un bisogno implacabile di ricerca,
spesso affannosa e disordinata ma sempre autentica, gli rendeva infatti
irraggiungibile l'ideale artistico definitivo perché, per innata
disposizione temperamentale, l'ideale gli tornava nuovamente diverso
e da raggiungere proprio quando avvertiva di averlo appena perseguito.
Ciò lo rese, sì,
avido e prodigiosamente capace di assimilare tutte le tecniche dalle
più classiche alle più contemporanee. Ma io rese anche
troppo sensibile agli altri, capace di rispondere simultaneamente a
tutte le sollecitazioni artistiche dei momento, particolarmente caotiche
e in opposizione tra loro.
Si riscontrano quindi nella acrobatica
abilità di Franco Asco inevitabili assonanze arcaiche egiziane
ed etrusco-romane, nonché tutti i richiami fine ottocento come
il preziosismo e l'eleganza neoclassica dei milanese Adolfo Wildt e
la stilizzazione retorico-vigorosa dei francese Bourdelle. E naturalmente,
man mano che ci si inoltra nel pieno della sua maturità espressiva,
meglio si rilevano anche i richiami a lui più contemporanei,
come l'impeto dell'immagine plastica riscontrabile nelle opere mature
dei suo conterraneo Arturo Martini o la plasticità piena e composta,
appena modulata ma viva, di certe serene "Pomone" - di Marino Marini.
Né in Franco Asco è
certamente da trascurare la fortissima influenza di Picasso e della
scultura cubista di Lipchitz; e neanche alcune influenze informali rilevabili
nell'ultimo scorcio della sua vita di uomo e di instancabile ricercatore
dì forme sempre nuove e diverse.
La forza distintiva di Franco
Asco non è quindi nella originalità formale e neanche
tutta nello sbalorditivo eclettismo e conseguente capacità metaforica
di affrontare con pari bravura ogni sorta di temi e di modelli.
La sua forza, di cui forse la
critica consacrata deve ancora ufficialmente accorgersi, è specialmente
nell'avere rivissuto con intensità, durante il periodo più
meditato e lucido della sua produzione artistica che si rileva soprattutto
dal 1949 in poi, tutte le contraddizioni, le seduzioni, le soluzioni
e le lacerazioni che naturalmente scaturiscono da ogni richiamo, da
ogni messaggio, urgenza, sgomento; da ogni fase dell'eterno divenire
dell'arte.
La sua forza è di offrirci
una straordinaria e sintetica " storia " plastica in poderosi - volumi
-.Una "storia" preziosa, quella di Franco Asco, non solo perché
per la eccezionale padronanza della tecnica -"ogni sua soluzione
interessa la scultura ed è un insegnamento per se stessa",
come giustamente dice il critico d'arte Franco Passoni. Ma anche perché
per noi lettori comuni semplicemente sensitivi, la sua è una
insolita "storia" visiva a caratteri doppiamente "scultorei" nella forma
e nel senso dell'idea.
" lo non posso tramutare in
parole sulla carta la dialettica del mio spirito... non possiedo lo
schermo su cui far scorrere le immagini atte ad illustrare...
lo non so scrivere ", ebbe a confessare con linguistica umiltà
lo stesso Franco Asco. Il che penso che valga, per il buon intenditore,
come dichiarare con legittima consapevolezza: - l'unico mezzo espressivo-creativo
che mi compete sono la creta e la pietra.
La creta e la pietra: come dire
le materie prime, secondo le Scritture, dell'Artefice Sommo e del suo
profeta; e ciò detto non per retorica enfasi, ma per doveroso,
commosso inciso nei confronti della scultura di tutti i tempi.
Sì, in Franco Asco l'abilità
dell'artefice è tuttavia tale da sopraffare la creazione artistica
puramente intesa. Ma è spesso pari all'acutissima analisi di
ricerca e di critica, alla satira spesso geniale di tutte le incongruenze,
le male fedi, le turbolenze delle varie correnti artistiche, per natura
in clamoroso e continuo contrasto e in Italia aggravate, per un certo
periodo storico, dall'utilizzazione quasi sempre celebrativa o "politicamente
strumentalizzata", come oggi si usa dire, della scultura.
Ma anche la critica insolitamente
plastica di Franco Asco, per fruitori d'arte allo stato puro, nel senso
di non "culturalmente inquadrati" e di non "politicamente strumentalizzati"
come noi, ci sia concesso di dirlo, è - e può essere -
vera arte.
LUISA BANDINI BENSI
- Pan - novembre 1974
Museo di Milano
- (Ottobre 1979)
Mostra di scultura: autore
di talento
L'ultima mostra dello scultore
triestino Franco Asco (1903-1970) fu tenuta nel '68 a Milano, città
nella quale l'artista, dagli anni Trenta avanzati, ha ottenuto diversi
consensi per le esposizioni sue, alcune contrassegnate dalla nobilitante
ufficialità.
Quella fu una mostra di opere
piuttosto astrattistiche, d'un astrattismo ora derivato da forme umane
spinte assai al sommario, ora condotte a volumi armoniosi, a soluzioni
curve nel bronzo, nel legno, nel marmo.
Come allora, tale fase d'estremo
conseguimento estetico nella carriera dell'abile scultore - cominciata
quando certa "classicità" faceva testo - in questi giorni è
il coronamento morale della mostra allestita nel Museo
di Milano, approvata dalla Ripartizione cultura e spettacolo
del nostro Comune.
E' rassegna che "viene incontro"
al visitatore già nel cortile dell'austero palazzo, che prosegue
rispettando la progressione della tipicità dei "gusti", perciò
i passi cronologici del lavoro attraverso quella tale "classicità",
attraverso una realtà umana talora come avvolta da un velo, attraverso
soggetti umani posanti con tutto il peso della loro staticità,
taluni con accenni morfologici parrebbe di cauta discesa da Medardo
Rosso: sculture magnificamente modellate, indi fuse nel bronzo, se non
tagliate direttamente nel marmo.
Una mostra utile informativamente,
perché molto ricca di esemplari, bella nei suoi ritratti, nei
temi religiosi, umani, nei cavalli balzanti, nelle composizioni (in
tuttotondo e nei bassorilievi) non figurative, nelle medaglie. I disegni
di robusto tratto, la varia scultura , depongono largamente sul valore
di un artista di alto talento.
MARIO PORTALUPI -
La Notte - 13 Ottobre 1979
Museo
di Milano
Franco Asco, triestino (1903-1970),
ma milanese di adozione, formatosi nel contesto della cultura germanica
nel secondo decennio del secolo, mantiene per tutti gli anni Trenta,
al di la' di un'agile vena accademica, un portante rapporto con scultori
come Ernst Barlach, del quale riprende le chiusure dei volumi, le tensioni
dei rapporti plastici, la violenza del racconto. Da metà circa
degli anni 50 sono interessanti le sue ricerche collegate da una parte
ad Arp dall'altra a Viani, mentre un gruppo di opere della serie Forma
in evoluzione, può confrontarsi utilmente con le indagini
di Max Bill, lo scultore e pittore svizzero, sulle costruzioni topologiche.
Un percorso complesso dunque, ma anche una personalità da restituire
a una piú corretta lettura delle differenti tradizioni culturali
in Italia, dove la radice francese è sempre sottolineata a discapito
della germanica, a lungo portante soprattutto a cavallo dei due secoli.
ARTURO CARLO QUINTAVALLE
- Panorama - 5 Novembre 1979
L'attività iniziale rileva
moduli eclettici: il neoclassicismo accademico e canoviano si combina
a brani calligrafici, ancora influenzati dal liberty nel bronzetto "Vitis"
(1925) per il monumento ad Oberdan. Sullo scorcio degli anni '20 i bassorilievi
della Stazione marittima (a Trieste) e, intorno al '32, quelli della
necropoli di S.Anna (a Trieste) lo vedono orientarsi verso la stilizzazione
neoattica che, frequente nei tedeschi e nei secessionisti, filtra nei
profili "secchi" del novecentismo italiano. La statuaria si stabilizza
in forme chiuse e compatte: la staticità levigata e tornita del
"Busto in gesso" presentato alla Sindacale del '28, si trasforma
nel monolito della "Madre d'eroe" esposto alla Sindacale del
'32, le riflessioni storicistiche fluiscono in un primitivismo arcaico
e "universalizzato".
LUISA CRUSVAR ne
"Gli affreschi di C.Sbisà e la trieste degli anni '30" -
AAST Trieste, 1980
Galleria Schettini
- Milano (1981)
Sculture di moderna sintesi
Opere di scultura e parecchi
disegni di Franco Asco (Trieste 1903 - Milano 1970) sono esposti alla
galleria Schettini.
La biografia dell'artista è
ricca di notizie intorno all'attività e alle mostre da lui ordinate
in Italia e all'estero, notizie che riguardano pure Milano, dove poco
piú che trentenne esponeva per la prima volta nella celeberrima
galleria Pesaro, nel 1948 e 1950 ordinava una "personale" e la bissava
alla galleria Cairola e nel 1968 allestiva una mostra da Cortina.
Intanto la nostra Galleria d'Arte
Moderna e la Pinacoteca Ambrosiana acquistavano sue opere: su una guglia
del Duomo c'è una statua sua.
Ritrattista d'espressione realistica
agli inizi, Asco veniva modificando il modo scultoreo su una visione
di modernità, sintetizzandone le forme con uno stile per così
dire "fasciato", tendente alla volumetria significativa della figura
femminile, del nudo sommario, dell'astrazione di parti anatomiche pur
sempre femminili.
Del resto va citata la classicità
di taluni bronzi, dei quali si ha qualche esempio in mostra, citata
la destrezza dell'animalista, segnatamente nelle versioni dei cavalli
d'una certa grandezza e dei relativi bronzetti. Sono forme ridotte all'essenziale,
levigate, che corrispondono piú alla depurata scultura-luce che
non a quella tradizionale di luce-ombra.
Si vuol dire, in altre parole,
che il visitatore dell'articolata mostra ha davanti a sè una
"produzione" di sculture date da risoluta personalità, osservante
di un suo caratteristico linguaggio, riconoscibile anche nelle fasi
di "passaggio" fino a quando Asco ha dato il via ai bronzi e alle "pietre"
astratti.
I disegni sono pure luminosi,
pure di piega moderna, composti da asciutte parti umane inguainate da
panneggi: sono lavori magnificamente ideati, come le sculture sono tali
da recar lustro nelle abitazioni o giardini di eventuale collocazione,
per le loro stesse qualità artistiche.
MARIO PORTALUPI -
La Notte - 27 giugno 1981
Franco Asco
Molto amati e raffigurati i soggetti
dei cavalli. La grande purezza plastica e volumetrica di quell'animale,
taluni movimenti e certe possibilità espressive connesse all'estetica
delle forme, gli hanno fornito materia di riflessione e di studi particolari.
Alcuni cavalli in bronzo sono esposti nella mostra, dalla "testa
di cavallo" del 1967, al "cavallo che scalcia", "cavallo
accosciato", allo stupendo "cavallo seduto", tutti dello
stesso anno e nella bellezza delle linee che sono un assunto di Asco...
FRANCO PASSONI -
Finearts n.4/5, 1981
Franco Asco
Franco Asco ha avuto una
vasta ed esauriente rassegna delle sue opere alla Gall. Schettini.
L'artista, partito da un oggettivismo un po' riassuntivo, è andato
via via sempre piú verso una libertà espressiva che lo
ha portato all'astratto per imprimere poi maggior slancio alle sue creazioni
figurative sintetiche degli ultimi anni nelle quali sembra che uomini
ed animali tentino di svincolarsi dalla materia che è stata chiamata
a definirli. Asco ha ben meritato i molti riconoscimenti che ha ottenuto
e l'ingresso di sue opere in tante gallerie pubbliche e private. Diremmo
che questa mostra è servita, con le sue numerose opere ben scelte,
a dare una maggior dimensione all'artista pur ben noto.
EMILIO VITALI - Libertà
- Piacenza, 28 luglio 1981
Franco Asco
Scultore di storica esperienza
organizza la sua opera nello spirito progredito della plastica contemporanea
piú sensibile al richiamo della dinamica. A quel processo critico
della sintesi in cui la forma sa essere l'espressione/movimento che
si rivolge alla pura energia. Un'immagine tutta sentita e realizzata
nell'armonia continua della ricerca, dove il ritmo è segnale
sensorio avanzato che palpita nell'ignoto la notizia della nuova emozione.
La situazione di un creativo che registra i suoi equilibri nello spirito
ascendente della sola intuizione poetica che sa penetrare la materia
e viverla come vuole. Un discorso di sogno e realtà di forme
e di evoluzione delle stesse, di maternità, di drammi, di linguaggi
in cui l'animo esprime il suo urlo, il suo dolore, la sua contemplazione
con efficacia di stile e poetica d'invenzione.
"MARPANOZA"
- Artecultura-Splendor - Milano, luglio 1981
Franco Asco fu uno scultore di
alta e qualificata estrazione che, dopo aver acquisito ogni segreto
del mestiere, sperimentò l'armonia del classicismo, la dinamica
interiore dell'espressionismo sempre alla ricerca di una forma pura
di in se' stessa e di tensioni che la riproponessero in termini inusitati,
anche a costo di distruggere ogni edonistica apparenza. Da questo contrasto
derivarono i suoi tormenti ch'egli cercò di placare nella ricerca
di ritmi astratti che gli conferirono la forza di piegare a moduli stilistici
essenziali le immagini di cui egli fece ritorno in una ritrovata coscienza
figurativa. Artista appartato e orgoglioso nella sua umiltà,
Franco Asco merita di essere ricondotto in prima linea nel panorama
di quella scultura che segna il passaggio dall'età di Maillol
a quella di Moore.
MARIO MONTEVERDI
- Dizionario Critico Artitalia, 1990
...Tuttavia, acquistare opere triestine è stato per me segnare, anche sul piano dei rapporti personali ed emotivi, l’importanza assoluta della scuola dei pittori di Trieste del ‘900, al di là della loro identità locale sentirne un respiro universale che è quello che documentano due grandi scultori, Franco Asco e Attilio Selva.
Sono scultori di rilievo, al pari Arturo Martini e Marino Marini, benché meno conosciuti...
VITTORIO SGARBI - da http://www.genius-online.it/vittorio-sgarbi-intervista-al-professore/ , 2017
FRANCO ASCO
FRANGAR NON FLECTAR
Appare dopo una lunga notte l’opera capitale di un grande scultore dimenticato, il triestino Franco Asco (1903-1970), ovvero Atschko. Nel clima in cui Afro e Mirko Basaldella si sarebbero volti a quell’astrattismo che, in qualche misura, attrae lo stesso Asco, la potente invenzione è forse l’estremo e integro baluardo della scultura monumentale dopo il fascismo e senza la retorica del regime. Lo stesso soggetto la contraddice: si tratta di una sorta di san Sebastiano, probabilmente senza destinazione religiosa, in chiara declinazione metaforica. La data, indicata anche in un bozzetto prezioso e sintetico dedicato a Elio Predonzani, amico e biografo dell’artista, è il 1949. Il titolo, pertinente al tema e segnato sulla base, è: Frangar non flectar. L’opera (bronzo, 88x89x12 cm) è probabilmente la più notevole fra quelle esposte da Asco in quel 1949 nella “Mostra polemica” alla Galleria Trieste nella sua città dopo anni di attività a Milano, dal 1933. Il catalogo, intitolato Un episodio autobiografico di Franco Asco tradotto in forme plastiche, è curato dallo stesso Predonzani, che parla, propriamente, di “doloranti esperienze”. L’uomo è in tensione, con le braccia legate a due rami e le dita contratte. Il volto, scorciato e alieno da riferimenti fisiognomia, ha una smorfia, accentuata dal basso. Asco traduce, in una chiave originale più nervosa e più naturalistica, i volumi intatti ed essenziali di Adolfo Wildt, come per una continuità elettiva.
Frangar non flectar sembra indicare, nella perfezione dell’esito, una crisi personale e storica. I due piccoli arcieri negli angoli, neppure accennati nel bozzetto, sono, per certa tradizione orale, due pericolosi rivali, consapevoli del talento di Asco (invidiosi della sua percezione e, in parte, della realtà): il triestino, e bene avviato, Marcello Mascherini, a sinistra; e il sempre più affermato Marino Marini, a destra. Quest’ultimo è modellato con quelle sintesi geometriche che ne caratterizzano la forma. Ma la tensione espressa - come in una “prigione” - in Frangar non flectar, non teme confronti, in uno straordinario equilibrio tra l’elasticità di Mascherini e la potenza di Marini. Che, letteralmente, lo mettono in mezzo per farlo fuori. Come avvenne nel prosieguo, benché Asco abbia dato negli anni successivi, fino alla morte nel 1970, prova di una ricerca un po’ sbandata nel tentativo d’inseguire i fortunati colleghi, tra figurazione e astrazione. Con qualche esito notevole ma un’indecisione di fondo che non gli portò fortuna. Il suo centro lo aveva trovato nella sofferenza e nello sforzo del conflitto della sua più drammatica e dolente scultura.
Nella sua città di origine, Asco si era misurato con gli spazi architettonici, in opere come i bassorilievi per il coronamento della stazione marittima e per la capitaneria di porto, e le statue di giuristi sul Palazzo del Tribunale. Lavora anche a diversi monumenti funebri nel cimitero di Sant’Anna a Trieste e nel Monumentale di Milano. Come Arturo Martini, anch’egli riflette sul destino della scultura, storicamente conclusa l’epoca della statuaria monumentale, ma non convinto delle nuove prospettive: “Consapevole di essere estraneo ai nuovi modi di concepire la forma, e incerto sulla via da prendere, decide di esprimere, attraverso l’esposizione del 1949 alla Galleria Trieste, la propria perplessità e il proprio dissenso nei confronti di alcune nuove tendenze (le quali, a suo avviso, portano la scultura e l’arte in generale, a un’eccessiva deformazione, frutto di ciò che egli stesso definisce più volte ‘squilibrio’” come scrive Chiara Franceschini. Non dimentichiamo, per estremo contrasto, che il 1949 è l’anno del primo “taglio” di Fontana, concetto spaziale agli antipodi di Frangar non flectar, nel quale Asco tocca il suo vertice e chiude una stagione e un’epoca. Nella mostra triestina, Asco esporrà, in dialettica e in polemica con il Picasso della Ragazza con l’aragosta, un’opera eloquente come Un pugno allo scultore.
VITTORIO SGARBI da Il Novecento (La Nave di Teseo, Novembre 2018)
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