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Franco Asco - Atschko (1903 - 1970)

Recensioni, Critiche e Saggi

 

Pagina aggiornata nel febbraio 2024

Un piccolo scultore alla Pia Casa dei poveri

Nell'Educatorio del pio Stabilimento è ricoverato da circa un anno e mezzo il ragazzetto Francesco Atschko, di 13 anni. L'Ispettore Gerzabeck osservò che il giovanetto, nelle ore di ricreazione, con mollica di pane, con argilla e con altri materiali formava figurine, busti, gruppetti plastici in miniatura. Tutti della Pia Casa, incominciando dal segretario generale dott. Perna, cercarono di aiutare lo scultore in germe. Poche settimane fa l'Atschko terminò un busto di S.M. l'Imperatore, d'una rassomiglianza perfetta, scolpito con una bravura e sicurezza piú unica che rara, in un tredicenne.

Il dott. Perna s'affrettò a presentare e a raccomandare l'Atschko al signor Commissario Imperiale cons. aul. de Krezich-Strassoldo, il quale con la nota iniziativa promise di occuparsi del piccolo scultore. Apprendiamo che l'Atschko verrà quanto prima inviato all'Accademia di Belle Arti di Monaco.

? - Il Lavoratore - Trieste, 19 ottobre 1916

 

Lo scultore tredicenne (con illustrazioni)

L'arte plastica a tutt'oggi non aveva ancora prodotto un bambino prodigio, cosa fin qui riservata alla musica. Per padroneggiare l'arte di modellare creta e legno fino a crearne un'opera preziosa, le mani dei bambini sembrerebbero troppo deboli. Tuttavia, nel giardino dell'Ospizio dei Poveri di Trieste è stata esposta recentemente un'opera plastica che deve la propria nascita ad un fanciullo tredicenne. L'artista giovinetto si è scelto il modello più prezioso che possa entusiasmare un cuore austriaco. L'opera è un busto del nostro imperatore, di toccante rassomiglianza ed avvincente effetto. Un maestoso tratto storico contraddistingue il capo massiccio, non minacciato dal soffio potente dei nostri tempi. Lo sguardo mite e le bronzee rughe sulla fronte ed attorno agli occhi, caratterizzano il condottiero di una nazione che ha conservato la propria forza d'acciaio anche nelle guerre più spaventose della storia umana. Mani infantili crearono un'opera d'intuizione potente e di composizione significativa. Franz Atschko, lo scultore tredicenne, deve lo sviluppo del suo promettente talento al Segretario Generale, Dr. Julius Berna, direttore dell'Ospizio dei Poveri di Trieste, nonché all'ispettore Ferdinand Ezerzabek, dello stesso Istituto, che accolsero con amorevole zelo e promossero con grande comprensione lo sviluppo del suo talento artistico. La decisione del Commissario Governativo di Trieste assicura al fanciullo il futuro artistico, poiché presto Atschko frequenterà a Monaco la Reale Accademia delle Arti Figurative.

? - Das Interessante Blatt - Vienna, 19 ottobre 1916

 

Scultore premiato

Il giovane scultore triestino Francesco Atschko, residente nella nostra città, ha vinto il premio assegnato al bozzetto per la medaglia interalleata della Vittoria. Al giovanissimo e valoroso artista l'espressione del piú vivo compiacimento e l'augurio cordiale di nuove vittorie.

? - Il Gazzettino - Venezia, 2 marzo 1922

 

Atschko a Ca' Pesaro

E' proprio vero. Dalla pena nasce la bellezza, e dalle naturali miserie balza lo spirito nudo ed affinato verso le immensità del futuro.

Io non so quali tristezze di cose ed eventi abbiano dato ad un giovane non ancora ventenne la tragicità dolorosa di concezione che forma la caratteristica dell'arte di Atschko. Ma so e sento che soltanto da questo intimo ed oscuro tormento sono nate quelle opere tragiche ed umane; e benedico quindi il tormento, e benedico quindi la pena, anche se la mia coscienza d'uomo mi rimprovera questo sentimento della mia egoistica coscienza d'artista.

Gli è che presentisco in Atschko una continua ascesa verso la perfezione anche se e quando scompariranno le cause esterne della sua presente e possente maturità artistica.

Gli è che ormai questo ragazzo dagli occhi chiari ha acquistato una tale dimestichezza colo dolore che crea, da non potersi piú dubitare delle sue facoltà creatrici anche quando del dolore, nella sua anima fanciulla, non sopravviverà che un ricordo lieve e lene, e piú confortevole che penoso.

Atschko è un nuovo. Ma è un nuovo che ha già raggiunto la meta. Comincia adesso. Ma comincia da dove pochi finiscono e molti non arrivano. In lui, la preparazione spirituale è stata infinita come infinita è stata la sua giovinezza dolorosa. I suoi lavori sanguinano, come la sua anima ha sanguinato. Ma c'è nella sua vita tutta una disperata volontà di vincere, e c'è nei suoi lavori tutta una tremenda lotta fra il presente e il futuro, tra l'oggi cupo di ruggiti e il domani colmo di mistero.

Quando, dopo aver esaminato con occhio freddo ed animo assente le sculture leccate e lustrate di altre sale, capitate nella saletta di Atschko, dovete fermarvi di colpo, e star lì immoti e dimentichi ed inerti, come si sta sotto un oscuro pericolo od in attesa d'una indicibile gioia.

Le crete violente fino all'esasperazione, fino allo spasimo; vi afferrano e vi inchiodano, e vi attanagliano l'anima in una morsa di attonita pena gioiosa.

Pena, e gioia. Pena per la tragica fissità dolorosa delle maschere, gioia per la potenza rappresentativa del tocco ancor vivo nella creta grezza.

Tutto Atschko è lì. Tutta la sua anima e la sua pena, la sua volontà ed il suo sconforto, tutta la sua tragedia intima ed urlante è lì; nell'opera sua.

Umanità vi grida in faccia la disperazione della continua assillante lotta contro tutte le brutture della vita infame.

Metempsicosi vi spiritualizza (con un senso di tragico verismo reso alla perfezione in maniera impressionante) la divina ed umana funzione della specie.

Beethoven vi fa pensare ad uno sconfinato oceano di melodie tempestose in cui un titano di ferro scandisca il tempo sulle ali del sogno e con guizzi di folgore.

E tutte le opere parlano, dalle loro fonde occhiaie, dalle loro fronti sature di pensiero, dalle loro bocche violente ed aspre, con i loro muscoli tesi in uno sforzo fisico che commenta e si fonde allo sforzo psichico ed all'impeto della passione.

Si dice che l'Atschko sia uniforme nei suoi "tipi". E' vero; ma è anche giusto. Egli ha una concezione della vita, la sua. E, per Atschko, vita significa pena, significa urlo, significa strazio, significa continuo anelito verso un quid che è perennemente lontano.

Ho visto nel suo studio, l'ultimo suo lavoro, non ancora compiuto. E' una coppia di viandanti, verso l'ignoto. Ed anche in quell'opera, l'Autore persegue il suo sogno e beve il suo fiele. La donna non sa dove vada. Tiene alto verso il cielo il viso tragico e smunto, e chiusi gli occhi che sentono il sole ma non lo vedono, non vogliono vederlo. Ma l'uomo che l'accompagna e l'avvince e la regge, ben sa dove voglia andare. E la sua fronte immane è raccolta in un imperioso comandamento. E gli occhi sono fissi e fermi e duri, e guardano dritto, e non tendono all'alto. E' quello il viandante che va verso una meta voluta e conosciuta. Quale? In quale delle due figure l'Atschko ritrae se stesso e l'anima sua? E' egli cosciente e tenace camminatore e la debole viandante che tutta si offre, e tutta si smarrisce, e nulla sa? Io penso, credo, spero che Atschko sia la prima di queste due figurazioni; che sappia fermamente volere la sua meta, e raggiungerla. Ne è ben degno. Pochissimi, oggi, in Italia, sanno esprimere quel che egli esprime sulle sue crete tormentate e tormentose. Nessuno, alla sua età. Lo si è definito un leopardiano della scultura. Io non credo che ciò sia. C'è in lui una tragicità amara che ha del Leopardi sì; ma non c'è lo sconfitto imbelle e piagnucoloso. Io penso a Wagner, piuttosto. O ad un Michelangelo giovane, unicorde; ma già grande e forte ed amaro. Certo, questo giovane dall'anima tumultuosa e dall'aspetto ignaro, è già un compiuto artista che onora la sua Trieste ed il genio di nostra gente. Un giorno sarà celebre nel senso vano e sciocco della parola. Oggi per noi lo è già; perché è già tanto grande quanto ignorato o incompreso.

Questa rivista sorta per combattere senza paure e senza premi le piú belle battaglie dello spirito, questa rivista creata ed alimentata da giovani che hanno solamente della povertà e della fede, si onora di incidere nelle sue prime pagine di lotta il nome di un giovane puro nobile e povero che da oggi lancia, verso il futuro e la gloria, il ponte del suo genio schiettamente italici ed adriatico.

ROSOLINO DAVY GABRIELLI - San Marco - Venezia, 1 ottobre 1922

 

le altre Mostre personali

... Due piccole mostre personali rivelano due giovani fino a questo momento perfettamente ignoti, il che del resto è logico perché non sono ancora ventenni: un pittore, Dialma Stultus, uno scultore, Franco Atschko.

... Atschko, drammatico e barocco, ha una abilità persino eccessiva: modella con una franchezza che per la sua età è prodigiosa, scarna gli ossi, gonfia i muscoli, esagera le espressioni con una enfasi amara e grottesca.

E' un temperamento sconcertante: destinato o a perdersi nel manierismo od a diventare, dopo molte rinunce e molte conquiste, un grande artista.

? - La Gazzetta di Venezia - 1922

 


 

Salone Michelazzi - Trieste (1923)

Una mostra di scultura e pittura

Fra le cose attualmente esposte nel salone Michelazzi, la massima curiosità è suscitata dalle modellazioni del giovane Atschko, un figliuolo di povera famiglia del nostro popolo, che tempo addietro sollevava molto rumore anche negli ambienti artistici veneziani. Curiosità e ammirazione. Siamo dinanzi a una di quelle sorprendenti attitudini naturali al modellare, che ben coltivate e guidate possono essere l'inizio di una luminosa carriera d'artista, mentre può avvenire che si smarriscano per la via dell'abile mestiere soltanto nel caso che l'artista non vigili se stesso e il proprio affinamento con severa coscienza. Questo speriamo non avvenga del giovane Atschko. Oggi egli si presenta in tutta la sua fresca natural forza, desideroso di mostrare le invidiabili qualità individuali che gli permettono di affrontare le estreme bravure di modellazione della scultura barocca. Egli rintraccia la nervosità della vita nella forma plastica fino nei particolari piú minuti, in modo che tutto sembri innervato e palpitante, l'epidermide, la turgescenza delle vene, il gioco delle articolazioni e dei muscoli, le infossature delle rughe e delle grinze: lo studio anatomico non potrebbe essere spinto piú oltre. Certamente vi una qualche esuberanza in questa virtuosità, e ne risulta talvolta un'impressione di sovraccarico e di eccessiva inquietudine della superficie; impressione che sarà tolta quando il giovanissimo scultore abbia raggiunto quell'affinamento d'arte del quale parlavamo piú innanzi. E' probabile che lo ritroveremo fra qualche anno ugualmente sapiente ed espressivo, ma padrone di mezzi piú semplici. Intanto egli va salutato come una forte promessa che non deve perdersi; e chi abbia veduto come gli sia riuscito di animare di una così profonda carnalità la berniniana testa di donna da lui mirabilmente sbozzata, deve desiderare che la vita dell'arte gli sia agevolata perché la promessa si adempia.

B. (S. Benco) - Il Piccolo della Sera di Trieste, 1 giugno 1923

 

Acquarelli e sculture nel salone Michelazzi

...Qualche altro saggio ci è dato dell'arte del giovane scultore Atschko. Uno di questi si può dire che fosse vivamente desiderato, dopo l'impressione profonda dei suoi primi frammenti: è una figurina intera di donna, che permette di giudicare l'artista in uno svolgimento completo di linea statuaria. L'Atschko confessa di sentirsi nato piuttosto per la grande scultura monumentale, e di non amare queste traduzioni del suo pensiero in piccole forme; ma dato che le evidenti coercizioni materiali non gli permettono la monumentalità delle opere, se non nella forma episodica del frammento, era pur necessario che si vedesse di lui una figura plastica che permettesse di formarsi un concetto piú preciso dello scultore. La figura è condotta a tutta perfezione nella sua parte superiore, testa, braccia e attaccatura del busto; il panneggio che ne copre il rimanente è risolto invece per abbozzo e per indicazione sommaria. La parte superiore è quella adunque su cui l'attenzione si sofferma: ed è fortemente composta e delineata in una espressione tragica - espressione propria all'artista - e mirabilmente modellata, se pur con quella esuberanza irrequieta nel trarre la vita anatomica a superficie che è caratteristica oggi dello stile dell'Atschko. "Cotesta irrequietezza è in me, è nell'anima mia" afferma l'artista ventenne; ma è certo che col procedere degli anni egli si imporrà di dominarla, superando la crisi della sua ricca e tormentata sensibilità. Apprendiamo intanto con piacere che a lui fu affidato, come prima opera che egli abbia ad eseguire in patria, un busto di Giuseppe Parini per la scuola comunale che porta il nome del grande lombardo (il busto sarà inaugurato nel luglio 1923, ndr).

B. (S. Benco) - Il Piccolo della Sera di Trieste, 19 giugno 1923

 

Atschko

Vent'anni, occhi azzurrini, alto e sottile, con la testa eretta e il viso sempre rivolto verso l'alto, mezzo in atto di sfida e mezzo in fissità contemplatrice. Qualcosa di quello sguardo è anche nelle sue statue, in quei visi sollevati al cielo in cui si legge il fastidio delle cose terrene, e la nostalgia delle nuvole e degli spazi infiniti. Ma chi è costui? E' Franco Atschko, triestino puro sangue, scultore che gli amatori d'arte, frequentatori del Salone Michelazzi, hanno scoperto da tre settimane. Giovanni Michelazzi, premuroso nell'ospitare non solo le tele dei pittori dalla fama consacrata, ma anche proiettare dei giovani, ha capito con vivo intuito le qualità dell'artista, accogliendo una serie di frammenti e due figurine modellate con tanta forza ed eleganza da suscitare aperti complimenti da parte di artisti già esperti e non troppo indulgenti. Ma prima di tre settimane fa, a Trieste nessuno sapeva chi fosse e donde venisse Franco Atschko; e quando arrivò fra noi, taciturno e un po' inselvatichito dalla solitudine e dallo sdegno di non aver trovato ancora aiuti e consensi ai suoi progetti, alcuni che professano la sua stessa arte finsero di non accorgersi di questo giovane, mentre altri, desiderosi che si svolgesse a Trieste, hanno cercato e stanno trovando il modo per offrire allo scultore un soggiorno operoso e proficuo, onde non possa dire che la città natale gli è stata disconoscente e matrigna. E per meritarsi tali attenzioni, Franco Atschko ha tutte le qualità.

Egli era già artista nella tenera età di sei anni, e quando i suoi coetanei pastrocchiavano su carte ghiribizzi senza senso, egli sapeva già disegnare. Parve tanto meraviglioso questo istinto della figura manifestato dal bambino, che sua madre, trepida e ansiosa, appena il maschietto giunse in adolescenza, si consultò coi maestri sul da farsi. Atschko, per sua fortuna, era povero, e la madre non avendo i mezzi da farlo studiare in scuole speciali, lo affidò alle paterne cure del dott. C.Rangan, il benemerito direttore della Pia Casa, ove il ragazzo venne istruito e perfezionato nell'arte. A dodici anni il tenero artista era già provetto nelle modellature e passava tutto il suo tempo a plasmare con lo stucco e con la creta, procurandosi una gioia indicibile. Nel 1916, a tredici anni non ancora compiuti, Atschko modellava, dietro ordinazione, il busto dell'imperatore d'Austria Francesco Giuseppe, e il successo per quell'opera fu tale che alcune illustrazioni tedesche nei riportarono l'effigie con vive lodi per l'artista. Al quale, qualche mese piú tardi, veniva offerta la possibilità di frequentare l'Accademia di Belle Arti a Vienna. L'armistizio lo colse nel bel mezzo degli studi, e da Vienna l'Atschko passò all'Accademia di Venezia e da qui a Roma per un anno, e poi a Trieste per un solo mese. Poi di nuovo a Venezia, ove nel 1922 espose con successo a Ca' Pesaro. Il soggiorno dello scultore triestino a Venezia e a Roma, non fu lieto né piacevole.

La volontà di lavorare non era quasi mai accompagnata dai mezzi che offrono la possibilità di lavorare. Perciò questo periodo è tutto un succedersi di tumulti interiori, di calde ispirazioni ed entusiasmi, mortificati da profondi scoramenti. La solitudine perseverante rendeva all'Atschko ancor piú acerba e sconsolata la visione del mondo. Fuori dal manierismo dell'Accademia, ribelle al convenzionalismo dell'arte impressionistica e futuristica che gli stava attorno, tutto preso da un potente di esprimere la verità plastica ispirandosi alle leggi universali della vita, Franco Atschko diede ascolto soltanto alla sua concezione interiore, e si diede ad una severa disciplina di "osservazione" che divenne la facoltà costante e preminente della sua natura. Esprimere nella figurazione plastica il dolore dell'uomo, legge del mondo, ecco l'aspirazione e la volontà di Franco Atschko. Egli sente il mistero della vita sotto la specie della forma plastica; rendere i tumulti dell'anima, il tormento del pensiero, le passioni del cuore attraverso la modellatura di un corpo, è la gioia suprema dello scultore. Ma questa espressione deve essere libera, nel senso assoluto che si vuole assegnare a questa parola. L'arte, secondo che dice Atschko, è il mezzo concesso all'uomo per la rivelazione della verità, ma questa verità diviene menzogna se l'arte, che è il suo strumento, è subordinata a leggi estetiche, a principi di bene, di morale e di religione. Creare al di sopra del bene e del male, della virtù e del vizio; ascendere ai principi universali della vita. Questo modo di sentire infiamma lo spirito del giovane artista, il quale trova il suo clima naturale accostandosi alle grandi creazioni di Shakespeare, di cui l'Atschko vuol rendere plasticamente i maggiori protagonisti delle tragedie: da Amleto a Lady Macbeth, Jago a Shylock. Forte di questa convinzione, quando Atschko ha da modellare una figura storica, domanda la collaborazione fuori dalla cerchia ristretta dei tipi già modellati da latri scultori. Così il personaggio, pur conservando intatti i caratteri fisici essenziali, si approfondisce e si ravviva nella interpretazione moderna dell'artista.

Di questi giorni, l'Atschko ha modellato per la scuola di via Parini, un busto del grande poeta lombardo, ricavandone i motivi spirituali dal profondo ritratto letterario e psicologico che ne fa Francesco De Sanctis. Così, la piú viva ed alta voce civile che abbia avuto la poesia del secolo XVIII, per la lirica del Parini, trova nel modello di gesso di Franco Atschko non solo i segni freddi del volto, ma anche il tormento inconsolabile dell'anima.

? - Le Ultime Notizie (Il Piccolo delle ore diciotto) - Trieste, 25 giugno 1923

 

Pittura e scultura al Salone Michelazzi

... Ed è in questo punto che a me piace contrapporre il nome del nostro giovane scultore Atschko, che trionfalmente per la prima volta si presenta e s'impone all'ammirazione dei suoi concittadini. Per lui mi propongo di dire soltanto poche parole, perché ogni nostra superflua lode non può che togliere valore a questa sicura affermazione. Nella possente e monumentale sua modellazione c'è l'impronta fiera e risentita d'un'anima eroica che fin d'ora riconosce, nella forma esteriore della vita, soltanto una maschera tragica. E' così ch'entra nell'arte il giovane e povero artista Atschko. Nella concisione di questo nome si presenta tutta la grandezza a venire, che potenzialmente si è già così bene rivelata. Il nostro augurio sta nelle sue opere,

CESARE SOFIANOPULO - Orizzonte Italico- Trieste, n.6 giugno/luglio 1923

 

Note d'Arte - Atschko

Se nella Firenze del rinascimento o nella Roma barocca un giovane appena ventenne avesse esposto opere di tanta robustezza quanta ne mostrano quelle esposte dall'Atschko nel Salone Michelazzi, certamente l'eco dell'avvenimento avrebbe corso i secoli. Ma noi viviamo in un periodo di ipersensibilità (che cosa sia lo sa Iddio!) e disdegniamo gli entusiasmi rumorosi. Anzi - per non sbagliare - non ci entusiasmiamo mai. Sì, noi esercitiamo il nobile mestiere della critica e troviamo nell'Atschko tocchi troppo giovanili, forme esuberanti, poca ponderatezza, non perché vi siano, ma perché falsamente indotti dall'età dell'autore crediamo che egli non possa a meno di farne.

Ma giu' la maschera! Nell'Atschko c'è una energia preziosa che non bisogna uccidere; e chi a vent'anni conosce corpo e psiche umana come questo giovanetto, può guardare con occhio sereno all'avvenire.

C.M. - La Sera, Trieste 21 luglio (e/o 22 agosto?) 1923

 

Nel Salone Michelazzi

Lo scultore Franco Atschko ha raccolto dal Michelazzi vari lavori nuovissimi, plasmati e modellati nella feconda attività di queste ultime settimane, e ne ha fatto una mostra personale, molto bella e interessante, forse tra le migliori fra quelle finora fatte a Trieste e Venezia. Nella molteplicità delle figure e dei frammenti, questo fortissimo artista mostra sempre piú profondo il sentimento tragico e la volontà di lotta che si diffondono nelle sue opere. Nella vasta e complessa modellatura intitolata "L'uomo che tiene la corda", la bellezza della forma è adeguata alla poesia del concetto. L'uomo nudo, che in uno sforzo erculeo tiene la corda e vince la forza di resistenza di chi gliela vuole strappare, è stato plasmato dall'Atschko con passione commossa in cui il realismo della visione serve ancor piú ad innalzare il significato del pensiero. Quale verità umana nel risalto delle masse muscolari, dei tendini, nel groviglio delle vene, nella modellatura del torace e della schiena, ove i fasci di muscoli e di carne lasciano mirabilmente trasparire l'ossatura solida dello scheletro. Giacché Franco Atschko tiene in sommo grado la verità anatomica. Le sue figure, nel viso e nel torace sono spesso atteggiate in uno stato di esasperazione angosciosa, in una tensione lacerante, senza che l'equilibrio estetico ne soffra. Ma questa volta lo scultore ci offre anche cose pensate con delicata poesia. Ecco: "L'Ave Maria", il vecchio montanaro, cieco, che sta in ascolto riverente delle campane. In questa figura l'intensità dell'espressione è molto fortemente sentita, e ottenuta con mezzi sobri e potenti. Ma nella "Testa di scemo" l'Atschko ha intuito con verità psicologica l'espressione imbambolata dello scemo, mentre in "Beethoven" la forza della passione è tuttora raccolta nella maschera del violinista in atto di suonare. Nella "Sghignazzata" la predilezione dell'autore per i soggetti compositi di tragico e di grottesco appare piú evidente che mai.

? - Il Piccolo di Trieste, 17 agosto 1923

 

Franco Atschko, scultore

Siamo certi che questo nostro giovane scultore, il quale ha dato già tante prove di valore indiscutibile, pur dimostrando tutta la sua forza con l'esasperazione d'una volontà esacerbata, debba giungere alla meta, per essere riconosciuto quello ch'egli è. Discorrendo dunque di quest'ultima mostra aperta nel Salone Michelazzi, dove egli espone sette opere nuove, lavoro prodigioso di un mese, noi non osserveremo né lo sforzo evidente, né il virtuosismo tecnico, né l'esagerazione anatomica; ma solo l'essenziale potenza di quest'anima creatrice. L'artista cerca affannosamente una sua via d'espressione che non dev'essere misurata in se stessa con indifferenza. Ed è ricerca piena di dramma, che rivela una preoccupazione, una tensione di muscoli, un turbamento di nervi, talvolta estranee alla pura espressione d'arte, ma nobili sempre e sincere.

Ma, tornando all'Atschko, osserviamo il "Beethoven". In un blocco solo, chiuso da una sola linea, tutto il sentimento di un'anima grande: una testa, una mano, uno strumento. Pur qui si trova anche un profondo raccoglimento che riposa, che, direi quasi, soddisfa il nostro desiderio di vedere lo scultore rivolgere, in un momento di religiosità, lo sguardo nell'interiorità della sua anima pacata.

Cosi' in quel cieco che, fermo nell'oscurità, sente a sera il divino richiamo dell'Ave Maria, noi sentiamo un fremito scorrere sul gesso. Così in un frammento - "Umanità" - che, infranto a mezzo il viso, nella contrazione spasmodica della linea, traduce tutta la desolazione contemporanea.

Ma ecco il torso robusto d'un uomo che si alza sicuro della propria forza e volge la testa fiera sulla spalla sinistra, con un movimento quasi dantesco: segno di un nuovo sangue vivificatore nell'artista. O "L'uomo che tira la corda", magnifico per l'anatomia perfetta e la virtuosità della modellazione. Piú in là, la faccia d'un "Idiota" sorride quel vano sorriso che spesso accade di notare d'intorno e dietro a noi.

Ma la figura piú drammatica, piú drammaticamente complessa, ci viene offerta dall'Atschko in "Sghignazzata". Come tutte le altre sue opere, sembra il frammento di un'unità ideale gigantesca. Le stesse proporzioni, una volta e mezza piú grandi del vero, la stessa tecnica, rude e sicura, danno a questa scultura un carattere di monumentalità che alle anime piccole potrà sembrare esagerazione. Invece si tratta di una grande scultura, perché fa parte di qualcosa che sta al disopra della materia. In "Sghignazzata" c'è un dolore disperato che denota la massima commozione di un'anima. Una testa sollevata, col massimo sforzo, di sopra a un piano che l'affoga, protende rigidamente il braccio destro, a mano aperta, come chi ha tutto donato, mentre la sinistra, staccata dal piano, afferra e stringe il braccio quasi per contrastare l'atto ormai compiuto. E il viso ha una riflessione tragica che con quella sghignazzata non si risolve.

Concludendo, in Franco Atschko noi segnaliamo un nobile artista da seguire e da sostenere, poiché nella sua arte vi è passione e necessità.

CESARE SOFIANOPULO - Orizzonte Italico - Trieste, n.8 settembre 1923

 

Salone Michelazzi

... Franco Atschko presenta uno tra i suoi piú riusciti lavori: il busto in grandezza naturale del signor Giovanni Michelazzi. Il modello è rassomigliante all'originale. Lo scultore, ch'è di un intuito fisiologico molto profondo e delicato, ha modellato la testa e il volto del Michelazzi ritraendone fino nei minimi particolari l'espressione marcata delle linee e la calma serena dello sguardo. Dello stesso Atschko sono esposti tre vigorosi disegni di nudo femminile.

? - Il Piccolo di Trieste, 7 settembre 1923

 

La mostra di scultura e di pittura nel Salone Michelazzi

E' l'anno dello scultore Atschko. Il giovane artista, fino a ieri noto soltanto per qualche eco di voci lontane, continua risolutamente, indefessamente, la sua rivelazione.

Questa volta, nel Salone Michelazzi, è il busto del padrone di casa. Opera importante per se stessa, ed importante anche come documento irrefragabile di lucida coscienza dello scultore nel fare il giusto uso di quell'esperienza agile e acuta che egli si è acquistato nel frugare e agitare nervosamente la materia in cerca delle contrazioni piú sottili della vita anatomica. Questa tendenza ricercatrice dell'Atschko ci è ben nota. Ad essa vanno anche ascritti i due piccoli studi che egli oggi presenta: studi di vita muscolare, di elasticità dei tendini, di irrequietezza della massa sotto l'azione della vita che in ogni parte la corruga, la flette, la torce: anzi nell'espressivo frammento di testa "Umanità" la massa stessa, come tale, scompare sotto l'infaticabile energia della mano che vi scava i solchi, vi sbozza i risalti turgidi, vi articola le contrazioni nervose, vi spalanca le cavità buie, perché tutto abbia a significare orridezza e tormento. L'effetto è ottenuto con quella stupefacente sicurezza che è propria del modellatore , Nondimeno si tratta qui di uno studio, di una prova di forza nell'indagine e nel padroneggiamento della materia plastica, che l'Atschko comprende molto bene non poter essere scopo a se stessa. E di ciò da' testimonianza il busto del Michelazzi: uno dei ritratti piú belli che ricordiamo da gran tempo. Lo scultore è forte; ma non meno forte è il ritrattista; sa trovare la perfetta armonia tra i suoi mezzi d'arte e l'interessamento vivace che lo studio del soggetto suscita in lui. L'arte è la commossa interprete di un'osservazione sagace. Tutti noi conosciamo ed amiamo la bonaria solida testa del Michelazzi; ma quante cose dobbiamo imparare a vedere in essa dal ritratto del giovane Atschko!

Ben costruita, la testa si presenta con linea felice di faccia non meno che di profilo. E' un profilo da eccellente disegnatore, chiaro e preciso: quale del resto vediamo nei tre o quattro disegni di nudo femminile esposti dall'artista, dove la linea di contorno mantiene con grande fermezza la sua continuità plastica. Disegni completi, interessanti per se stessi, non abbozzature a determinazione di chiaroscuri e di piani come sogliono farne parecchi scultori: l'Atschko è della buona razza di quelli che non si fermano ai mezzi termini, e il vigore del polso è una delle caratteristiche giovanili dell'arte sua.

B. (S. Benco) - Il Piccolo della Sera di Trieste, 12 settembre 1923

 

La festa della Stampa al Rossetti

...Quel che rimane vivo nel ricordo di ognuno e che ha prodotto un'impressione sbalorditiva, è stata la magnificenza dell'organizzazione e dell'allestimento...La "statua monumentale" di Atschko, suggestiva e grandiosa, con le gravi figure dei bassorilievi e la statua centrale, dominava quella folla ammirata. Lo scultore Atschko ha eseguito un lavoro di egregia fattura e non si sa se piú ammirare la concezione dell'opera o la sua costruzione. ...

? - La Sera - Trieste, 8 febbraio 1924

 

La Prima Esposizione Biannuale del Circolo Artistico Triestino

... Due scultori, Franco Atschko e Carlo Hollan, rappresentano due tendenze agli antipodi. Il primo, il piú giovane d'anni, resta su un concetto della scultura che oscilla tra il naturalismo e l'impressionismo, e vi è portato dalla sua indubbia istintiva bravura, tanto, che gli sarà difficile rinunciare a codesta sua tendenza, attratto com'è dalla sveltezza del tocco, dall'effetto rapidamente raggiunto, dalla facile ammirazione del pubblico. Eppure noi lo consiglieremmo a rinunziarvi, per raggiungere una solidità di forme piú monumentali, architettoniche, moderne; per far posto, insomma, alla pietra, al masso, e bandire la maniera del gesso e dell'argilla. ...

ANTONIO MORASSI - Le Arti Belle - n.2, luglio 1924

 

L'Esposizione d'Arte al Giardino Pubblico

... Non è stato detto da alcuno che la scultura debba essere un'arte calda.

La sente bensì l'Atschko col naturale calore del duo temperamento giovanile pieno di forza e d'espressività. Egli ha mandato alla mostra una delle sue esercitazioni di espressione muscolare, rigogliosa di movimenti e di chiaroscuri energici nel modellare; e vi ha mandato una testa di giovinetta sorridente, nella quale sono grandi qualità, così per la padronanza della forma come per la larga e agevole sicurezza onde su tutti i tratti è sparsa l'illuminazione del sorriso. V'è una sorprendente maestria in questo scultore di vent'anni. ...

? - Il Piccolo di Trieste - 2 ottobre 1924

 

Giudizi del pubblico

... Franco Atschko ha grande forza, e per certa genterella che passa sotto il suo gagliardo e titanico Scavatore è troppo muscoloso, rugoso, rude e grezzo - pardon - troppo grande, mie graziose signorine, che lustrate le vostre unghie e null'altro sapete della vita. Pure in lui la "Flora" sa sorridere come una sana giovinezza che vede lontano e che tutto può sperare. ...

X - La Sera - Trieste, 21 ottobre 1924

 

?

...Soltanto la Riunione Adriatica di Sicurtà, senza strombazzati preannunzi, ha voluto mandare due dei suoi piú cospicui rappresentanti a fare atto di concreta presenza negli ambienti della Biennale.

I due si sono trattenuti a lungo all'Esposizione; non hanno compito l'atto volgare dell'elemosina incosciente: hanno guardato e vagliato; hanno visto la cosa bella che è loro piaciuta - una piccola "Fiora" dell'Atschko - hanno forse pensato che c'era una rivendicazione da compiere, traendo dall'ombra un giovanissimo e forte artista triestino, per dare a lui un segno d'amore e alla città un'altra gloria sia pure in embrione. Hanno acquistato l'opera e, con gesto efficace, vivo, l'hanno donata al Museo Revoltella. ...

"Aelio" - Il Popolo di Trieste, 28 ottobre 1924

 


 

Circolo Artistico - Trieste (1925)

La mostra di Franco Atschko al Circolo Artistico

Franco Atschko ha inaugurato ieri nella sala del circolo artistico la sua esposizione di sculture e di disegni. - Non c'è stato mai a Trieste - diceva ieri un critico d'arte molto più vecchio di noi - uno scultore di vent'anni che abbia riempito tutta una granda sala di opere tutte degne di essere esposte e tutte degne di essere considerate interessanti per la forza naturale e la vivacità dell'ingegno. Questi dell'Atschko è il primo caso nella nostra città di una grande esposizione di scultura fatta da un artista solo.

L'Atschko infatti è un grande lavoratore, e lavorare è il suo metodo di studio. Le opere da lui esposte rappresentano solo una parte della produzione di un periodo che non va oltre i due anni. Alcune furono già vedute altrove e sembrano rapidissimamente superate da quelle che egli fece di poi. La rapidità è caratteristica non solo dell'esecuzione, ma anche dello sviluppo di questo giovane, il quale pure ancora si trova in pieno fermento di giovinezza: com'è manifestato evidentemente dalla grande varietà delle impressioni date che lo dominano a volta a volta e lo spingono a prove emulatrici senza che ancora il suo spirito, tutto imparando tutto assimilandosi con mirabile innata predisposizione, scelga deliberatamente la via su la quale insisterà. Abbiamo nella sala richiami alla nitida eleganza quattrocentesca e alla concitata e veemente scultura barocca, ai nostri scultori veristi meridionali all'indirizzo eroico Metzner-Mestrovic, alla delicata eleganza di Pietro Canonica. Tutto è fatto con singolare maestria e penetrazione, perché l'Atschko è molto intelligente e signoreggia l'espressione della forma in modo da stupire.

Il suo temperamento se vogliamo indagarlo, lo porterebbe per più immediata spontaneità ad una naturalistica espressione del vero, condotta dalla foga giovanile e dalla stupenda facilità del modellare a una ricchezza lussureggiante dei particolari, di movimenti, di intensificazione drammatica mercè i piani irrequieti dei chiaroscuri esaurienti. Egli si sente attratto verso ciò da una prepotente e sicura forza, giacchè pochi son nati ai nostri giorni che lo uguaglino nella innata facoltà del plasmare: in pari tempo egli sente il consiglio avveduto di dominare questa irruente forza, di disciplinarla ad una più armoniosa concezione plastica, di combattere la propria esuberanza e di cercarsi un fine più largo e più austero. Da ciò i suoi studi, le sue esercitazioni, che divergono tante volte con netto contrasto da quelle che parrebbero le maniere più affini al suo ingegno: e che data la sua bella attitudine a svolgere la linea, a sentire la forma sotto ogni aspetto, non sono soltanto esercitazioni salutari e feconde, ma divengono a loro volta opere l'arte in cui sia entrato un più sereno respiro.

Se cerchiamo la più rigorosa e più individuale espressione del naturalismo dell'Atschko, la troveremo veramente nobilissima nel ritratto dell'antiquario Michelazzi: ritratto superbo per vigorìa di osservazione e per una magnifica aspirazione a interpretar la natura con quella larghezza di linee a cui si presta il soggetto. Se vogliamo misurare quanta sia nell'Atschko la forza della composizione, con la esasperata drammaticità muscolare e il vigore di contrasti caro ai barocchi, nulla ne darà miglior prova che il gran gruppo da lui audacemente organato, equilibrato, piantato in mezzo alla sala, dove la foga quasi truculenta d'una scena di passione selvaggia ha il suo ragguaglio nella potente bravura degli svolgimenti di nudo e dei giochi di muscoli. Se invece da questo naturalismo, talvolta sviluppato ad oltranza ne piace di partirci per osservare l'artista alla prova di una più vigile semplificazione ed idealizzazione delle proprie impressioni vitali, allora ce ne danno argomento i nitidi bozzetti per le figure decorative di sapore toscano quattrocentesco da lui formate l'anno scorso per il veglione della Stampa, e lo squisito mezzo rilievo di nudo composto con classica leggiadria dentro una nicchia ad arcosolio, e il frammento di nudo eseguito in pietra e il largo e soave ritratto di signora eseguito in marmo. Quest'ultimo ricorda certamente lo stile del Canonica ma con una meno sottile e meno deliberata ricerca del delicato, anzi con una certa virile semplicità nel segnarne la linea e nel far sentire una cotale maestosità in un girare ampio e sintetico di piani.

Queste due ultime opere hanno maggiore importanza per il giudizio sullo scultore, poiché eseguite in materia nobile, danno la misura di quella che sia la sua critica elaborazione ne tradurre dalla immediata creta alla forma durevole e definitiva. E sotto questo riguardo, entrambe sono quanto mai rassicuranti per il dominio energico ed austero che può esercitare l'artista sovra ogni propria facoltà d'improvvisazione: bellissimo il frammento di nudo; bellissimo lo studio di donna. Onde ieri giustamente si diceva da un sagace intenditore d'arte:-la più forte scuola che può avere questo giovane artista, a renderlo assoluto padrone di un avvenire che gli si affaccia luminoso, è l'aver occasione di lavorare non sul gesso, ma su la materia resistente e viva. Al modellatore nulla manca: l'artista diverrà tanto più fine e più perfetto quanto più incessantemente metterà a prova il suo ingegno sulla pietra, sul marmo. Tutte le pareti della sala sono coperte di disegni di Franco Atschko. E' noto che questo giovane geniale è un disegnatore di straordinaria valentìa. Studi di teste, studi di nudo, ritratti, impressioni di figure, analisi di movimenti muscolari talvolta ravvivati dal colore, attestano con le più varie espressioni una costante forza di ispirazione e di condotta serrata con una risolutezza del concepire, un rigore della linea, un senso della plasticità, una determinatezza, che vorremmo mostrare almeno in alcuni dei molteplici esempi se ci fosse concesso di soffermarci più a lungo. Anche qui ragiona largamente e liberamente la invidiabile ricchezza della natura dell'Atschko: questa felice natura osservatrice ed emotiva insieme, a cui dobbiamo il superbo autoritratto, di così solido stile, e tanti nervosi abbozzi di nudo femminile, e tante ricerche curiose ed appassionate della plastica energia dei giochi di muscoli. L'impressione di questi disegni sul pubblico deve essere stata vivissima, se ieri fin dalla prima giornata, ne furono acquistati la prima parte.

La mostra di Franco Atschko è presentata ai visitatori da una calda ed eloquente pagina che Mario Nordio scrisse per il catalogo.

B. (S. Benco) - Il Piccolo della Sera di Trieste, 17 marzo 1925

 

Arte

Franco Atschko, il giovane e produttivo artista concittadino ha rivelato nuove caratteristiche del suo personalissimo ingegno nella mostra testé aperta al Circolo Artistico.

L'ampia sala è tutta popolata d'insigni opere di fine scultura e di ardita modellazione: vi spicca per la palpitante vitalità delle carni e la soave espressione dei lineamenti il "ritratto di signora", divinamente scolpito nel marmo.

I disegni in bianco e nero e chiazzati di colori, che adornano le pareti, dicono quale superbo disegnatore sia l'Atschko e come tali sue opere, ancorché parecchie abbozzate, gareggino vittoriosamente coi suoi gessi. Quasi tutti i disegni sono già venduti.

"Strazzacavei" - Marameo - Trieste, 20 marzo 1925

 

in "Problemi d'italianità a Trieste"

... Ha girovagato da Vienna a venezia e a Roma; a Vienna, inviatovi dall'Istituto dei poveri; a Venezia, studiando come poteva all'Accademia; a Roma, facendo di tutto per mangiare, dall'attore cinematografico al ladro di pomodori acerbi oltre le siepi spinose. E' tornato ora a Trieste, dove comincia a esser conosciuto, per alcuni suoi busti di donne che hanno una luminosa bellezza potente.

Tratta il marmo con la dolcezza di un poeta e con la agitazione spasmodica di un allucinato. Ha un'anima di artista, che cerca espressione oltre i confini della vita tangibile e visibile. Ancora le sue esuberanze sono giovanilmente cariche di segni analitici; per poco che si faccia, saprà sintetizzare in un segno, in una sfumatura, in una linea. Ha un'anima gonfia di suoni, come il suo nome è ricco di vocali. Occorre che l'Italia lo conosca e che sia messo in condizioni di lavorare. Oggi a Trieste guadagna di che vivere; ma a me che lo interrogavo, ha risposto: <<Sì, ora va bene; ma è male. Trovo da vivere, adesso. Ma vorrei far qualcosa di piu' che vivere. Vorre essere messo in grado di creare>>.

AUGUSTO De ANGELIS - Il Resto del Carlino - 25 novembre 1925

 


 

Lo scultore Franco Atschko

Chiuso nel suo studio come in remo di elezione, Franco Atschko accoglie le visite con una riservatezza di certosino.

Nell'ampio stanzone bianco di marmi non scolpiti ancora, di altri marmi già impersonati, e di gessi freschi di getto, nello stanzone bianco di luce che si riversa a fasci dai grandi finestroni, e dove sola si abbruna la massa della creta informe, pronta a lasciarsi prendere e plasmare dalle mani operose, lo scultore si aggira sereno. E', ivi, seguito e attorniato dalla tenerezza della madre, che gli è compagna mite e silenziosa, poiché forse non intende del figlio suo l'ansia nascosta e la passione creativa, ma è paga dell'orgoglio che da lui le viene.

Franco Atschko ha ventitré anni, ma la sua giovinezza, gravata di un sia pure breve passato di pene e di sofferenze, si è ovattata di una certa scienza della vita e coscienza di se stesso che hanno dato al suo sguardo una doppia visuale: la visuale esterna che vede il mondo nella sua doppiezza, nei suoi livori, nella feroce voracità dei giorni che passano inghiottendo inesorabilmente ogni bellezza e lasciando una scia di fastidi, di disinganni, che sfasciano a poco a poco gli entusiasmi e isolano le anime.

E la visuale interna: quella che vede in se stesso, quella che gli lascia scorgere lo smisurato, pondo di entusiasmi, di slanci, di titubanze, di ansie, di abbandoni, di gioie; un tutto meraviglioso che dà vita ad una passionalità tormentosa e bella, tanto necessaria all'artista per poter creare un proprio mondo intimo, trascurando il mondo esteriore troppo lontano e vuoto.

Questa è la situazione spirituale che traspare dalle brevi parole di Franco Atschko. Brevi parole sì, perché non è davvero molto espansivo questo scultore: pare quasi trattenuto da una specie di pudore che non gli consenta lo sbandieramento dei propri sentimenti, forse per tema di non essere sentito e di dare la parte migliore di sè in pasto a discussioni oziose, o forse perché effettivamente il travaglio interno manifestandosi in una forma di potenzialità travolgente, rende l'Artista lontano e indifferente e quanto non formi base alla sua arte.

Comunque malgrado questa apparente indifferenza, che sembra lo isoli e lo faccia apatico, misogino, scontroso quasi, abbiamo da Franco Atschko troppe manifestazioni tangibili che dicono la sua feconda vena appassionata.

A prova di questa affermazione, Franco Atschko ha proprio in questi giorni tra le manifestazioni d'arte scultorea un succedersi di vittorie.

Ecco infatti la Mostra di Natale al Circolo Artistico che è completata dalle sue sculture. Creature nate sotto l'impeto di un attimo di passionalità e scolpite poi pianamente con amorosa pazienza. Ecco alla Galleria d'Arte Michelazzi una testa vigorosa che afferma la violenza del palpito che in quell'ora creativa aveva scaturigine nell'anima dello scultore. Ed ecco che al Padiglione del Giardino, l'esposizione dei bozzetti al monumento ad Oberdan porta il nome di Franco Atschko primo nella lista dei premiati. Non importa se agli effetti del concorso il risultato è vano: sta il fatto però che tra tutti i concorrenti, l'Atschko ha saputo far valere i suoi pregi e imporsi sopra tutti al sereno verdetto di una commissione giudicatrice.

Nella nostra città, infatti, tolti i pochissimi scultori della vecchia scuola, che ben volentieri lasciano il passo ai giovani, resta primo, indiscusso e indiscutibile questo giovane facitore di creature portanti tutte le stigmate della forza racchiusa nell'anima sua.

Di questa forza intima l'Atschko è ben sicuro, mentre tituba ancora sulla possibilità di manifestazione. Ma qual è dunque l'artista che è contento di se stesso? Tra la profondità di sentire e la manifestazione tangibile del sentimento si dibattono acerbe mille circostanze spirituali e materiali che diminuiscono e sfaldano la potenza creativa, e così è che generalmente, mentre il pubblico plaude all'opera di un artista, egli non ne sia soddisfatto - egli che nel suo fervore e nella sua passionalità ben piú poderosa l'aveva veduta!

Franco Atschko è trascinato da questo tormento di se stesso: quello che gli altri non sanno; che cioè, quanto egli dà è poco a confronto di quanto certamente potrà dare, e la lode che gli viene unanime e sincera da quanti si occupano di produzione artistica, non lo commuove né lo esalta, poiché non per il pubblico lavora, non dalla massa attende plauso, né si accontenta di soddisfare l'ammirazione della città, Sopra tutto, innanzi tutto vuole arrivare a soddisfare se stesso.

E la sua giovinezza chiusa nell'ermo di via ferriera, lontana da mondanità e da inutili amicizie, raccolta in una serena atmosfera tra marmi e libri, tra creta e gessi, tende solo a questa grande aspirazione: fare di se stesso l'Artista che egli vuole indirizzando e guidando l'Artista che il pubblico vede.

Studia, legge, lavora. Silenziosamente. Serenamente. In attesa di poter cantare in gloria il suo pieno trionfo e la sua bionda giovinezza: di poter sbrigliare l'Artista nei campi dei lauri piú fragranti e l'uomo nelle vie piú assolate. Per ora non vuole avere a sua distrazione che la sua cavallina, buona sicura amica che lo trascina in galoppanti scorribande sature di vento, di luce e di sogni.

AVE GIORGIANNI - Mondo femminile - circa 1926?

 


 

La Mostra di Franco Atschko

Sono passati alcuni anni dalla grande mostra di scultura che riaffermò Franco Atschko: e in questi anni il giovane artista espose opere buone, ma poche. Le mostre di scultura presentano sempre qualche maggiore difficoltà materiale che quelle delle altre arti: ma se questa è una valida ragione per l'esporre di rado, i visitatori che vedono la Mostra inauguratasi ieri nello studio dell'Atschko, si convincono che vale per lui anche un'altra ragione, piú intima ed anche piú forte. L'artista ha occupato questi anni in un'attività che non è soltanto perfezionamento di tecnica ma meditazione e ricerca: né i periodi di meditazione e di ricerca sono i piú propizi ad esibirsi spesso al giudizio del pubblico.

L'Atschko, lo si ricorda, si presentò sei anni addietro come un disegnatore sorprendente, e come un modellatore che aveva qualità magnifiche, ma ancora disguidate, istintive. Non c'era da stupirne: egli aveva sempre disegnato, ma modellava da pochissimo tempo. Il suo sviluppo poi fu rapidissimo. Già la sua grande mostra nella sala del Circolo Artistico lo presentò armato di tutte le energie giovanili, ma anche già capace di riflessioni e di finezze che rivelavano quanta lucidità si fosse fatta nella sua coscienza d'artista. Da allora l'Atschko ha continuato a lavorare, ma anche a pensare sul suo lavoro e ad affinarsi, a misurarsi con difficoltà espressive e stilistiche.

Lo studio dello scultore è in Via Ferriera n.16. Sempre quello dove egli imparò a trattare la pietra e a maneggiare la creta. Tre stanze, d'una ruvidità sobria e nuda, sotto le travate d'un tetto d'officina: l'intonaco delle pareti ancora nereggiante dei meravigliosi disegni che egli vi tracciava con la sua mano gagliarda d'adolescente. Da ogni parte lavori che attestano la sua attività creatrice: l'artista per lo piú li chiama studi, ma parecchi di essi possono chiamarsi opere. E in tutti è evidente il segno della concentrazione intellettuale.

L'Atschko riconosce di dovere al disegno la sua grande sicurezza. Se egli non fosse il poderoso disegnatore che egli è, tutto gli riuscirebbe piú malagevole, piú difficile. Tra le sue attitudini di disegnatore e il suo gusto sempre piú sviluppato per il bassorilievo, la relazione è evidente. Ma il bassorilievo dell'Atschko non nasce tutto dal disegno, con un'espressione meramente lineare, come in tanti artisti: nasce da sensazioni di carattere plastico, e ne genera delle altre, fino alla piú solida plasticità. Talora è il busto di profilo, netto, tagliente, che gli fa sentire a poco a poco la subordinazione di tutti gli altri valori plastici a quella taglienza, e si appiattisce, si libera di tutto che non sia profilato, diventa bassorilievo; talora è la figura che concepita in un atto vibratamente dinamico sopra un piano, si stacca dal piano stesso, si colma fino al pieno rilievo e dà al compimento dell'atto il voluminoso vigore delle sue masse muscolari. Tale è appunto la superba figura dello "Sterratore", di arduo e mirabile scorcio prospettico, nel monumentale bassorilievo in pietra del Carso acquistato dal gr. uff. Guido Segre per la sua villa. L'audace sicurezza con cui questa figura è girata, la risoluzione geniale del problema statico, la robustezza dell'atto, l'energia dell'esecuzione, l'intelligente valutazione della policromia, la bellezza della stessa pietra, costituiscono a quest'opera un'avvincente e vigorosa armonia.

In un altro lavoro in pietra, destinato a una tomba che ricorda un tragico caso del mare, la sapienza del disegnatore, se non piú profonda, è anche piú scoperta: una figura allegorica a bassorilievo è chiusa una cornice geometrica e ritagliata a traforo sull'aria aperta, in tutta la grossezza della pietra. Bellissimo qui lo sviluppo del torace nella straordinaria eleganza disegnativa di tutto l'insieme. Altrove - per esempio nel gruppo delle tre donne in preghiera - sentiamo il bassorilievo ricondotto a una modellazione appena risentita, che si smorza su piani larghi e pacati, avvicinandosi alla maniera delle antiche pietre tombali, con quella incanalata ombra verticale che accompagna il distacco e il rilievo della figura mediana.

L'Atschko non è uno scultore naturalista, ma anche minore inclinazione mostra per l'accademismo neoclassico. Piú lo attraggono la scultura medioevale e orientale, e certa virtuosità dei movimenti di masse della scultura barocca. Egli lavora per lo piú senza modello. La sua lucidità di disegnatore, la sua memoria anatomica, lo dispensano da questo controllo che vincolerebbe l'immaginazione musicale delle sue linee, l'irruenza delle sue forze e la intensità psicologica che egli chiede a se stesso. Due qualità contrastanti sono da lui sviluppate in opere diverse. L'una lo porta verso la deformazione erculea; l'altra lo porta verso l'affinamento espressivo; l'una verso la procellosa ondata di muscoli, l'altra verso la caratterizzazione di quanto può essere piú fine e piú spirituale nella forma umana. Tra i turgidi, platonici studi di colossi, è ammirevole, per la potenza di dilatazione e di tensione impressa in tutta la massa, il grande studio d'atleta, dalla muscolatura esasperata con un'audacia che appena ebbero la scultura romana e la scultura barocca. Da questo inquietante "fortissimo" dell'espressione muscolare, si passa gradatamente per una serie d'opere che segnano quasi il temprarsi dell'emozione dell'artista, la sua attenzione a problemi piú sottili di masse corporee e di costruzioni craniche, fino ai delicatissimi busti di donna, dove il segreto dell'accento è cercato in un particolare, intorno al quale la ricerca dell'espressione si elabora con un tocco squisito di piani semplificati, attenuati, fluenti.

L'ultimo di questi busti, una testa di donna, ancora in creta, dal sapore orientale, dalla purità della forma quasi egizia, è certamente uno dei piú belli. Ma tutti si possono dire bellissimi, anche se differiscono nella ricerca, nella intensità del pensiero, nella tonalità emotiva che ne sposta le linee o le chiude in una euritmia tranquilla. Meglio sarebbe dire "quasi tranquilla": perché v'è sempre nelle opere dell'Atschko una transazione della vita, una quasi impercettibile inquietudine, e queste lo distinguono da molti scultori d'oggi, nei quali il formalismo e l'assoluta quiete prevalgono.

Ritrattista efficace l'Atschko fu sino dai primordi: e il ritratto è per lui verità e carattere. Dei suoi ritratti egli raccolse alcuni, fra le trenta opere esposte. Il busto di fanciulla in marmo, saporitissimo; il busto del generale Ferrario, appena formato nella creta, ma già contrassegnato d'individuale espressione; e magistrale fra tutti, il busto marmoreo del giovane barone Economo, in cui il senso della forma e il senso della vita si fondono con un'osservazione intelligente che uguaglia la virtuosità dell'esecutore.

Gran numero di personalità e d'artisti visitarono iersera la mostra dell'Atschko. E molti vorranno certamente vederla oggi e nei prossimi giorni. Lo studio - in Via Ferriera 16 - è aperto dalle 10 alle 13 e dalle 17 alle 19.

B. (S. Benco) - Il Piccolo di Trieste, 10 giugno 1928

 

L'Esposizione artistica al Giardino pubblico

Anche quest'anno il padiglione municipale del Giardino pubblico, restaurato ed ampliato, ha aperto i suoi battenti per l'esposizione autunnale. Maggiore lo spazio, questa volta, ma anche maggiore la sfera d'azione del Sindacato delle Belle Arti che ora è regionale ed ha tracciata la via dal nuovo ordinamento dato dal Governo alle esposizioni, onde preparare la produzione artistica regionale all'Esposizione Nazionale di Roma ed a quella Internazionale di Venezia.

La Giuria si è pronunciata favorevole, con animo deciso, a solo 39 per cento delle opere presentate. ...

... In tutto si hanno ora cinque sale spaziose. ... Piú si fanno notare le sculture esposte nella Sala II. L'Atschko inviò quattro lavori, fra i quali il busto in gesso colorato di un uomo, acquistato dalla Federazione Sindacati intellettuali di Roma ed uno studio di testa femminile (n.10) di una beltà indiana, o meglio di una bellezza turbante sbocciata fra le sapienti dita di questo nostro artista....

A.L. - Il Popolo di Trieste, 7 ottobre 1928

 

La Mostra regionale d'arte al Giardino - le opere degli scultori

... Un altro artista, di cui abbiamo parlato recentemente quando egli invitò alla magnifica mostra nel suo studio, Franco Atschko, ha al Giardino saggi molto importanti dell'arte sua. Piú che l'opinione nostra, espressa su lui di recente e con tanto consenso, ci sembra do dover accennare quella di autorevoli conoscitori d'arte, che al Giardino vedevano lavori dell'Atschko per la prima volta, e innanzi ad essi si soffermano con sorpresa, con interesse e con piena adesione alle lodi udite di questo giovane anche in altre città d'Italia. L'Atschko, come è risaputo, tende oggi all'espressione mediante lo stile: l'una deve immedesimarsi con l'altro; ed entrambe si avvantaggiano del suo bellissimo temperamento di disegnatore e della grande raffinatezza tecnica che egli è venuto acquistando. I piani delicati della "mezza figura", la finissima testa in marmo, che è veramente "un'opera" per il suo carattere tipico e per la maestria nel comporla, l'interiorità raccolta nello studio analitico delle altre due teste, chiuse in linee di rara nobiltà, costituiscono un insieme armonioso a documento dell'armonia che il giovane artista ha saputo fare in se stesso.

B. (S. Benco) - Il Piccolo di Trieste, 21 ottobre 1928

 


 

Franco Asco, scultore

Ventenne appena, sei anni or sono Franco Asco si presentava ai suoi concittadini con le sue prime sculture suscitando sin d'allora l'ammirazione degli intenditori d'arte. Non che tutte fossero perfette, ma in tutte si vedeva chiaramente la mano dell'artista di classe e di grande avvenire. L'artista nostro, infatti ha progredito sempre piú e presentandosi in ogni mostra pubblica ed in molte personali, ha dimostrato di volta in volta i suoi miglioramenti e strappato sempre maggiori successi.

Eppure la sua vita e la sua attività artistica non furono sempre tranquille e uniformi. Come tutti quelli della sua generazione, Asco fu dominato per lunghi anni dall'irrequietezza e dalla spensieratezza. Passò così dall'Accademia di Vienna a quella di Venezia, da questa a quella di Roma, per ritornare a Trieste avendo studiato piú nelle gallerie che nelle scuole e avendo tratto insegnamento piú che non dalle gallerie dalla vita.

Dalla prima maniera di un verismo crudo nella rudezza dei tratti delle sue sculture, che poco ancora risentivano la sfumatura , con un lungo periodo di solitudine studiosa e laboriosa, lo scultore concittadino ha saputo affinare le sue creazioni, completarle e semplificarle ad un tempo. Dopo aver tentato tutte le scuole e tutte le esperienze, dalle medievali alle moderne, con influenze anche gotiche, in tutte riuscendo per il suo spirito fortemente eclettico ma da tutte staccandosi dopo aver assimilato e disciplinato quanto gli era necessario a perfezionarsi, egli è riuscito a formarsi la sua impronta squisitamente personale, nella quale non troviamo solo tecnica ma soprattutto pensiero e volontà. Nei suoi ultimi lavori riconosciamo infine quella sintesi che è il segno di un superamento del dissidio tra pensiero e materia e di una maturità creatrice dell'artista.

Signore ormai della tecnica e della sfumatura , appassionato ammiratore del bello, egli lavora soltanto per la sua arte ed è tormentato dalla propria scontentezza. Perché delle sue opere il piú vero giudice è proprio lui stesso, tanto da non volerle mai riconoscere "finite".

Nella sua opera egli porta e trasfonde tutta la sua grande passione di sognatore e di creatore sul sogno, perché è vero che la maggioranza dei suoi lavori è stata fatta senza modello. In questo riguardo bisogna citare ad onore dell'Asco l'assoluta sua padronanza dell'anatomia, in ogni pezzo e in ogni dettaglio del corpo umano. Ed è per lui una fortuna, perché così può sfuggire ad ogni vincolo e ad ogni imitazione.

Due qualità tipiche di scultore sono il frutto della sua evoluzione nelle possibilità artistiche: l'una è portata alla deformazione erculea, alla forza e al dinamismo; l'altra all'affinamento espressivo, alla gentilezza e alla serenità. L'Asco ha già dato lavori che possono essere giudicati ottimi e decisivi, ma noi siamo certi che anche piú e meglio saprà fare in seguito, nel suo costante sforzo di perfezionamento. Ciò che noi anche gli auguriamo, come si merita, per il suo altissimo valore di artista e la sua ferrea volontà di lavoratore.

? - La Fiamma - Trieste, 18 gennaio 1930

 


 

Franco Asco

Non è un metafisico embrionale, ma un creatore che ferma nella plasticità della forma, la robustezza della sua profonda ispirazione con concetto ampio e integrale, imprigionando lo spirito nella materia, ormai schiava del suo temperamento, con sicurezza di espressione e con efficacia di mezzi. La modellatura è ampia, solida, ben costrutta, in un ritmo di espansione organica, per l'evoluzione spontanea dei toni schietti, e la naturale disposizione dei piani.

Nessuno sforzo creativo, ma una fluidità ben temprata e caratterizzata dal movimento, soprattutto spirituale, che si agita in un'ascesa continua di elevazione attraverso tutta l'opera, che già conosciamo, di questo scultore sintetico e suggestivo. Anche per una breve visita nel suo studio, dall'arieggiante primitivo del gruppo "le tre Marie" dove il dolore celestiale è raccolto con composta solennità di espressione, con sobrietà di ritmo e di forma, e una semplicità di mezzi indiscutibili; è necessario entrare in uno stato di coscienza speciale, per poi sentire tutta la potenza di un'altra concezione che sembra creata quale un monito alla generazione del secolo. Voglio accennare a quel "Cristo" che è una figura dalla solidità ieratica e maestosa, che esprime il disgusto, la rampogna, il dolore, la compassione e l'amore, per l'umanità che non vede al di là del piccolo segno materiale. Una dottrina filosofico-cristiana, materiata in quel cenno trattenuto della benedizione; in quell'atteggiamento delle braccia, dove la sproporzione diventa un simbolo potenziale di profezia e protezione.

Una significazione complessa da cui si sprigiona una concezione, vasta e profonda, che forma una sensazione strana non ancora compresa da chi non è assuefatto a concepire il momento psichico dell'ispirazione. Mentre, il busto del Duce dove l'espressione della fisionomia ha un carattere decisamente romano-imperiale, è mantenuta un'integrità assoluta di rassomiglianza, che si direbbe quasi un ritratto fuso in una vibrazione intima dello spirito creatore, che anima la potenza del grande condottiero. La ferrea volontà caratterizzata da quella mascella volitiva, l'occhio che spazia oltre il segreto, la fronte dalla modellatura ampia e possente, la linea accentuata dal carattere combattivo e tenace, la fierezza serena del sagace profilo, riassunti nella costruzione veramente degna è una delle opere piú notevoli e solide dell'ultimo tempo.

Il fare una descrizione analitica sulla vasta produzione che anima lo studio vasto e raccolto, dove lo scultore guarda il passato come una cosa morta e lontana, sarebbe riconfermare l'apprezzamento generale sulla sua arte, ma è necessario ch'io accenni al ritratto della principessina di Torre e Tasso dove si palesa un ritrattista eccellente dall'equilibrio perfetto, per la modellatura robusta, espressiva, dall'impronta personale che ha sempre il pregio di non esser servile. L'Anima, che è uno degli ultimi lavori, non ancora finito, segna un periodo di maturità quasi completa che attraverso la bellezza materiale ha saputo egregiamente dare forma all'essenza; l'atteggiamento, l'espressione, la morbidezza di linea, la pastosità dei contorni, concorrono alla dimostrazione di quell'anelito dell'anima tesa verso il mondo a cui ella veramente appartiene; ed Asco è una di quelle anime appunto, che staccandosi dalla vita materiale, aspira a quel mondo, dove la verità è solamente quella dello spirito.

FE. - Giovinezza ed Arte (suppl.mens. de "La Fiamma") - Trieste, 1 settembre 1930

 


 

in "Il ricordo perenne della Tipografia"

Il personale di tipografia del nostro giornale volle pure commemorare nella piu' degna forma l'anniversario, e anche il pensiero di questri nostri colleghi andò, com'era naturale, a Teodoro Mayer, e si concretò in un'opera d'arte.

E' un'opera veramente squisita della scultura triestina odierna, e fa onore grandissimo all'artista, che è Franco Asco. In un blocco di marmo del Carso, sapientissimamente lavorato e fatto valere a un effetto di delicata policromia, il giovane artista ha tagliato una stele, sulla quale s'appoggia, ad alto rilievo, una figura di donna, chiusa, con finissima sensibilità, in un atto d'ascesa che è insieme un atto di grazia. Artisti ch'ebbero a vedere quest'opera nello studio dell'Asco dissero che questo è il piu' bello dei nudi femminili del geniale scultore, il piu' spiritualizzato dei suoi marmi. E' davvero l'artista vi ha raggiunto una leggiadria, una flessuosità, un'adornazione sensitiva del proprio soggetto, che uguagliano la sottile maestria con cui l'Asco ha dominato questa esigentissima tecnica dell'altorilievo moderno e l'ha fatta entrare, con un senso quasi di musica, nelle armonie decorative della stele. I tocchi d'oro del manto, del quale la bella donna si sveste, compiono, con un tocco di raffinatezze, che è pure nella stilizzazione del manto stesso, la preziosa policromia di quest'opera.

In essa, l'Asco volle simboleggiare, togliendosi dalle figurazioni usate, una idea di ascensione, di vittoria. Le date degli annali del Piccolo - 1881-1931 - sono incise in oro sul cartiglio che sovrasta la figura.

? - Il Piccolo di Trieste - 27 dicembre 1931

 


 

La scultura al Giardino Pubblico (Mostra Sindacale d'Arte) - Asco e Mascherini

Franco Asco e Marcello Mascherini sono considerati due giovani scultori che rivaleggiano. In verità si muovono su vie diverse, anche in forza di temperamenti molto diversi. Asco persegue con maggiore insistenza una propria idealità plastica; Mascherini si sposta con tutta l'elasticità del proprio ingegno vivace dall'uno all'altro esperimento, inquieto di cercare, ma anche godendo a ogni nuovo assaggio.

La statua monumentale "Madre di eroi", presentata dall'Asco, insieme con alcuni particolari bellissimi in grandezza che chiameremo eroica, piú la si guarda piú persuade dell'unità, nobiltà e vorremmo dire religiosità della sua concezione. Le grandi masse curvilinee, modellate dallo scultore in modo da formare una sagomatura ampia e solenne, che dalla cadenza delle spalle in giu' comprende tutta la figura chiusa nell'austero volume delle sue vesti, ha la sua rispondenza e la sua integrazione nelle bozze tondeggianti su le quali passa l'onda del modellato nella testa e nel collo. La figura risulta insieme popolare e ieratica, moderna e senza tempo, con un carattere proprio, ma con un valore universale di simbolo. Si è voluto vedere in essa un perdurante riflesso nell'Asco dell'arte mestroviciana; ma certo essa si distacca dallo stile del maestro dalmata per l'architettonica ampiezza del ritmo e per un certo richiamo che ci sembra sentire, anche nella tecnica del trattare le superfici, a talune antiche cose dell'Asia, specialmente dell'Indocina. ...

B. (S. Benco) - Il Piccolo di Trieste, 15 ottobre 1932

 

La Scultura alla Mostra del Ritratto

Nelle opere di scultura, alla Mostra del Ritratto Femminile, c'è il massimo salto: dalle teste romane del Museo di Aquileia e del nostro Museo di Storia e d'Arte si passa immediatamente alle opere della scultura contemporanea. ...

... Riguardo alle sculture, si potrebbe ripetere quello che fu osservato per le pitture. I ritrattisti presenti sono pochi; e taluni mantengono nel ritratto un certo carattere di generalità, proprio dei loro studi di figura e del loro stile.

Non certo questo si può dire dell'Asco e del Carà. L'Asco, nel suo busto della signorina Fiora Cantoni, ci dà forse il piú bello dei suoi ritratti: la giovinetta leggiadra e fiorente dal fresco sorriso è del resto un buon tema ispiratore per un artista che, come l'Asco, abbia il culto della bellezza. In questo suo armoniosissimo marmo non si nota la raffinatezza, il tormento stilistico di alcune opere posteriori di lui: tutto si modella con una naturale euritmia di movimento e la linea si compone, ampia e bene alitata di movimento, con una spontaneità data dallo stesso senso di giovinezza della rappresentata creatura. ...

? - Trieste, 1933

 

Il busto di Riccardo Zampieri consegnato dai giornalisti alla città

... Generale ammirazione suscita il busto, opera di Franco Asco. Tagliato ad erma, in un marmo bianco assai nobile e bello, con felice proporzione tra la testa e il piedistallo dove è scritto il nome dell'onorato, il ritratto di Riccardo Zampieri ha le caratteristiche di stile proprie dell'Asco, e nello stesso tempo un severo senso della massa e un'interpretazione maschia e grave dei tratti fisionomici.

Lo scultore non conobbe l'illustre patriota che negli anni della vecchiezza, quando già la molestia dell'asma che poi lo condusse a morte, aveva tolto la naturale spigliatezza alla bellissima testa. Da artista, l'Asco preferì evidentemente attenersi a queste sue impressioni vive, traducendole in una tal quale monumentalità e venerabilità della figura, anziché cercare in antiche fotografie il piglio arguto e ardito dello Zampieri giovane. Potranno di ciò dolersi suoi compagni di giovinezza, che lo ricordano nel tempo delle lotte comuni; ma l'opera d'arte guadagna in dignità da questa espressione d'un'età matura, d'una riflessione grave e serena, che allarga la linea della figura e quasi il significato di essa dinanzi ai posteri. La modellazione dell'Asco, di una organica, concentrata originalità, è in armonia con la compostezza della bell'opera. E questa onora anche il suo autore.

? - Il Piccolo di Trieste, 25 ottobre 1936

 

Un'opera di Franco Asco al nostro Cimitero

Sculture nuove di Franco non ne vedevamo già da qualche tempo. Ora l'artista, che negli ultimi anni è vissuto quasi costantemente a Milano, ha compiuto un'opera per il Cimitero Monumentale di Trieste, e precisamente per la tomba della famiglia Mosconi, situata nel primo campo a sinistra del vecchio ingresso. Il tema dell'opera scultoria è un Crocifisso, incluso in un'alta e stretta nicchia misurata su le brevi braccia della Croce. E' un soggetto già da lunghi anni vagheggiato e studiato dall'Asco, e da lui portato a un'estrema finezza di osservazione anatomica, con una giusta ponderazione dell'elemento realistico e dell'elevatezza severa richiesta dall'immagine sacra. Intermediaria fra i due elementi è l'espressione del dolore: dolore che non è soltanto il fisico tormento delle membra straziate e stanche, ma anche l'angoscia spirituale per tutti gli uomini espressa dal viso su cui è passato il sudore dell'agonia, espressa dalla mano che, inchiodata al legno del supplizio, ancora leva due dita a mostrare il cielo. L'Asco ha concentrato molta vita di dolore in questo suo Crocifisso, e ha chiuso in una linea sua, nuova e ben meditata, il complesso lavoro analitico impostosi alla sua modellazione.

B. - ? - circa 1937/38

 


 

Galleria Pesaro - Milano (1937)

Artisti che espongono, Franco Asco

Lo scultore triestino Franco Asco non ha mai esposto a Milano, sebbene egli vi risieda da quattro anni; e il fatto di trovarci quasi all'improvviso in presenza d'un artista tanto notevole accresce per noi l'interesse della Mostra dove son raccolte, nella Galleria Pesaro, ventidue opere sue. Silvio Benco, che l'ha seguito dal giorno in cui egli esordiva felicemente a Venezia, pochi anni dopo la guerra, ci narra sul catalogo le prove, le fatiche e il severo studio che lo portarono a questa fase, ormai piena, d'espressione artistica. Ma della sua laboriosa formazione vediamo oggi i risultati, convincenti, qui dentro, anche per la varietà degli esempi.

Come tutti i veri scultori, Asco, d'origine carrarese, predilige il marmo; e marmi da lui scolpiti e curati fino all'ultime finezze sono, per la maggior parte, i saggi che egli ci mostra: saggi nei quali la forma non appare cristallizzata entro schemi stilistici predisposti, ma è un problema che l'artista si pone e risolve di volta in volta, secondo le esigenze del tema, Da ciò, a tutta prima, alcune apparenti contraddizioni fra la purezza riposata e armoniosa, poniamo, delle sue teste di donne o del bel nudo Anadiomene, e la plastica tormentata di certe maschere che adombrano miti o caratteri religiosi, come il Monaco Buddista e il Sacerdote Egiziano. Ma la contraddizione cessa non appena si considerino, per l'appunto, i soggetti e i diversi propositi dell'artista.

Fra le opere esposte, una delle piú vigorose è certo il grande Crocefisso modellato nella carne umana che soffre con tanto realismo, e con un senso mistico nel volto, che riflette la luce dello spirito immune da carnali sofferenze. Altre opere da porre tra le migliori sono, con la già ricordata Anadiomene, il bassorilievo Maternità, i cui scorci obbediscono non senza qualche violenza al ritmo costruttivo e architettonico della composizione, e il ritratto della signora Jia Ruskaja. In essi specialmente appaiono quella "vigile coscienza", quella "naturale raffinatezza" e "quella nobile e sicura esperienza d'ogni tecnica della scultura", di cui parla il Benco nella sua presentazione.

? - Il Corriere della Sera - Milano, 4 giugno 1937

 

Mostre d'Arte in Milano

Franco Asco, lo scultore triestino, espone alla Galleria Pesaro (Via Manzoni, 12) una ventina d'opere sue. Già noto per lusinghiere e incoraggianti accoglienze, si presenta qui colle varie caratteristiche dell'arte sua. E' scultore di forza soprattutto, e tanto i marmi come i gessi e i bronzi hanno come l'impronta d'una virile, quasi rude volontà di rappresentazione piú che di espressione. E in lui si bilanciano senza mai equilibrarsi due tendenze, la realistica e l'idealistica, l'una e l'altra però sostenute da una tecnica di modellazione di martellamento quasi da far pensare a una improvvisa animazione della meteora rude sotto il colpo volitivo. La tendenza idealistica lo porta alla sua fattura migliore quali sono i suoi nudi femminili e alcune teste pure muliebri che vibrano d'una meravigliosa vitalità fatta d'armonia e di forma a un tempo come fosse inspirata a una grandiosità classica. La tendenza realistica invece quale la vedremo in molte teste maschili lo trascina ad abusare del risalto delle linee e dell'acuto contrasto dei pieni (vedi il "sacerdote ebreo", ad esempio, e il "commediante") sì che per sfuggire al verismo, vede nella maschera, nel grottesco quasi, suo malgrado, l'innegabile rivelazione di una intima personalità del soggetto trattato. Queste due tendenze che, a quanto sembra, percuotono sempre l'ispirazione dell'artista si trovano a riunite poi in un contrasto che ha della lotta in quel suo grande "Crocefisso" il pezzo piú saliente della mostra ma anche il piú discutibile. Sono quasi due figure riunite, in uno sforzo di fondersi in una sola persona senza però riuscirvi cioè la parte superiore e la parte inferiore, tutte e due però esprimenti l'inanerrabile angoscia della Passione. Ad ogni modo quella dell'Asco è un'arte che cammina verso una unità di concezione che lo porterà molto lontano.

LUIGI VENTURINI - Il Popolo d'Italia - Milano, 8 giugno 1937

 

Cronache d'Arte - Le ultime mostre personali

Lo scultore triestino Franco Asco ha radunato nelle sale di Pesaro un notevole gruppo d'opere che ne rivela anzitutto il largo eclettismo: ritratti, studi di nudo, figure evocanti con simboli ed allegorie i miti religiosi del passato, scene sacre e profane, statue e bozzetti ora schizzati rapidamente nel gesso e piú spesso accarezzati apzientemente nel marmo.

... Ed è appunto questa purezza rappresentativa del nudo quella che ci piace di pu' nell'opera dell'Asco. La sua Anadiomene vive in una sana espressione di gioventù palpitante di verità e di fresche dolcezze in cui con l'anima sorride la primavera.

Meno persuadono le figurazioni ieratiche di un kistero troppo tradizionalmente espresso e di un misticismo spesso grossolano nella sua solo apparente ingenuità.

GUIDO MARANGONI - Perseo - 15 giugno 1937

 

Mostra dello scultore Asco alla "Pesaro"

La Galleria Pesaro chiude la sua stagione artistica con l'esposizione personale dello scultore Franco Asco di Trieste, allestita con gusto e garbo veramente signorili. Ci troviamo davanti alle opere di un artista che pensa, risente di una cultura classica, ha sensibilità raffinata per le correnti moderne e, cosa non comune oggi, è di coloro che ancora sanno cosa vuol dire lavorare il marmo.

L'Asco conosce la sana scultura, l'arte del "levare sulla pietra"; ama la materia e sa trasformarla, raffinarla secondo la grande tradizione degli statuari di razza. Dalla tecnica a quella che è l'intima espressione delle sue creazioni; ove si rivela il pensiero largo e profondo ed il travaglio dell'artefice, e gli studi suoi attorno ai miti, alle religioni, alle passioni: il "sacerdote ebreo", il "monaco buddista", il "prete egizio" e quella figura tirata su con singolare ardimento di forza, "l'ipocrita". Opere tutte di fine e vibrante espressione psicologica, se pure talvolta si appalesano nella tecnica un po' dura e ferrigna, svelando altresì qualche venatura esotica, nordica, derivatagli dai suoi studi viennesi.

Ma l'Asco che è artista vero e istintivo si ingentilisce fino alla soavità nel misticismo classico del suo originale "crocefisso" o nella squisita femminilità di qualche ritratto: quello della Ruskaja, per dire di uno.

Qui lo scultore è piú poeticamente sincero e spontaneo che allorquando naviga in certe astrazioni non bene definibili né definite.

La squadratura geometrica di certe sue forme rivela sì la forza espressiva e l'ardimento tutto moderno e i mezzi tecnici dell'Asco, ma è verso le concezioni delicate mistico-sensuali, prettamente ispirate alla femminilità che il genio artistico dello scultore si orienta ed è quella, a parer nostro, la sua strada e la sua meta.

A.M. - Corriere Padano - 17 giugno 1937

 

Franco Asco

La mostra personale dello scultore triestino Franco Asco alla Galleria Pesaro, ha raccolto buon numero di opere che mettono in evidenza un forte temperamento di artista, tormentato e ricercatore, che ha raggiunto una sua singolare chiarezza di espressione. Forse l'indole spontanea di Asco era volta al classico. Ma tutte le espressioni significative della polemica hanno colpito il suo interesse. In modo più profondo sembra averlo percosso la formula wildtiana. Da questa egli ha derivato vigore e gusto di stile che gli hanno permesso di porre a fuoco la sua sensibilità fino a trarne risultati eminenti. Tale la testa di "Sacerdote egizio" e quella di un "Sacerdote ebreo", risolte con molta forza plastica, mentre il marmo di "Anadiomene" vibra di splendida purità e mentre il grande "Cristo crocefisso" conquista una intensa suggestione per la serena e solenne disposizione delle masse non meno che l'impeto umano della espressione. Tra le cose di maggior pregio della mostra si deve porre un bellissimo busto della signora Jia Ruskaja-Borelli, che è una cera di grande sensibilità e di elevata purezza plastica in cui vividamente si traducono l'effige e lo spirito della insigne artista.

DINO BONARDI - Il Secolo (La Sera) - Milano, 19 giugno 1937

 

Mostre Milanesi, Franco Asco

Franco Asco, triestino, giovane ancora, da qualche anno residente a Milano, dove deve aver vissuto raccolto e operoso, anche perché non ha mai dato ombra in alcun modo ai suoi colleghi, di colpo ora sbotta fuori con una impressionante rassegna di opere esposte alla Galleria Pesaro: una ventina di sculture, la maggior parte marmi diligenti, qualche cera, pochi bronzi e, se non erriamo, un gesso solo, un grande Crocifisso che a tradurlo in materia nobile deve costare un discreto patrimonio. Solo il fatto che egli preferisce il marmo per la traduzione delle sue creazioni, già fa intendere l'artista sicuro e amoroso. Beato lui che ha, indubbiamente anche la possibilità materiale di poterlo fare, mentre tanti altri suoi compagni d'arte, debbon correr via con mezzi piú rapidi e meno dispendiosi, a ciò spronati da necessità inderogabili.

Questo diciamo, solo incidentalmente, per rintuzzare, una volta tanto, la facile accusa che si fa agli scultori d'oggi di aver perso la passione del marmo.

Asco fa bene a dare libero sfogo a questa inclinazione. I suoi marmi, ritratti o nudi di donna, lavorati talvolta con vigorosa ricerca della struttura anatomica, tal'altra quasi con un lieve accarezzamento di forma (si veda ad esempio il mirabile ritratto della signora Jia Ruskaja Borelli) rivelano sempre l'occhio attento e la mano raffinata.

Ma le sue opere danno anche a pensare che egli sia un temperamento esuberante, in quanto non è fermo in un modo unico di plasticare. Egli passa da una maniera all'altra che è un piacere a vederlo. Un piacere perché nell'un modo o nell'altro, egli sa cavarsela con onore, cosa in verità non facile. In un pezzo vedi un non so che di Wildtiano, in un altro ti torna alla mente magari Donatello, in un altro ancora hai l'impressione che egli abbia sogguardato alquanto Romanelli.

Certo che non sarebbe agevole riconoscere un'opera sua se non fosse firmata. Generalmente si afferma che questo non sia bene per un artista, ma nel caso particolare non si può parlare di copie piú o meno riuscite che rivelino desolante assenza di genialità. Al contrario! Asco è un formidabile indagatore di tipi, di caratteri e di stati d'animo, cosa questa che giustifica e spiega per le speciali esigenze interpretative, i diversi segni plastici che abbiamo osservato. I suoi nudi, i suoi ritratti, le sue teste di sacerdoti delle diverse religioni (Giovane Profeta Cristiano, Sacerdote Ebreo, Sacerdote Egiziano, Monaco Buddista, lavori potenti di sintesi), il frammento del "Commediante", ancor piú dello "Studio d'ipocrita" che non ci ha del tutto convinti, recano accenti che toccano, dicono parole che commuovono, e rivelano tutta la forza di una passione, il palpito di un'ansia.

Sicché noi sentiamo di condividere pienamente il giudizio conclusivo di Silvio Benco nel catalogo della mostra. ...

... Noi salutiamo questa giovane forza sulla quale la scultura italiana può fare assegnamento e sicuramente contare.

Scultore LUIGI GABRIELLI (maggio 1937) - Lo scultore e il marmo - Milano 21 giugno 1937

 

Momenti d'arte

Nel numero del 21 giugno per insufficienza di spazio non potemmo inserire nell'articolo dedicato allo scultore Franco Asco tutto il materiale illustrativo di cui disponevamo. Ecco ora la raffigurazione di altre due opere offerte alla vista nelle sale della Galleria Pesaro. ...

... Questi caratteri sono evidenti nella Anadiomene che vive in una sana espressione di gioventù palpitante di verità e di fresche dolcezze, e nel Commediante dove c'è una fortissima riproduzione del vero. ...

? - Lo scultore e il marmo - Milano 7 luglio 1937

 

Artisti contemporanei

Da qualche tempo non osavamo più dire la parola divina, definire così, spiritualmente, l'Arte... corrente del momento decadente. Ma oggi, alla "Pesaro", espone un giovane scultore che ci fa ricordare i nostri vecchi grandi Maestri; e con lui, appunto perché giovane, tiriamo un largo respiro di sollievo.

Laus Deo!... non tutta la gioventù è degenere, ossessionata dal demone del deformismo!

La Bellezza ritorna ad imperare con le sue leggi feconde d'ininterrotta continuità.

Il giovane artista triestino Franco Asco, sedotto dalla Dea - come scrive Silvio Benco, presentandocelo - "fa cantare nel marmo la sua contemplazione". Dia anni il Culto lo possedeva; e, dopo incertezze, tormenti, lotte e sospiri l'innata genialità ha prevalso: l'artista si è affermato. In questa sua prima Mostra personale a Milano, egli si dimostra ormai maturo: equilibrato, tanto quanto basta; positivo osservatore della forma e delle descipline anatomiche ed estroso interprete delle più complesse interiorità; classico e moderno al tempo stesso, tanto da sentire il Paganesimo e la Cristianità; o nel nudo magnifico, canoviano, di Anadiomene, o nel Crocifisso modellato con sofferenza della carne sorretta dall'estasi della fede.

Artista nel più lato senso della parola impersona il soggetto che lo colpisce e lo serve in laetitia, in comunione d'ispirazione e creazione, tanto da viverlo nella modellazione ed animarlo nella materia. Così nascono dalla sua anima il delicato umanissimo gruppo: Maternità; il mistico Monaco buddista, ed il realistico ritratto di Jia Ruskaja.

Franco Asco, però, nella sua varietà di concezioni plastiche non è un improvvisatore di... tentativi; ma uno studioso intelligente, un forte ideatore, degno artefice, rispettoso della formaespressa sotto l'emozione delle persone viste e delle passioni sentite. E questo stato di grazia gli ha permesso, e gli permette, di spaziare nel campo della bellezza artistica con positive qualità di tecnico, rifuggendo dalla deformazione che è la comoda scusa di... tutte le incapacità. Tanto è vero che egli stesso, il giovanissimo Asco, in buona fede, e non esperto, né ancora maturo del mestiere, fu sul punto di credere nella balorda faciloneria novecentesca esotica per una profittazione materiale... ma "l'istinto più profondo lo salvò e lo portò in alto".

Sacrificò l'interesse alla spiritualità e lottò!... cominciò a modellare con sofferenza, e sentì, ben presto, vibrare nel marmo e nel bronzo l'anima sua; tanto nel mistico che nell'amoroso trasporto, nell'orrore e nella letizia, nel sogno e nella realtà. Ed a volta a volta creò. I volti delle giovani donne e i bei corpi perfetti, estasiarono il giovane artista, lo redimirono quasi: la donna, questa volta vero angelo tutelare, con la rivelazione della bellezza lo addusse ad una contemplazione serena, sincera, umana. Franco Asco nel suo tema della donna: Madre, Sposa, Vergine, Dea, raggiunse felicemente una nobilissima personalità, lo stile classe degli artefici sommi. Già da tempo fu notata questa sua caratteristica; ed in questa Mostra confermata.

Il grande gesso: Nudo di Donna, per la purezza intenzionale, della linea e della posa, può stare a fianco della Fiducia in Dio del Bertolini; ed il piccolo bozzetto delle Tre Marie all'ombra della Croce, ha una voce lirica di grande stile che fa pensare alle Porte di Berti.

Certo il giovane Asco ha consultati quei codici, e vi apprese la tecnica dello scolpire, l'amore del disegnare, la coscienza della propria personalità stillistica, l'abilità di plasmare e lumeggiare le idee del Genio propulsore. Si perfezionerà ancora, non nego, perché la sua gioventù lo sprona a maggiori conquiste; ma non è vero che egli sia tuttora incerto e poco uniforme... Poeta dello scalpello, sognatore, come tutti i liberi poeti egli sceglie fior da fiore nella sua fantasia esuberante e crea tutte opere che hanno ragione d'essere.

AUGUSTO PACI - PERINI - ABC Rivista d'arte, Agosto 1937

 

Incontri: lo scultore Franco Asco

Arte statuaria - arte del silenzio. Il fascino della statua è silenzioso.

"Qual mistero dal gesto d'una grande statua solitaria in un giardino silenzioso al vespero si spande!"

Arte del silenzio e arte del gesto; quasi come la mimica. Ma nella mimica il gesto è della creatura vivente, nella scultura è della imaginata parvenza. Non è episodico, non si riferisce ad uno fra i successivi istanti dell'azione.

Atteggiamento rispondente ad una linea fondamentale, di cui tutte le altre sono in funzione, come tronco rami e foglie di una pianta rispetto all'impulso che ne ha fatto schiudere il germe.

Che vale il dire, come fu detto, che la linea in natura non esiste? Può darsi che la matematica la dichiari per sempre indefinibile, come indefinibile è matematicamente la vita; ma ciò non toglie che lo scultore, per creare un piano, metta in opera un numero infinito di linee. Misterioso potere quello di agire come agisce la divina natura: ricavare dalla materia bruta un'imagine risultante da una somma complessa di movimenti innumerevoli, i quali dal primo chinarsi a prendere lo scalpello, all'ultimo tocco di pomice, sono determinati dalla necessità di un solo ideale vivente nell'anima dell'artista creatore; sono condotti da un filo impalpabile vero e reale, che non ci è dato vedere, solo per la deficienza dei sensi, ma che l'imaginazione incontestabilmente conferma.

Questa gioia suprema di collaborare quasi alle potenze formatrici è rivelata da Franco Asco nelle statue già esposte alla Galleria Pesaro.

La bellezza per lui non è legata ai canoni di una perfezione astratta e in certo qual modo trascendentale, come quella che in forme umane, presso i greci, doveva essere degna di accogliere entità superiori, di rivelare la divinità.

Egli invece dichiara che intende costruire una bellezza concreta: e ben vi riesce, ad esempio, nel torso di una moderna "Anadiomene" tutto vibrante di vita, in un vago tremolio della superficie marmorea, ricavato da una tecnica abile e delicata.

Se ci rivolgiamo al ritratto di Jia Ruskaja, guardandolo in modo da dimenticare, per quanto possibile, ciò che sappiamo della personalità artistica della danzatrice, dobbiamo senz'altro affermare che plasmando la fine testa femminile, l'artista innanzi tutto si è ispirato a una versione di bellezza; ammireremo poi la sensibilità e l'abilità che gli hanno permesso di imprimervi i segni di una intelligente ferma volontà contrapposta e fusa insieme ad un ineffabile sentimento di nostalgia.

Franco Asco, non ammettendo limiti all'arte, aspira ad addentrarsi nel campo delle indagini psicologiche e spirituali. Alla maggioranza piaceranno piú facilmente le piú semplici manifestazioni estetiche; ma egli ama ripetere come intenda cercare altre vie, poiché ciò che fa dire ai pessimisti che nelle Arti plastiche non c'è piú niente da fare, è la mancanza di fantasia. Quindi considera le proprie opere già lodate e rappresentanti leggiadre forme di giovinezza, come studio e preparazione per piú arditi svolgimenti. Erronea pretesa quella di ritornare ad atteggiamenti di epoche passate, con uno spirito che piú non vi risponde, come se l'evoluzione dell'umanità non avesse altro risultato che quello di incrostare e di corrompere: se qualche cosa abbiamo da esprimere in arte dobbiamo sinceramente dimostrarci quali siamo, nel carattere del nostro tempo. Una campagna contro l'intellettualismo o il cerebralismo può essere utile contro la pretesa di crearne basi di programmi, in senso statico ed unilaterale; non si bandiscano però dall'arte quegli elementi culturali, che possono avere affinato, senza inquinarla, la nostra sensibilità. Se non si può ammettere un Manzoni menomato di storica conoscenza o un Carducci meno erudito, si vorrà contendere ad un nuovo artista la facoltà di evocare le imagini di cui ha potuto impadronirsi cogli umani mezzi dello studio e della meditazione e vuole rivelarci coi divini mezzi dell'Arte?

Riuscirà nell'altissimo intento? Certe stilizzazioni che appaiono negli Studi sui miti delle religioni del passato possono fare esprimere qualche riserva all'amatore del piacevole e del grazioso; ma, chi ben guardi, sarà presto persuaso che si tratta d'elementi vitali, consoni ad una ieratica e sacra fissità. In quelle maschere del Monaco Buddista e del Sacerdote Egiziano c'è del rituale, ma del rituale vivente. Quanta parte della vita egiziana non era investita dal rito? Sorge il mattino come per incanto nel paese, che quasi non conosce i crepuscoli. Il re o il profeta incaricato dell'esecuzione dei riti subisce l'apertura della bocca e degli occhi, funzione che secondo il rito osirico fa di lui un dio, allontana ogni pericolo di morte e lo riunisce col suo Ka, sostanza primordiale e universale, sorgente di vita. In tale atto il nostro scultore lo ha immaginato: le palme sono accostate al petto e le dita, raccolte in senso verticale, raggiungerebbero il mento se il capo fosse meno in alto proteso, gli occhi sono largamente aperti, non spalancati in contemplazione, e pure aperta è la bocca; da tutto l'insieme risulta l'atto religioso dell'essere umano, dell'umanità intera, che attende e riceve, al nascere della luce, la grazia dell'esistenza. La realizzazione dell'Asco non è nostalgia del passato, non astrazione storicistica e tanto meno puro giuoco di stile, bensì un'aspirazione mattutinamente ottimista al bene, che gli dei saranno per concedere nel maturarsi del giorno, realizzazione ottenuta dall'artista con fede giovanile e profonda venerazione dell'Arte professata e diletta, come se risentisse echeggiare la solenne definizione di quel suo sacerdote: "Scultore è colui che fa vivere" - "la statua è un'immagine vivente".

Ebbi l'occasione di visitare lo scultore al suo ricetto un po' appartato nel vicolo laterale d'una grande arteria cittadina.

Con persone di buona volontà bastano poche parole per intenderci ed in modo particolare con Asco. Non che si accontenti di accennare, di abbozzare. E' notevole anzi nel suo discorso la precisione dei contorni. Ama i punti fermi: ma ciò che gli serve a delineare l'idea è, come nelle statue, il modo. La scultura è quell'arte che meno di tutte lascia il campo aperto alla fantasia, perché, astrazione fatta del bassorilievo, chiede d'essere mirata da ogni lato. Non dà niente da indovinare, non c'è lavoro per quella specie di collaboratore che è il pubblico. Non consiglia e non suggerisce, insegna e s'impone: le tre dimensioni la confinano in limiti precisi. Dipingi la statua e avrai oltrepassato i limiti della scultura, snaturandola.

Franco Asco conosce la specie di responsabilità che scaturisce dalla sua arte, e che impone una sintesi purificata, una sincerità assoluta, una continua presenza di se stesso, per non lasciarsi cogliere dalla pigrizia dell'approssimativo.

Di tale coscienza sono primo documento i ritratti, nei quali vanno riscontrati due momenti. Quello che è volto alla riproduzione dell'imagine di una persona e quello che intende rappresentare l'imagine di tipi psicologici e sociali o di razza. Del primo momento, è fra gli altri ammirevole il busto "Mia Madre" già esposto alla Mostra Commemorativa della Biennale veneziana, opera d'un nobile realismo affettuoso, vivo, palpitante, del secondo non possiamo dimenticare le sintesi intuitive dell'Ipocrita e del Commediante.

Nulla di ricercato, di decadente in questa multiforme attività, bensì calmo e sano vigore. Vuole il corpo del "Crocefisso" quasi atletico, non quello di un malato; vi conserva il vigore giovanile di Colui che non presentava certo un gracile aspetto quando, solo, scacciava dal tempio i profanatori a sacrosanti colpi di frusta. L'Asco non crede che dal volto divino possa manifestarsi un dolore fisico e in ciò mi sembra discorde dal senso di quel mistero per cui la divinità, incarnandosi, si è voluta rendere partecipe delle piú atroci sofferenze umane; comunque tal pensiero è altra prova d'una delicata spiritualità.

Spiritualità, non astrazione. L'insieme dell'opera di Franco Asco ci appare come il prodotto di una miniera ricca di piú metalli, disposti secondo i loro propri filoni, che si intrecciano senza confondersi. Il minatore mette alla luce con generosa fatica questi molteplici elementi: quale sia il piú prezioso forse ancora non sa, oppure, siccome lo pensiamo, egli è intento a scavare sempre piú in fondo, coll'ansia di raggiungere quello, che, come in un rabdomantico presentimento, rende misteriose vibrazioni al suo spirito investigatore.

ALDO PALATINI - Perseo, 1 ottobre 1937

 


 

Le nuove opere d'arte nei Cimiteri milanesi

...Vi sono sculture che vogliono subito essere segnalate come emergenti, per complessità di struttura, perizia di tecnica, nobiltà di concezione. Si dirà dunque da principio del gruppo in bronzo raffigurante la "Deposizione", dello scultore Franco Asco (tomba Borrani Carlo). E' una poderosa concezione che riceve vita da un fatto plastico e compositivo potente e complesso: masse agitate da un interno dinamismo, sorrette da un mesto e tragico canto di umanità, che tocca per il suo linguaggio acuto e penetrante, detto in formule di una modernità equilibrata in cui echeggia viva la coscienza della tradizione. Si tratta, oltre a tutto, di un'opera in cui i valori di umanità si esaltano per virtu' di pensiero e di concetto. Anche per questa ragione la segnaliamo opponendola alle troppe opere vacue e inconsistenti.

DINO BONARDI - Il Secolo (La Sera) - Milano, novembre 1938?

 


 

Franco Asco

E' un triestino: classe 1903. Quando si affronta la scultura, a 36 anni si è giovani: perché la scultura vuole un lungo tirocinio tecnico anche manuale, e impone una sintesi di valori formali e spirituali insieme, a cui non si arriva che tardi.

Perciò Franco Asco ci pare uno di quegli artisti che promettono molto, ma che hanno già mantenuto molto: e meritano d'essere seguiti e messi in luce.

Dalla scuola d'arte di Trieste, dove ha cominciato a rivelarsi mentre ancora lottava con l'inesperienza e gli impulsi disordinati d'un temperamento in formazione, egli è stato mandato, dalla Città stessa, all'Accademia di Vienna, a compirvi gli studi. S'era nel 1918; ed egli aveva 15 anni. Ma, appena finita la guerra mondiale e apertesi le frontiere, è fuggito da Vienna e si è iscritto all'Accademia di Venezia. Il suo carattere indomabile lo ha vinto un'altra volta: ed egli ha peregrinato da Roma a Firenze e di nuovo a Venezia, " accumulando fame su fame e sogni su sogni ". Alfine è ritornato alla sua città, dove ha trascorso dieci anni, in lotte e prove, in scatti di energia e di fantasia creatrice, e disillusioni e sofferenze: " amarissima esperienza! "

A un certo punto ha sentito, come tanti altri artisti, il richiamo di questa mirabile Milano che ha un cuore e una mano pronti ad accogliere chiunque abbia una sua parola da dire, una sua azione da compiere, anche e meglio se idealistiche, pur che basate su qualche cosa di attuabile e di fattivo.

A Milano ha forse raggiunto la piena coscienza dei suoi mezzi e dei suoi intenti.

Ha esposto, spesso come invitato, a molte Internazionali, e ha vinto, in mostre e concorsi, - com'egli dice sorridendo melanconicamente - " molte medaglie ". Il Museo Revoltella di Trieste, e i musei di Venezia, Roma e Milano possiedono ciascuno una sua opera.

L'arte di Franco Asco mira, spiritualmente alla espressione, attraverso la definizione del tipo umano; tecnicamente alla vibrazione e al palpito, non solo della forma, ma anche della luce, attraverso una modellazione che associ alla struttura solida e profonda, liquidità di piani e delicatezza di chiaroscuri e renda la superficie quasi immersa nell'atmosfera e imbevuta d'ombra o di splendore.

Nella ricerca dei tipi umani lo scultore non si vale astutamente delle note caricaturali, che portano con più facilità a definire e sottolineare i caratteri, sebbene a tutta prima possa sembrare. Lo nega la delicatissima figura di Jia Ruskaya Borelli, in cui la forza del ritratto emana da lineamenti armoniosi e da piani modellati con morbidità e fluidità, e l'energia e l'originalità sono espresse dalla fermezza della bocca, pur così delicata, e dal taglio è dallo sguardo dei due occhi, sotto gli archi sopraccigliari vibranti. Ma lo conferma la "Testa di donna", così gentile e fiera, così passionale e casta, con quella mossa di falchetto del collo, con quel profilo sottile e fremente, con quel mirabile sguardo intenso e penetrante: scultura che fa pensare a certe teste di Desiderio e di Duccio, e che certo alle più aristocratiche espressioni scultoree del Quattrocento si ispira e si avvicina. Ma la Venere "Anadiomene" non è meno musicale: classicità rivissuta con temperamento moderno. Nudità che sa di mare e sa di custodia di cristallo: carne che rabbrividisce, come al vento marino, e marmo che sembra già trasformato in avorio dal sole. In Franco Asco si direbbe che combattano due tendenze: una a un realismo che lo seduce a precisare la forma come la vede nella sua verità materiale e spirituale; l'altra a un'idealismo che lo spinge a sconfinare dalla forma singolare per arrivare alla conquista del tipo; e a volte la vita e il simbolo si congiungono nella sua scultura, ma in modo che se ne potrebbe segnare la linea di saldatura.

Come in "Maternità", dove la testa della donna non si è liberata totalmente dal suo carattere di ritratto, mentre tutta la figura, nella perfezione di un modellato che pare tendere all'astrattezza, raggiunge il suo fine, che è di cantare il poema universale della Madre.

Notevoli in questo senso sono i due ritratti "Busto della Madre" e "Commediante". Nella cera c'è una conquista minuziosa della realtà che solo l'impostazione grandiosa delle moli salva dal cadere nel trito, e se ne esprime tuttavia un carattere umano pieno di sincerità e di forza pacata. Nel "Commediante" i piani larghi, il modellato più sintetico, non liberano la figura da un soggiogamento alla realtà, ma rivelano la ricerca di una più profonda verità umana che si esprime in un'amarezza dolorosa e sdegnata.

Caricaturali si direbbero più facilmente le due maschere del "Ebreo" e del "Monaco Buddista". Ma quanto sforzo di sintetizzare e di semplificare per raggiungere l'essenziale in tutte e due le teste: basterebbe nel "Ebreo" la piega sinistra del labbro, e nel "Monaco Buddista" il socchiudersi dell'occhio che ha persino evidente l'umidore della palpebra.

Ché certo all'Asco non manca la conoscenza e il possesso di nessun mistero della plastica e delle reazioni e dei riflessi del marmo, ch'egli lavora con la finitezza ch'era l'intimo ideale del Wildt e come il Wildt porta a una luminosità che quasi lo smaterializza.

Che cosa egli possa fare come compositore, e quando si dimentica del particolare per giungere a larghe e potenti sintesi, lo dice il gruppo funerario "La deposizione".

La figura dell'uomo in piedi, che è evidentemente un autoritratto (? ndr), rimane un po' impigliata nel realismo più deciso; ma quale mirabile larghezza nella figura della Donna che nella semplicità del saio rivela il nudo semplice e potente, e nel gesto che accarezza e quasi vorrebbe raddolcire col balsamo il piede ferito come fosse ancora vivo, esprime l'amore e l'angoscia: e che nobiltà e che vigore nella figura del Cristo, pezzo di scultura anatomicamente severo, e verità animata da un pathos profondo.

Alla semplicità, alla sintesi, alla intensità interiore, senza eccessi di forma, Franco Asco deve continuare a tendere con tutte le sue forze: e sopra tutto alla trasfigurazione della realtà, che è forse il più alto fine dell'arte: la quale deve essere, sì, vera, ma della superiore verità delle cose e delle creature sognate.

L'Eroica - Milano, settembre/ottobre 1939

 

Artisti Giuliani alla XXII Biennale

... Tutti sanno che alla massima mostra italiana si arriva o per invito o per concorso. ... E veniamo agli artisti vincitori dei vari concorsi. Franco Asco ebbe accolta una statua marmorea : "Anadiomene". Come il soggetto mitologico e simbolico invitava, lo scultore dà alla figura muliebre un carattere essenzialmente decorativo; forme belle di generica bellezza, corretta eleganza di linee: l'autore non s'era proposto di piú.

REMIGIO MARINI - La Porta Orientale - Trieste, n. 1/2 gennaio-febbraio 1941

 


 

Hotel Esplanada - Sao Paulo, Brasile (1947)

Quasi alla chetichella, come un qualsiasi "Uomo qualunque" (la politica qui non c'entra) Franco Asco, scultore, è venuto da poco fra noi, e senza strombazzamenti, con quella alacrità calma e pensosa, che deve essere nella sua natura, ha allestito una mostra personale in uno dei saloni dell'Hotel Esplanada.

Dopo le sue eccezionali doti d'artista, questa silenziosa signorilità deve costituire senza dubbio uno dei suoi pregi personali.

Non è il caso di nascondere che, da questo nostro lato dell'Atlantico, il suo nome è noto solo a coloro che si potrebbero chiamare gli iniziati dell'arte: eppure, anche un profano capirebbe a prima vista, come attorno al suo nome ed alle sue opere egli avrebbe ben ragione di suscitare i piú alti richiami.

Evidentemente però, Franco Asco deve ispirarsi a quel principio filosofico cinese secondo il quale, anche sperduta a fior di sabbia nel deserto, la pagliuzza d'oro deve presto o tardi richiamare l'attenzione di qualcuno.

Oggi che Franco Asco ha aperto la sua esposizione, ecco che i critici, gli intenditori, gli amatori sentono il richiamo dell'ammirazione che si desta attorno a lui, visitano la sua mostra, si fermano dinanzi ad ogni sua opera e sentono di dover confermare il senso ammirativo che è stato a loro comunicato.

Non staremo a dire che Franco Asco ha una sua "spiccata personalità", che è un artista maturo o che un grande scultore: non occorrono per lui le frasi fatte né la ricerca di elogi piú o meno nuovi.

Franco Asco è uno scultore ed un artista nel senso piú serio, piú ampio, piú completo, del termine. C'è nelle sue opere una misura che non trascende, una linea che non è la ripetizione o la copia di altre scuole, e soprattutto c'è un acuto senso interpretativo espresso senza sforzo e senza artifizi pure nella freddezza del marmo o del bronzo.

E c'è anche una certa ecletticità di stile, che dimostra le capacità e la coscienza dell'artista.

Eccolo gentile e un po' lezioso nella "Vergine saggia", vigoroso nella testa di "Don Chisciotte", profondo e possente nella "Sonata a Kreuzer", dolcissimo in "Maternità", arguto e leggermente spavaldo nella "Saccente inappellabile": così in tutte le sue opere.

Franco Asco è italiano, triestino di nascita, ha studiato con maestri famosi, ma soprattutto ha studiato e studia con se stesso.

Studia costantemente.

-Studiare- ci dice -è per me, arte, in quanto produrre-. Studio dove mi trovo, senza preferenze di ambiente o di soggetto: poi affronto il blocco di marmo; qualche volta non sono soddisfatto del mio lavoro, allora non amo correggere, rifare o, come si dice, "riparare", distruggo.

Franco Asco ci parla ancora della sua arte: è venuto in Brasile, andrà poi in Argentina, per conoscere il nuovo mondo e per farsi meglio conoscere; ma non ha programmi immediati.

A Milano ha lasciato il suo studio, al quale tornerà un giorno: non sa però quando e per quale via.

Anche in questa sua vena di vagamondo c'è il riflesso della sua arte (o viceversa) un riflesso appena sentito, contenuto in quella linea di silenziosa signorilità e di misura, che è una delle espressioni del suo elevatissimo senso estetico.

Ecco, direi appunto che Franco Asco, oltre che scultore e artista è prima ancora, un acuto pensatore e un raffinato esteta.

GINO RESTELLI - Fanfulla (San Paolo) Venerdì 5 Dicembre 1947

 

Franco Asco-Atschko

No Esplanada Hotel o notavel escultor Triestino Franco Asco expõe dezoito trabalhos em bronze, prata, marmore e cera. Trata-se de uma mostra rara, dado o valor do estatuario, cujo nome, aliás, já é consagrado entre os artistas da atual geração de escultores do velho mundo.

A arte de Asco é profundamente aristocratica si a esta palavra dermos o seu justo sentido de refinamento. Seus trabalhos são dos que melhor figurariam nos salões de gosto requintado pela natural força decorativa que deles decorre, não por um mero jogo substancialmente docorativo mas pela resultante extremamente harmoniosa das suas linhas e pelo sofrido amor do acabamento. Sem se filiar a Wildt, o admiravel escultor italiano, as peças que Asco expõe não deixam de lembrar o carinho que o mestre peninsular tinha pelas criações fortemente estilizadas dentro de um espirito de certa eloquencia. E' que tambem esta escultura é eminentemente figurativa, o que a transforma numa linguagem plastica de imediata compreensão e, como alguns dos trabalhos, como "Sonata a Kreutzer", "Asceta", "Saccente inappellabile", são intencionalmente representativos de um ato humano, nutrem-se de eloquencia. Essa eloquencia, proposital, salta da capacidade do artista em exprimir-se através do marmore. Dizemos isso porquanto, quando Franco Asco quer permanecer discreto, puramente escultor, limpamente plastico, consegue-o vitoriosamente como o demonstra em "Retrato de minha mãe", para nós talvez a mais sensivel e a mais bela realização escultorica da brilhante mostra.

No "Fragmento da cabeça de Cristo", trecho escultoreo de poderosa sensibilidade, de gosto remotamente bizantino e lembrando as tragicas criações de Mestrovich, o mestre que em dada época tanto influiu no nosso Brecheret, pode-se bem notar a funda sensibilidade e a delicada técnica do artista.

A exposição que jà has dias está aberta no Hotel Esplanada tem sido muito visitada por artistas e pessoas da nossa sociedade e ainda continuará aberta por alguns dias. Temos certeza de que nossos colecionadores de arte muito se interessarão por esse brilhante escultor cujo exito de critica e de publico vem sendo completo.

? - A Gazeta - São Paulo, 9 de Dezembro de 1947

 

Artes plasticas - Exposição do escultor Franco Asco

Se em pintura não nos tem faltado exposições de artistas estrangeiros, sobretudo de italianos e franceses, o mesmo não acontece em escultura. Raros são os escultores que nos visitam Desta vez porem temos um escultor em São Paulo com os seus trabalhos expostos no Salão do Esplanada Hotel. Trata-se de um artista triestino - Franco Asco-Atschko.

Pelos dezoito trabalhos em marmore e bronze de sua exposição, podemos ver que se trata de um artista de valor.

Tanto nas suas realizações classicas como "Retrato de minha mãe" e "São Francisco", quanto nas moderanas como "Maternidade" e "Virgine Saggia", Asco se apresenta como um escultor equilibrado.

O seu estilo e disciplinado forte, com linhas puras no classicismo de suas cabeças realistas e com linhas estilizadas nas composições liricas, sem contudo chegar à deformação. Com esta ultima maneira, Asco consegue realizar justas proporções, equilibrios e ritmos com os quais desperta no nosso espirito um sentimento de absoluta serenidade.

Na sua maneira clasica trata com precisão minuciosa as figuras e com abundancia de observação e de nitidez os detalhes, o que torna com isso as cenas evocadas em suas composições de uma extrema exatidão.

Isto mostra que Asco e um artista que possui uma tecnica escultorica segura e uma sensibilidade apurada em seus vôos liricos.

OSORIO CESAR - Folha da Noite - São Paulo, 12 de Dezembro de 1947

 


 

Seconda Mostra Giuliana d'Arte Sacra - Galleria d'Arte 'Trieste' (Novembre 1948)

 

Le sculture alla Mostra d'Arte Sacra

... Mirando le sculture dell'Asco immaginai un'abside ornata nella sua parte inferiore dagli apostoli seduti in semicerchio intorno alla santa mensa. Suggestiva la scena! Questo suo stile tagliente, levigatissimo, lucido e tanto chiaro nel candor del marmo, è atto a tradurre in forma precisa e chiara sentimenti puri. La sua Pulzella d'Orleans, allucinata, rapita in estasi, è uno dei pezzi indimenticabili della mostra. ...

CESARE SOFIANOPULO - Messaggero Veneto - 26 novembre 1948

 

La Mostra d'Arte Sacra alla Galleria "Trieste"

...Non è sempre il caso di artisti che operino senza una meta immediata e si lascino trascinare quindi dall'incanto della fantasia, dalla purezza del sogno. E' avvenuto così per Franco Asco, che si è trovato nella possibilità di cedere alla volontà di amici desiderosi della sua partecipazione, perché stava bozzettando una grande sua composizione serrata nel dramma dell'Ultima Cena e affidata alla difficoltà della sola espressione facciale nel susseguirsi dei busti. Riportò allora nella definitività del marmo la fredda venalità di "Giuda", con impressionante eloquenza del piú indovinato degli atteggiamenti di smorfia calcolatrice nella rudezza del tipo. Con tranquilla sicurezza si rincorrono su quel volto plasticamente i piani tra giuochi fieri di cavità e di sporgenze. E da alcune fotografie esposte dei gessi degli altri personaggi, quali finora sono apparsi nella concezione sua, l'opera promette di essere una singolare orchestrazione, capace per numero e per altezza artistica di rappresentare tutto lo scultore.

SILVIO BUTTERI - Vita Nuova - Trieste, 27 novembre 1948

 

...Per quest'oggi solo ad una ristretta cerchia di artisti dirò il mio pensiero, e citerò per primo lo scultore Asco. Il suo "Giuda Iscariota" l'ho già incontrato, sta in mezzo al gruppo dei "Borghesi di Caleis" del Rodin, mentre la sua tecnica si rivolge al "Prigione" di Adolf Wildt. Nulla di mostruoso per ciò. Se il nostro scultore ricorre arditamente ad un espressionismo con una modellazione che incidentalmente si avvicina a quella di un altro il suo spirito sta lì, trasparisce da quel viso di fuoco del suo genio, quella mascella disorientante, quell'arcata dello zigomo necessaria e quel movimento mimico della sarcastica bocca del suo "Giuda" ce lo significa. Lo sa Asco il perché di quello sferoide irregolare che è l'occhio del suo torvo personaggio, in quella alterazione esso trova l'espressione tragica di colui che seppe tradire Cristo. L'effetto psicologico di questa espressione mimoplastica del sentimento che ho incontrato nella scultura di questo nostro artista mi consiglia a trattarlo con rispetto...

PING. (Giovanni Pinguentini?) - Il Lavoro - Trieste, 28 novembre 1948

 

Arte Sacra alla Mostra Giuliana

...Franco Asco signoreggia all Mostra con alcune teste di apostoli di raffinata e potente modellatura sia nella lavorazione del marmo, sia nel ritratto antropologico dei tipi. L'artista ha deciso di comporre tutti i personaggi della "Cena" col Cristo nel mezzo. L'ispirazione ha seguito una certa documentazione che Asco ha ricavato dalle sobrie e rare descrizioni che degli apostoli si trovano nel Vangelo e nelle agiografie.

Opera meditata con sensibilità e concetto moderni, perciò ricca di interno travaglio e interessante nella particolare individuazione marmorea dei personaggi tra i quali è qui esposto in marmo Giuda il traditore scavato dall'interno rovello. E poi c'è di Asco una testa di Giovanna d'Arco giovinetta, che spalanca lo sguardo rapito nella visione divina...

? - Il Giornale di Trieste - 28 novembre 1948

 

Spiritualità religiosa nella traduzione coloristica - Asco

Uno dei lavori che piú impressionano per l'acuta rappresentazione psicologica raggiunta da un'opera d'arte è il "Giuda" dello scultore Asco. Se l'artista nella stupenda rievocazione realistico-spirituale della "Pulzella d'Orleans" riesce a spogliare l'immagine del suo peso materiale per raggiungere con a semplicità e la purezza della linea una figura prettamente spirituale nel suo rapimento ascetico, così nel labbro inferiore del "Giuda" raccoglie con un intuitivo tocco tutto il dramma assillante dell'incredulità, del tradimento, propri al personaggio così potentemente rievocato. Le rughe della fronte, le rughe del viso segnano un commento a quel ghigno della bocca che è il centro dell'espressione. Anche qui disegno, volumi e forma sono al servizio di un'arte spirituale perché superando la loro natura d'espressione umana raggiungono quell'ideale spirituale, sia per rappresentare una forma di bene o qualche aspetto di male, come concepita nell'animo dell'artista. Anche Asco, nella sua evoluzione artistica, raggiunge, come Wild, un culmine nel quale la pietra diventa un mezzo di espressione di quella semplicità lineare che solo una grande arte riesce a rappresentare.

? - Vita Nuova - Trieste, 4 dicembre 1948

 


 

Galleria d'Arte - Trieste (Dicembre 1949)

Polemica con le statue - Una Mostra artistica di eccezionale interesse a Trieste

Sta per essere inaugurata nella nostra città una Mostra d'arte di assoluta eccezione e che solleverà enorme interesse: lo scultore triestino Franco Asco, dopo oltre un decennio di silenziose meditazioni, si ripresenta alla ribalta pubblica con un complesso di lavori ispirati tutti al travaglio artistico dell'ora presente. Egli narra, cioè, con le sue sculture, una specie di viaggio autobiografico tra l'antico e il nuovo, l'arte gloriosa di ieri e quella incerta e discutibile di oggi, con continui raffronti tra le due scuole o le due tendenze. Le sue sculture hanno un vivace carattere polemico - polemica nobile, svolta tutta in fede artistica - in quanto di continuo pongono un confronto fra le due maniere, quella classica di intendere la forma, e quella che insegue le farfalle surrealistiche o metafisiche o freudiane sotto l'arco di un gloriosissimo passato.

La nobiltà dell'assunto e l'alto valore delle opere presentate pongono la Mostra di Franco Asco - che nella nostra città avrà la prima tappa in attesa di spostarsi nei maggiori centri della Penisola - al di sopra di ogni discussione critica per essere anzitutto un avvenimento artistico di prim'ordine, per cui è da attendersi un vivo successo di curiosità. La Mostra si terrà alla Galleria Trieste, in viale Venti Settembre.

? - Il Lunedì - Trieste, 19 dicembre 1949

 

Questa o quella?

Una delle due è una fiorente donna, l'altra...

Per carità, acqua in bocca; ciascuno risponda come se la sente. Ma poiché sul tranquillo orizzonte della locale vita artistica stanno per comparire quei due personaggi, con un plotone di altre statue, e vengono tutti a Trieste 7per iniziare una specie di viaggio polemico attraverso le altre città italiane, conviene al cronista segnalare l'avvenimento così pieno di singolarità. Se, poi, nel corso del viaggio incontreranno fiori o verdura, applausi o fischi, sarà cronaca di domani.

Quelle due figure, a modo loro spavalde l'una e l'altra, dicono a prima vista di che si tratta: la signora Arte (per dirla pirandellianamente) uno e due. Ed è chiaro che, accostandole, l'autore ha preso una nettissima posizione polemica, anche se ha l'aria di mettersi in un angolo, in attesa che qualcuno pronunci un giudizio, non tanto sulla sua opera quanto sull'assunto che l'ha impegnato; parli se gli piace quella o quell'altra, quale delle due strade è la giusta. L'autore, in sostanza, non risolve il problema; lo espone. Anche se col dente avvelenato.

Ma non è tutta qui la ragione di tanto lavoro. Lo scultore triestino Franco Asco ha inteso di tradurre in forme plastiche un suo episodio autobiografico, e narrare il suo tormento di artista. Elio Predonzani, nel presentare con accento lirico l'eccezionale esposizione, conclude col dire che l'artista uscirà da questa prova "vincitore o distrutto". Difatti egli si butta nel quadrato con tutte le sue forze, pronto ad affrontare il combattimento sino alle estreme conseguenze, cada uno o cada l'altro, purché vinca la Bellezza. E' un indubbio atto di coraggio umano oltre che di lealtà artistica; ed è forse, nel suo campo, una cosa nuova e ardita.

Da alcuni decenni il triestino Franco Asco vive e opera a Milano. Non ha falsi pudori, nella sua confessione: "Ho vissuto di mestiere". Si. Ha fatto tante belle statue (proprio così, come le volevano: "belle") per ginecei e cimiteri, seguendo con il pollice le curve delle matrone lombarde e degli zeri scritti sugli assegni. Poi ha sentito la nausea del "mestiere" e si è fermato "in un'oasi di ripensamento". Dice: "Avevo bisogno di umiliarmi, di imparare cioè a ripresentarmi umile, quando un giorno vi fossi ritornato". Sennonché, quando riaperse gli occhi, e riprese contatto col mondo artistico, gli parve di avere disparato a parlare. Trovò in giro un nuovo alfabeto, a lui incomprensibile. Gli parve di essere un muto, da non potersi intendere nemmeno a gesti con gli altri. Nel suo autoritratto, battezzato "Risveglio", egli contempla attonito, perplesso, addolorato il nuovo mondo artistico: gli pare di guardare il caos. Gli sale alle labbra una parola: "squilibrio". Ma come poter comunicare col mondo, con gli altri? Dice: "Io non posso tramutare in parole sulla carta la dialettica del mio spirito; non so scrivere". Infine s'accorge di possedere un alfabeto da utilizzare: l'alfabeto della plastica. E riprende a modellare; e, fatalmente, a polemizzare, a lottare; ed entra, come scrive il suo biografo, in quel quadrato dal quale uscirà "vincitore o distrutto".

Sarà compito, domani, dei nostri critici, di pronunciare un giudizio; e francamente, non invidiamo il loro mestiere. E' facile prevedere un interesse straordinario a questa Mostra straordinaria, con scambio di bordate polemiche di grosso calibro, tra scoppiettanti girandole di entusiasmi, inni di esultanza e cachinni, sdilinquimenti e spandimenti di bile. Davanti al gruppo delle "Tre grazie" -la figura centrale di una purezza classica, le altre due tagliate con la scure novecentista, uno sguardo onirico negli occhi anatomicamente incerti- si svolgeranno sicuramente scaramucce polemiche, chissà, battibecchi tra i visitatori.

Il sapiente tenterà di sedare gli eccitati gridando dignitosamente che "se ogni bellezza è verità, ogni verità non è necessariamente bellezza"; e che "per raggiungere la suprema bellezza è altrettanto essenziale allontanarsi dalla natura quanto riprodurla". Forse un altro gli risponderà subito che "la bellezza fa parte dell'esperienza umana, è un fatto palpabile e inequivocabile". Un terzo potrà appellarsi a Rousseau, per ripetere che l'arte non è una descrizione o una traduzione del mondo empirico, ma uno sfogo per sentimenti e le passioni, e un vecchio maestro butterà sul rogo delle discussioni il leonardesco "saper vedere", e la nobildonna che ha nel salotto due "biscuit", concluderà col dire che "l'astratto intellettualismo è una parodia dell'arte". E, non visto da nessuno, forse qualche studente, aggiornato piú degli altri, incollerà a una parete il ritaglio dell'ultima scanzonata lettera di Giorgio De Chirico a un giornale romano, nel quale il famoso pittore afferma che "quella brutta strega che chiamasi arte moderna si mette a letto, gravemente ammalata, per tirare, speriamo al piú presto possibile, le raggrinzite cuoia". (Se questo è vero, lo scultore triestino le sta preparando un funeralone di prima classe, con cavalli impennacchiati e fanali accesi).

Noi andiamo molto piú lontano, addirittura sino a Eraclito: il quale disse che il sole è nuovo ogni giorno; il sole dell'artista, non quello dello scienziato. Che nel cielo nuvoloso e pieno di folgori dell'arte d'oggi appaia un improvviso raggio di sole -anche d'un sole lontano e solitario, forse incamminato su un'ellittica ancora misteriosa perché non registrata nei quaderni ufficiali- è un messaggio da accogliere con speranza di naufraghi smarriti nell'immensità dell'indifferenza quotidiana, quali tutti noi ci possiamo spesso sentire.

UGOSAR - Il Giornale di Trieste, 21 dicembre 1949

 

Strano ritorno all'arte dello Scultore F. Asco

Forse nelle sale della Galleria Trieste in viale XX Settembre scoppierà in breve la scintilla della rivoluzione contro l'arte moderna e Franco Asco diverrà un suo Robespierre: gli effetti dell'atomica, che lo scultore triestino ha plasmato con febbrile ansia nel tempo di sei mesi, per ora non si possono misurare, ma essi potrebbero anche sconvolgere gran parte del mondo, ecco perché di questo eccezionale avvenimento artistico - che in fondo niente altro è che una mostra di scultura - prima che il critico, si deve occupare il cronista.

Sì potente materia ritenuta disgregatrice è contenuta attualmente in un limitatissimo numero di copie d'un bellissimo catalogo, fatto stampare a proprie spese dallo stesso scultore, che s'intitola "Un episodio autobiografico di Franco Asco tradotto in forme plastiche", e nella lunga prefazione (tecnicamente un'intervista) scritta da Elio Predonzani, oltre che - ben s'intende - nelle circa quaranta opere in terracotta, gesso, bronzo e marmo esposte da domani nella suddetta galleria.

Per spiegare chiaramente anche ai piú profani quale sia lo scopo che l'artista si prefigge, e per non incorrere in errori di valutazione, in argomento così delicato convien pedestremente seguire l'intervista del Predonzani; ma prima di farlo, da coscienziosi cronisti, vogliamo descrivere un significativo episodio accaduto pochi giorni or sono, quando la mostra era ancora in allestimento. Il leggiadro marmo delle "Tre grazie" (secondo episodio autobiografico di Franco Asco), esposto nella vetrina della galleria, richiamò nell'ora del massimo passaggio l'attenzione di molte persone, e, fra queste, l'attenzione di un anziano e distinto signore, che improvvisamente entrò in galleria ed entusiasticamente fece sapere di essere stato, forse venti, forse trent'anni fa, uno dei primi a riconoscere in Asco un sicuro artista. In seguito - disse - ne smarrì le tracce, e ora lo ritrovava "meraviglioso" in quel "trittico esistenzialista", ed era un uomo serio e di rispettabile età. Disperato equivoco.

Dire che in queste sculture di Franco Asco ci sia, non dico ispirazione, ma anche una sola traccia o segno o incisione di scalpello esistenzialista, è come dire che i caratteri coi quali sono state composte le colonne del giornale che avete sott'occhio non sono fatti di piombo, ma di ceralacca. Non esiste dunque piú nessuno che sia capace di comprendere l'arte, che nell'arte sappia distinguere il genuino dal falso, che dell'arte conosca le fondamentali virtù?

Queste domande, che per piú di dieci anni hanno tormentato Franco Asco e alle quali egli non seppe o non volle dare una precisa e coraggiosa risposta, determinarono praticamente nella scorsa estate in lui la "crisi", che si è poi risolta, attraverso una semestrale sofferenza creativa, nella sconcertante e tuttavia affascinante opera dell'artista "rinato".

C'è però un fatto. Quel pretenzioso signore che definì Asco "esistenzialista", non fu il solo a perderne le tracce in un lontano (per la vita di un uomo) passato. Lo scultore, che dal suo esordio nell'arte trasse bensì notevoli soddisfazioni e riconoscimenti, a un certo punto fu moralmente sopraffatto dall'incalzante "progressismo" e gli cedette il passo. Non partecipò pi' a mostre, e si ritirò a lavorare per conto proprio o per "commissione" a Milano, e qui divenne in breve proprietario di un magnifico studio, donde uscirono alcuni dei piú lodati monumenti funebri del Monumentale e di Musocco, e decine e decine di busti e di teste e di bronzi e di marmi, cristi in croce e angeli con le ali raccolte o spiegate. Via i monumenti funebri, dove sono ora tutte queste opere?

In parte sono proprietà private di ricchi milanesi (ma qualcuna si trova anche a Trieste), in parte sono emigrate perfino in America, recate dallo stesso autore quando, circa due anni fa, vi andò dopo aver venduto lo studio per pagarsi il viaggio. Asco, in America, cominciò a vendere i suoi marmi nel momento stesso in cui dovette disimballarli alla dogana. Avrebbero voluto che rimanesse laggiù, a scolpire e a insegnare, ma egli preferì ritornare, come infatti ritornò, senza che abbia potuto riavere uno studio come prima della partenza: il suo "episodio autobiografico" antimodernista - come tutte le altre sue opere recenti - lo concepì in una stanza del suo appartamento. Ora Franco Asco, che ebbe la forza di dire di no ai costanti inviti della Biennale, si ripresenta d'improvviso al pubblico e riaffronta la critica, con che cosa? Con un'atomica, come abbiamo detto all'inizio, distruttrice? Scusate, non è vero. Polemico e peraltro remissivo, combattivo e tuttavia umile, deciso e comunque disposto al compromesso, viene a dire nella sua diciassettesima - se non erriamo - pagina: "Pace in terra agli uomini di buona volontà". Presunzione - in questo tempo dell'anno - l'apostolico e prelatizio piú che artistico appello? Lo dica l'opinione pubblica, alla quale solamente egli si rivolge.

E' vero che chiunque s'adatti a lavorare per sè o su commissione, non fa piú dell'arte, ma soltanto un mestiere? Può darsi. Asco questo ha fatto, per tre lustri o giù di lì, e ora, dopo la lunga digressione, rientra nella corrente, ma dalla foce, e dio solo sa quanta forza dovrà avere nelle braccia per restare a galla.

Il tormento dell'artista, descritto nelle quindici pagine di prefazione dal Predonzani, è liricamente, epperò efficacemente trasfigurato, mentre qui noi lo si vorrebbe volgarizzare, renderlo quasi tangibile al lettore: in parole povere, ad Asco è successo come spesso succede a tutti noi, quando ci troviamo davanti a una pittura o una scultura "moderne" e - poco o niente comprendendo - ci domandiamo: "Ma cosa significa? Che cosa rappresenta? Che cosa vuol dire?" Finora, a una domanda simile, veniva risposto: "Questo martello rappresenta il ritratto del signor X, come l'artista se lo è raffigurato al momento dell'ispirazione. Vuol dire che il pittore, nel suo "io" lo vedeva così, e se lei non riesce a identificarne la personalità, significa che non capisce niente dell'arte moderna". Insomma: o fingere di capire e di estasiarsi, dire ch'è bello anche ciò che ripugna, oppure ammettere con disinvoltura la propria ignoranza.

Asco, dopo essersi rifiutato di accettare una simile imposizione, con una definizione misurata all'eccesso, per non irritare, dice che si tratta semplicemente d'uno "squilibrio" dell'arte, Non appena, però, pronunciata questa parola, gli par già di sentir dire: "Ce lo dimostri, questo squilibrio!" Non possiede il dono della dialettica, che è facoltà o potenza di discutere, e ne prova sconforto, ma poi un improvviso soffio lo rianima: "Darò in creta la prova piú evidente di questo squilibrio", e i suoi pollici cominciano immediatamente a modellare le immagini della mente.

E' inutile e soprattutto impossibile tradurre qui in parole piú o meno efficaci il linguaggio plastico dello scultore, figura per figura, opera per opera, i cui pregi e difetti artistici altresì bisognerà in un secondo tempo esaminare da chi se la sentirà, senza reticenze. Giova invece - crediamo - riassumere molto brevemente e nel modo piú chiaro possibile il "filo conduttore", come usa il linguaggio rivistaiolo, dell'episodio autobiografico descritto da Asco nelle sue figurazioni. Eccolo, in sintesi.

C'è un uomo che si risveglia, e, si guarda intorno; vede l'arte moderna di "sinistra" e quella di "destra", e le raffigura nello schema del Calvario: Le Tre...Grazie, quella "classica" in mezzo, le altre due una per ciascun lato, come i due ladroni, e lascia un barlume di speranza, il ravvedimento. Ma il ravvedimento presuppone che non si abbia Orrore del vero, come invece lo ha chi concepisce Un nuovo vero, che Asco traduce e simbolizza in una figura scimmiesca sbozzata "a posteriori". E' già caduto in piena polemica, e ne dà riprova dapprima con una Nascita di Venere, che sotto la scorza nasconde, forse, la verità; quindi con Pomona e Flora, che è un ibrido accostamento, ma nello stesso tempo la dimostrazione forse piú riuscita dello "squilibrio" che forma la sua tesi. Eccoci alla personificazione dello "squilibrio": nasce Sorgente...di vita, una madre disumana, dalle cui poppe succhia linfa vitale un bambino; da essa nutrito, che diverrà? Un ebete, L'erede che "sarà molto se ci saprà dire frasi come questa: voglio la guerra, perché mio padre la volle". Questo si tenta di imporci, e questo bisogna evitare. Perciò Asco ammonisce con La vendetta della Gorgona, che sovverte il mito di Perseo, facendo soccombere costui alla terribile Medusa. Due "passaggi" sono L'incubo del surrealismo e Ritmi, e poi nuova inesorabile caduta nella polemica: come ottenere in arte un picassiano "bambino con granchio"? Semplice: basta Un pugno dello scultore che, abbattuto sul capo d'un bimbo normale, lo deformi senza pietà. Asco si riprende, e torna agli accostamenti; li sorvoliamo per sorprenderlo nell'ieratica invocazione del ritorno alla ragione, che attraverso altri riecheggiamenti, si riafferma nel Incontro mistico fra Santa Caterina da Siena e San Francesco d'Assisi, dove "all'ombra della croce si sono incontrati i due poli della bontà umana".

I nostri posteri che cosa diranno quando fra tremila anni dissotterreranno un Vaso del 1949? E come raffigurare la smania degli "arrivismi" se non con un Ascesa al Parnaso, dove ciascuno tenta di calpestare il prossimo, e il primo in cima calpesta tutti? Ma infine un po' d'ottimismo con La bella e la bestia: la grazia soggiogherà pur sempre la forza bruta. Per queste "eresie", pensa ora Asco, ormai prossimo alla fine del suo incontro, sarò io crocefisso? Forse sì, ma "mi si piegherà, non mi si spezzerà", risponde il povero cristo fatto segno agli strali nemici.

Avete capito qualche cosa? Non è facile, senza l'aiuto e la guida delle figure. Insomma Asco, con questa sua originale "sterzata", è l'idealizzazione del signor Piscitello del film "Anni difficili", là dove questi domanda ai grigi antifascisti del retrofarmacia: "Queste idee, mi pare che vadano bene, ma perché non si gridano in mezzo alle piazze?". Cioè Asco si è messo a gridare, e vedremo quello che succederà.

Perché per gridare ha scelto proprio Trieste? Oh, bella! Perché è triestino. Ma la mostra non morirà qui: andrà subito dopo (forse già in febbraio) a Milano, poi a Roma e poi avanti. Non siamo forse in regime di libertà?

VLADIMIRO LISIANI - Le Ultime Notizie - Trieste, 21 dicembre 1949

 

Una polemica condotta attraverso la scultura

Oggi alla "Galleria Trieste" di Viale XX Settembre, uno scultore molto conosciuto anche nella nostra città, Franco Asco, apre una Mostra che per la sua originalità e arditezza non mancherà di destare la piú viva eco non soltanto negli ambienti artistici locali, ma anche nel grosso pubblico solitamente estraneo a tali manifestazioni.

Franco Asco, scultore che sinora ha espresso la sua arte soltanto attraverso la piú pura linea classica, completamente astraendosi da ogni "modo" moderno, ha voluto cimentarsi con la scultura espressionista e cubista: è stato il suo un travaglio profondamente sofferto, dal quale l'artista è uscito sconvolto, senza trovare una strada nuova che lo soddisfacesse. Frutto di questo travaglio, la mostra che si inaugura alla "Galleria Trieste": una serie di sculture in cui i vari stili si confondono, si intersecano in un viluppo ibrido che lascia scosso e stupefatto il visitatore. Piú che una mostra d'arte è forse una polemica espressa anziché con parole, con scultore: anche il profano non mancherà d'esserne interessato.

Una mostra che, comunque, desterà vivo scalpore, non soltanto nel ristretto ambiente cittadino. Questa "mostra polemica", Asco intende condurla attraverso l'Italia: aver scelto quale prima tappa Trieste è senza dubbio un omaggio al gusto ed alla sensibilità artistica dei triestini.

? - Messaggero Veneto - 21 dicembre 1949

 

Arte e polemica

E' possibile all'artista - pittore, scultore, architetto - fare della polemica senza mutare i pennelli, il mazzuolo o il compasso per la penna del polemista?

In un certo senso ciò è possibile. Ma vi è una specie di polemica che assolutamente non patisce di essere tradotta in linguaggio plastico ed è quella di chi voglia impegnarsi in una sorta di "reductio ad absurdum" relativa a quelle tendenze e a quel linguaggio ch'egli intende combattere. Anche se accanto alla figura N. 1 "così fa Tizio" (ed è brutto) si trovi la figura N. 2 che corregga: "così faccio io" (ed è bello). E' logico che, finché le due figure restino in questi termini, una sarà sempre e fatalmente brutta: qualora facciano gruppo, i valori negativi dell'una non potranno annullare i valori positivi dell'altra. In verità, nessuna opera d'arte che sia realizzata, può insieme servirsi di un determinato linguaggio e combattere nello stesso tempo una battaglia contro quel linguaggio medesimo. Perché "affermare e negare" - potremmo dire parafrasando un noto verso di Dante - "insiem non puossi, per la contraddizion che nol consente". E allora, una manifestazione di questo genere è destinata in partenza a fallire o sul piano della polemica o sul piano dell'arte.

La Mostra di Franco Asco che si è aperta ieri nei locali della Galleria Trieste, vuol essere indubbiamente nell'intenzione prima del suo autore, una mostra polemica. Ciò non di meno, a nostro avviso, tale polemica fallisce; vedremo qui di seguito quali possano essere i valori genuini che, sempre a nostro avviso, la salvano sul piano dell'espressione. Ma vediamo prima di che si tratta.

Asco è uno scultore non piú giovanissimo, che da giovanissimo ha avuto a Trieste il suo quarto d'ora di gloria. Si è quindi trasferito a Milano dove, per sedici anni, ha "fatto il mestiere", restando in un certo senso assente dal grande rivolgimento che, nelle arti figurative, si andava compiendo attorno a lui. Fermo su posizioni che si possono ricollegare al romanticismo seriore dell'inizio del secolo. Ciò sia sempre inteso come riferimento estremamente lato. (Come artiere, come artigiano del marmo e del bronzo, le qualità di Franco Asco restano fuori discussione). A un certo punto l'uomo Asco ha aperto gli occhi e si è guardato in giro ed ha veduto che non intendeva piú quanto avveniva intorno a lui. Ha accumulato in breve tempo un'esperienza delle forme figurative piú estremistiche visitando mostre e musei, sfogliando cataloghi e pubblicazioni. Gli parve di trovarsi dinanzi a un colossale sovvertimento di valori, a un fondamentale squilibrio. Ne è rimasto confuso, ossessionato. Risultato: il materiale che oggi si espone, "Un episodio autobiografico di Franco Asco tradotto in forma plastica", come dice il titolo del sontuoso catalogo con prefazione di Elio Predonzani, uscito per l'occasione. Un avvenimento spirituale, potremmo dir noi: un ciclo che deve essere considerato nel suo complesso, perché chiude entro termini certi un unico racconto.

"Risveglio": un autoritratto espressionistico del modellato tendente al pittorico apre la serie. Sul viso attonito dello scultore è dipinta l'angoscia. lo sgomento dell'uomo che inizia il suo viaggio nel mondo delle esperienze antiaccademiche, anticlassiche, disumane del nostro secolo. Seguono composizioni e gruppi dove l'incontro, la frizione fra le due diverse concezioni esprimono l'angoscia, il senso nostalgico dell'artista innamorato della "bellezza" intesa in senso classico di fronte al culto del "brutto" che pare essere uno dei fattori dominanti nell'arte del nostro secolo. La "grazia" classica è crocifissa tra due sagome che riecheggiano moduli espressionistici e cubisti; un putto di fattura classicista succhia il latte da una balia foggiata sulla "Maternità" di Moore, un cavalluccio di Marino Marini è impegnato in un muto colloquio con un corsiero mestroviciano, che inarca le reni rinculando di fronte alla sconcertante apparizione.

E' così di seguito via, via "La vendetta della Gorgona", "L'incubo del surrealismo", "La bella e la bestia" segnano le tappe del viaggio fortunoso. Indi un momento di riposo: "Incontro mistico" fra Santa Caterina da Siena e San Francesco di Assisi, bozzetto per rilievo di forbita stilizzazione. Ecco ancora "Vaso" e "L'ascesa al Parnaso", dove le forme ossessionanti che all'artista parve di leggere in ogni manifestazione della plastica modernissima, si compongono in un conglomerato di corpi che, per il suo senso di "orrore del vuoto", pare ricollegarsi per misteriose vie, ai "Giudizi Universali" delle cattedrali di Francia. Il viaggio è concluso da un nobile autoritratto che si ricollega all'autoritratto di apertura, ed esprime non piú lo stupore, ma il senso di stanchezza, di vuoto, di disorientamento, che le esperienze violentemente hanno determinato nel mistico pellegrino. La mostra è completata da alcuni pezzi di egregia fattura che risalgono al periodo immediatamente precedente.

Ma torniamo alla serie dell'episodio autobiografico: di che si tratta alla fine? Una caricatura dell'arte modernistica di puro interesse contingente e che si nega da sè come espressione d'arte ("vedete come sono brutte queste sculture; se voglio so farne anch'io di così, ma non ne vale la pena")? Una magari non prevista ma reale accettazione dei linguaggi dei singoli e diversi autori di cui in un primo tempo l'intenzione, tradita in fase di esecuzione, era di fare la parodia? Né l'una né l'altra cosa a nostro avviso. Perché ciò che Asco ha in realtà espresso non è questo o quel nudo astratto o concreto, questa o quella figura classica o cubisticizata: ma l'incontro di due mondi eterogenei che non si comprendono. E' nel valore nostalgico dell'innamorato della "bellezza" classistica che si duole, ma non senza una punta di sopraggiunto compiacimento sadistico, del dramma che ha spezzato il filo di una tradizione di bellezza e di grazia, sta il solo modo di esser poesia di questo gruppo di sculture. E poiché tali sculture costituiscono, alla fine, un racconto e, per esprimere questo racconto, Asco si è servito non delle forme del linguaggio accademico, ma di un linguaggio che punta alla suggestione del subconscio attraverso l'eterogeneità delle forme, vuol dire che Asco sta, bene o male, sul piano medesimo dei surrealisti. Non sappiamo quanto egli persisterà per questa strada, né quale traccia questo esperimento potrà lasciare sulla sua opera futura. Ma è certo che questa manifestazione genuinamente surrealistica non può combattere una genuina battaglia in nome del "passatismo" contro il "modernismo". Semmai, partito dal "racconto" e pervenuto al surrealismo, potrà, incontratosi a mezza via con i surrealisti, che partiti dall'assoluta negazione del soggetto di Dada, hanno reintrodotto il soggetto in arte per la porta di servizio, ed ora annacquano via via il loro vino in un'arte "fantastica" di piú larga accezione, potrà, dicevo, inserirsi in un modo o nell'altro in quel movimento a largo raggio verso una maggiore ricerca di umanità nell'arte moderna, auspicata in questi ultimi anni in Francia e altrove, con una certa insistenza da parte di diverse sfere della critica figurativa.

La mostra di Asco susciterà, immaginiamo, calorosi consensi e "superbi disdegni". Ingiustificati a nostro avviso gli uni e gli altri, perché partenti ambedue dal falso presupposto che tale rassegna non sia intessuta che di volgari caricature. Interpretazione che piú che a ogni altro dovrebbe rincrescere all'artista stesso. Ma che, ne siamo convinti, non coglie nel segno, perché in Asco ci sono vivi e ricchi fermenti spirituali, che gli permettono di giungere ad "esprimersi" anche attraverso le vie piú impensate, anche in mezzo a scivolate, a squilibri, a contraddizioni.

DECIO GIOSEFFI - Giornale di Trieste - 22 dicembre 1949

 

La ribellione di Franco Asco

C'è un gran subbuglio in questi giorni tra i filistei locali dell'arte e della critica: un ribelle si è messo a fare da Sansone scrollando le colonne del loro tempio di menzogne, e, se esso non è crollato - poiché i templi di menzogne sono piú resistenti di quel che si crederebbe - pur tuttavia non è piú possibile celarne le incrinature che ha subìto. Mi riferisco alla Mostra di scultura di Franco Asco, che quindici anni fa si è ritirato timido dalla mischia delle competizioni artistiche - assai meno nobile ormai di quel che si crederebbe - e che oggi vi torna beffardo, perché se allora disdegnò i volgari e brutali metodi da "rugby" che s'erano sostituiti alla purezza della classica gara olimpionica, nel frattempo ha trovato il modo di affrontare a battagli senza abdicare la sua dignità.

E la affronta da par suo, con il vigore che gli viene dalla consapevolezza della giusta causa per cui si batte. Poiché la sua è soprattutto una battaglia morale, verte piú sul contenuto che sulla forma, e quei filistei che, nella polemica che s'è accesa con questa Mostra, vorranno fare soprattutto una questione di forme e di stili, lo faranno per il consueto opportunismo, per evitare nella sfida l'arma della verità, che li annichilisce, ed usare invece quella dell'arzigogolo, in cui sono maestri.

Ma quella di Franco Asco è una sfida morale, ed è inutile tentare di sfuggirvi, bisogna affrontarla. Devono affrontarla artisti e critici, ed è perciò che noi prendiamo così nettamente posizione. Devono affrontarla gli artisti, non a chiacchiere, ma producendo - se ne sono capaci - cose migliori di lui, ed i critici non dicendo al solito fra le righe qualcosa che sia e non sia consenso o opposizione, ma dicendo in tutte lettere il loro giudizio.

Che cosa ci presenta in sostanza l'Asco in questa sua mostra? Tante cose. In buona parte è polemica. Combatte le false drammaticità, le assurde ricerche formali, gli eccessi di deformazione nell'esasperazione espressionistica. Ai sadisti o masochisti che vi indugiano egli dice chiaramente, mettendoli alla gogna, quanto ripugnanti siano le loro esperienze. Abbiamo allora opere che volutamente imitano, caricaturandoli, codesti stili, codesta inconsistenza di contenuto, evasione dal reale, finzione. A volte è invece il risultato di un'esperienza che anche lui ha tentato nella sua pur sana ricerca. E allora il contenuto c'è, e vi corrisponde in gran parte la forma, ma è come se l'artista, nel suo procedere quasi a tentoni, stesse per imboccare una delle false strade, e s'accorgesse in tempo dove mena. Egli allora marca appena appena, salvando il buono, l'elemento erroneo di quel tentativo, non lo deride ma solo ne sorride e passa oltre.

E poi ci sono le opere non demolitrici ma costruttive. Ché se gli sfidati volessero intrattenerci solo sulla satira, respingendola o prendendola con relativa disinvoltura, sarebbe un'altra volta uno scantonare, un evitare lo scoglio. Perché quella di Asco non è solo una condanna, né solo denuncia, e se, poste la tesi e l'antitesi, non è forse posta anche una sintesi definitiva, è però indicata la via, siamo già sull'anello superiore nella spirale dello sviluppo.

Asco nega validità a certe esperienze, specie se fatte come da tanti nell'intento di truffare il prossimo. Ma non si limita a negare. E che cosa allora afferma? Che dev'esserci un contenuto, ch'esso dev'essere morale, che dev'esserci unità e proporzione e adeguatezza tra contenuto e forma, che non è arte dove non siano insieme e il vero e il bello e l'umano. E se il vero fa soffrire, si accetti la sofferenza.

Guardate la rappresentazione del "Incubo del surrealismo". Un mostro abbranca per il dorso una donna, e sono intorno tutte le sovrapposizioni usate dai surrealisti. Ma quel volto - splendido di bellezza, di amore e di dolore - non ha da stare così riverso, imprigionato per i capelli all'orrido che gli sta sotto e dietro, ha da essere liberato, su quella bocca amara ha da tornare il sorriso.

E tornerà. Tornerà nell'arte perché c'è ancora chi crede nell'umano e la vincerà sui filistei dell'arte. Come tornerà nella società e nelle vita - delle cui aberrazioni e delle cui conquiste l'arte non è che riflesso - perché c'è chi crede e lotta, e la vincerà sui filistei della vita

MARIO PACOR - L'Unità (ed. Italia settentrionale), 25 dicembre 1949

 

La Mostra polemica di Franco Asco

A sommuovere le placide acque del nostro mondo artistico, sempre saporosamente provinciale, sono giunte le piú recenti opere plastiche di Franco Asco che alla sua città natale ha voluto riservare l'onore di giudicare per prima le sue nuove fatiche, rappresentanti per lui ed un'esperienza ed una confessione e che da Trieste si trasferiranno ben presto nelle maggiori città italiane. Ma forse a torto s'è voluto dare a tale mostra un assordante accompagnamento di squilli bellicosi e di puntate velenosamente polemiche, perché, se talora la nota caustica e volutamente caricaturale fa capolino in certi bozzetti, il piú dei lavori esposti riflettono essenzialmente l'intimità di un dialogo tra un animo aristocratico, ansioso di bellezza e di verità e la vita stessa che lo vorrebbe piú facile, piú aperto ai richiami del tempo e del gusto, in una parola piú ossequiante ai vari "ismi" che attualmente folleggiano e imperano. L'Asco, negli anni della sua felice e serena giovinezza, ci ha dato tra l'altro, una "Flora", un marmo palpitante di vita e di fierezza dove c'era unicamente la volontà di esaltare e di ridare in forme eterne, il fulgore superbo d'un bel volto femminile. V'era quindi nello scultore semplicità e purezza d'intenti ma sappiamo purtroppo che tale semplicità e tale purezza suggerivano e suggeriscono tuttora ai malevoli e agli incompetenti boriosi certe parole, che la superficialità della cultura odierna condanna, come "accademia", "visione retrograda" e via di seguito ed è naturale quindi che il nostro abbandonasse quella ch'egli riteneva la strada della vera arte per darsi a un cosiddetto "mestiere", all'arte commerciale, all'arte cioè dettata ed uniformata alla volontà dei committenti. Da ciò crediamo, nasca la vera e propria polemica interiore dello scultore, egli cioè pretese e pretende, con concetti tipici dell'esasperato romanticismo romantico che l'arte mestiere, condizionata a desideri particolari, sia arte ibrida, falsa e disonesta, dimenticando così che i piú grandi artisti di tutti i secoli si sottoespor con piena umiltà a simili costruzioni, non rinnegando mai il loro credo, anzi facendo scaturire dalla proficua collaborazione con i loro simili, opere d'imperitura bellezza. L'Asco invece dalla sua fatica commercializzata, che gli diede però successi e riconoscimenti non dimenticabili, volle ritirarsi con un senso di disgusto e di ripugnanza, fatto che è tendenziosamente messo in evidenza anche nella tipica presentazione dettata da Elio Predonzani per il catalogo della mostra attuale. Volle ritirarsi perché credette di aver vilipeso e venduto la sua onestà ed il suo credo di artista. Il desiderio germinato in lui di spiegare e chiarire a se stesso, desiderio, che egli, a torto ritenne un risveglio e una ribellione cosciente, lo portò naturalmente ad osservare ed a studiare con piú maturato interesse le ricerche, le ansie, le deviazioni della plastica moderna. Vide intorno a sè un mondo ibrido, confuso, in cui l'universale veniva a patti con il piú smaccato soggettivismo, vide che l'individuo era soprattutto portato ad un'affermazione del suo "io" che faceva risaltare piú il bestiale che il divino della natura umana. Ed ecco quindi la polemica interiore, quella muta, ansiosa domanda, che l'Asco fa a se stesso e che non è ribellione o decisa volontà di abbattere i falsi idoli e di tuonare contro i canoni dell'arte moderna: "Sono stato io un disonesto ed un ipocrita quando facevo dell'arte mestiere, quando cioè m'adattavo alla volontà altrui o non piuttosto, a differenza di tanti cosiddetti puri ero io nel vero, perché credevo e crederò sempre alla bellezza, alla trasfigurazione nell'ideale?" E' stato codesto per lo scultore un atto di sincerità, di umiltà, di fede che non può essere non sentito ed ammirato da tutti gli onesti, un atto che per noi è tanto piú efficace perché s'è risolto in una lunga serie di opere plastiche che ripercorrono idealmente le tappe di tale tormento e che sono riuscite, crediamo, ad avvalorare nell'animo dell'autore la coscienza del suo valore e della sua onestà. Attraverso il travaglio d'un istante d'una vita d'artista, travaglio che si materializza nella sinteticità della forma plastica possiamo ripercorrere tutta la lancinante sofferenza d'un dubbio: da un attonito "Risveglio", efficace stilizzazione della propria personalità umana, alla tormentosa ricerca d'un bello conculcato, ignorato travisato da intellettualismi o da concezioni demoniache, al tentativo di accostamenti amorosi a determinate visioni artistiche (vedi "La nascita di Venere" e "La madre"), al deciso rifiuto di elementi repellenti e di giudizi partigiani e astiosi, alla ricerca d'un equilibrio spirituale dato da una profonda adesione al sentimento religioso - ed ecco l'incontro mistico tra i due santi -, al finale deciso convincimento che, nella incondizionata adesione al bello e nel tormento d'una ricerca indefessa v'è l'unica verità dell'arte. (Siamo così giunti al secondo autoritratto ed al rilievo che indica la decisa volontà di accettare ogni sofferenza per il trionfo del proprio ideale).

La polemica interiore s'è risolta così, a tutto vantaggio d'un aristocratico sentire d'artista, che ha voluto umilmente lumeggiare la sua crisi e le sue incertezze, perciò è inutile nelle sue opere ricercare la frecciata irriverente contro un Moore, un Marini, un Picasso, un Mascherini od altri, com'è inutile voler scientemente contrapporre in ogni sua opera, per puro gusto polemico, il bello al brutto, l'ideale dell'Asco a forme da lui non intese, perché l'Asco, con le sue ricerche di movimenti controllati nella loro violenza espressiva, con il suo gusto per la stilizzazione, con il suo amore per il particolare, con la sua arcaicità che vorrebbe temperare una genuina sfrenatezza d'immaginazione, è presente sempre (esempio evidentissimo la sua "Sorgente di vita" in cui la madre ha una impostazione che è ben cara al nostro).

Certamente la valutazione che si può dare di quest'ultimo momento dell'arte dell'Asco è profondamente influenzata dalla passionalità e dall'impeto d'una confessione che tanto può togliere alla serenità d'una visione plastica. V'è nell'artista tendenzialmente forte la ricerca d'un freno inibitore, d'un freno che può troppo assomigliare ad una maniera, ad uno stile faticato e che può valersi tanto di accostamenti parziali ai modi espressivi d'un Mestrovic o d'un Wildt, quanto di una ricercata servitù al materiale trattato.

Il tono, il modo con cui s'esprime l'Asco è decisamente quello monumentale ad ampio e talora enfatico respiro, ma in esso si può trovare sempre anche molta poesia e molta concisione (si veda il ritratto della madre ed il frammento bronzeo del Cristo distrutto in un bombardamento) e sono doti che ci ricordano uno scultore umano ed efficacissimo.

M.P. - Il Corriere di Trieste - 27 dicembre 1949

 

L'arte e il popolo

Bisogna veramente dire che l'arte moderna è andata un po' troppo alla ricerca dell'originalità. E ricerca l'originalità oggi, ricercala domani; ed affaticati ad essere sempre piú originali - originali per partito preso - in modo tale da vincere di molte spanne l'ultimo espositore (proprio come fanno certe donne, quando vogliono con la moda far parlare di sè oscurando le loro compagne), s'è arrivati ad un punto in cui chi s'orienta è bravo. Certuni dicono che certe forme d'arte moderna non le capisce nessuno, e chi dice di capirle le capisce quanto, o forse meno, degli altri, ma solamente vuol passare per molto intelligente e dotto. Già, perché passa per intelligente e dotto chi assicura di capire ciò che gli altri non capiscono. Il nostro prossimo è spesso molto buono e semplice, tanto da credere al primo che asserisce di saper decifrare i geroglifici. Li conosce lui, il buon prossimo, i geroglifici? No. Quindi non può controllare se il presunto decifratore sappia realmente decifrarli o meno. Però a lungo andare questo gioco stanca.

Nel campo dell'arte si sono stancati anche gli artisti, almeno alcuni di essi. Ed oggi, uno di essi, uno scultore, entra in polemica contro tutti i tendenzialismi moderni. E' Franco Asco che, dopo essersi appartato per anni ed anni onde poter sfuggire la ridda degli "ismi" artistici, ad un tratto si risveglia, ed osserva a che punto è giunta l'arte moderna. Le sue osservazioni sono accostamenti fra le interpretazioni moderne e l'interpretazione sua, che è nutrita di tradizione nostra, classica, italica, cristiana se volete, come fondamentalmente è cristiano tutto quanto è italiano. E da questi accostamenti risalta quanto la modernità spinta ha fatto. C'è l'orrore del vero, ci dice una scultura, ed il vero bisogna perciò, per certi modernisti, camuffarlo, cominciando dal volto umano: due orride figure abbrutiscono perciò una bellezza classica.

Tutta una polemica la serie delle sculture che l'Asco ci presenta nella sua mostra, aperta in questi giorni a Trieste, ma che passerà in seguito per le principali città italiane le quali già stanno risentendo l'eco dello scalpore destato dal nostro artista a Trieste, ché l'interesse da lui destato non s'è fermato alla stampa locale. Tutta una polemica, tradotta in forme plastiche, riassunta in un gruppo di sei figure rappresentanti le varie correnti moderne che si torcono inorridite e decretano il pollice verso alla bellezza classica.

Ma con ciò - si chiederà qualcuno - l'artista si ferma? Polemica vana, sterile, e nulla piú?

No, la polemica ha trovato la sua risoluzione nell'artista che, dopo le varie esperienze rientra in sè. Non è detto che proprio nulla egli abbia accolto delle varie esperienze attuali dell'arte. Ma ha saputo dominare, non essere dominato dalle esperienze attuali. Ed il bello trionfa. Trova la sua espressione in una visione della Sacra Cena di cui presenteremo qualche figura. E son figure che sostanzialmente ci dicono che l'equilibrio artistico come quello morale si può effettivamente trovare anche in questa nostra epoca che sa di degenerazione per troppi suoi aspetti. E risolvono un problema che era vivo in noi, che era vivo nel nostro popolo tutto, incapace ormai di seguire i funambolismi dell'arte moderna, che talora perfino dei nostri santi, nelle nostre chiese, aveva fatto delle caricature.

"La guerra contro la generazione artistica dei nostri tempi è iniziata", ha detto qualcuno.

"Ecco uno che ha finalmente iniziato una campagna che s'imponeva", ha detto, con termini militari, il generale Airey, comandante angloamericano del Territorio di Trieste.

L'assenso del vescovo di Trieste, Mons. Santin, è venuto infine a confortare l'Asco nella sua buona battaglia. Battaglia che s'è iniziata a Trieste e, come abbiamo già detto, con non poco scalpore. Battaglia che sarà continuata - ed anche questo l'abbiamo detto - nelle altre città italiane, dove la mostra sarà trasportata. Ma battaglia che, a parer nostro, sarà pure continuata all'estero. E sarà battaglia del genio italiano, del senso di equilibrio, del senso del bello che è una caratteristica dei popoli mediterranei e. forse, primo fra tutti, del popolo italiano.

G.G. - Azione Sociale (Settimanale dei lavoratori cristiani) - dicembre 1949

 

Franco Asco, lo scultore polemista

Che cosa vuole questo uomo? Fu un fanciullo prodigio. Ebbe fortuna. Non a lungo, ma la ebbe: ed anche guadagni e onori. Fece delle cose meravigliose per un giovane della sua età. Poi lasciò Trieste. Si recò a Milano, circa vent'anni fa. E si chiuse in se stesso: forse punto già dalla amarezza del mondo che lo aveva illuso e deluso sconcertandolo. Capì che con gli uomini la lotta può assumere aspetti paurosi. Lavorò per vivere. Il lavoro per campare talvolta è molto duro. Adattarsi è vittoria; ma, a quale costo.

Sofferse anche lui, e pochi lo sanno fino a qual punto. Modellò, scolpì per oltre tre lustri, senza troppo preoccuparsi di ciò che accadeva intorno a lui. Perché gli mancava anche il tempo, ed i suoi intimi consigli non erano per molti motivi ancora sufficientemente maturi.

Ma il tumulto nel campo dell'arte, lo scosse, lo fece fremere, lo assillò a tal segno da rendergli impossibile piú l'attesa. Ruppe la stecconata che s'era costruita in giro, per poter operare a calma. Rivisse mondi in fiamme, spasimò, si violentò il cuore, pianse, si disperò, si torturò. L'arte, nel mondo impazziva e faceva impazzire. Poteva lui, che sentiva nel sangue il monito della plasticazione costruttiva, del modellare assoluto e vibrante di vita effervescente nell'alveo del normale sia pur dinamico e vuoi pure violento; poteva lui rimaner ancora chiuso nel guscio scaglioso rizzato per fruire giorno per giorno del pane che usciva dalla sanguinosa fatica? Poteva rimaner ancora avvinghiato ad un campo che diventava galera? Con le mostruosità sfocianti balenando dai subfondali di certi sedicenti artisti, torpidi seguaci di aberranti lottatori che pur racchiudevano geniali risorse anche se infernali, che tra le turbe urlavano i loro prodotti?

No. Giunto al colmo della tolleranza; evocate dalle lontane e vicinissime sorgenti l'energia e l'audacia, scolpì una serie di raffronti tra l'orrido e l'umano, tra l'assurdo frodare e l'onesto e sincero procedere; tra lo sconvolgente sovvertimento degli innumerevoli valori che i secoli non bastano ad elencare e che il genio latino lanciò alle genti del mondo, e le orrende fratture prodotte da un'ondata di sarcastici e roboanti conquistatori che con la potenza dell'organizzazione calcolata fino all'atomo, vollero dominare il fronte delle arti. Dominare qui, dove Leonardo e Michelangelo, Tiziano ed il Veronese, Canova e Tiepolo e mille altri gridano: "Fermatevi forsennati, di qui non si passa!".

Ecco, ciò che le sculture poiché sono innegabilmente sculture - esposte alla Galleria Trieste vogliono gridare in faccia a tutti.

E' questa polemica? Sì: polemica, che urterà, che non piacerà a piú d'uno. Polemica forte, volitiva, audacissima.

Ma, non farà male. Farà riflettere, ripensare, qualunque sia l'atteggiamento dei singoli. E qualche cosa potrà uscirne.

? - Vita Nuova - 31 dicembre 1949

 

Franco Asco

Gran parlare fassi nella nobile città di Trieste della (sensazionale!) mostra dello scultore concittadino Franco Asco, il quale dipartitosi da Milano ove risiede, qui se ne venne con il fermo proposito di spezzare una lancia contro l'arte moderna in nome del "bello" e del "classico" ed è effettivamente riuscito a spezzarne una, ma a favore della piu' sconfinata libertà, anzi licenza, nelle arti figurative e, semmai, del surrealismo e di ogni altra forma di espressione anticlassica e antiaccademica. Volle infatti l'Asco raccontarci un episodio autobiografico tradotto in termini plastici. Il racconto si riferisce ad una sua violenta ingozzatura di arte estremistica e della conseguente indigestione, nausea, disgusto ecc. Ma di quale linguaggio plastico Franco Asco si è servito per la sua storia? Non certo di quello del fregio del Partenone, ma di un'ibrida commistione o compresenza di forme classicheggianti e "modernistiche", sia pure inizialmente concepite con intenzioni parodistiche. Narra Franco Asco come smarritosi nel mezzo di cammin di nostra vita nella selva oscura delle correnti plastiche novecentesche si sia imbattuto nelle tre fiere astrattismo, espressionismo, surrealismo; da esse oppresso ed ossessionato, mentre anelava in cuor suo alla grazia santificante della Beatrice ottocentesca. Poiché tale racconto, espresso con tali forme, è bene o male efficace, resta provato che la scultura può servire ad esprimere non solo ciò che, timidi, timidi astrattisti e cubisti vogliono farle esprimere, ma anche le piu' strane avventure spirituali, interpretandone gli stati d'animo relativi per mezzo della piu' sfrenata libertà nella scelta delle forme. E questo si chiama essere surrealisti. Anzi piu' surrealisti del re.

Si vocifera pertanto che i circoli artistici di avanguardia della nobilissima città e del territorio intendano esternare nelle forme piu' appropriate e in modo tangibile i sensi della loro gratitudine e della loro solidarietà a un artista che ha così validamente contribuito a dimostrare la validità non già, ma la legittimità delle loro posizioni. E la malafede? Dice: ma Asco quando ha rifatto Pablo Picasso o Marini li ha rifatti in malafede per far vedere di che lacrime grondino e di che sangue e che le loro sculture erano brutte ed era facile rifarle. Già, ma quando intende far rabbrividire un nudino da ninnolo all'abbraccio di due fantasmi di troppo contrastanti nature era sincero, no? O almeno nel raccontarci il suo disgusto per l'arte "modernistica" era o non era in buona fede? E il suo contributo d'artista sta proprio in questa narrazione. Nella quale però i mostri del surrealismo e la composizione per linee e volumi astrattamente considerati e la "deformazione" il "cubismo" e molti altri ismi sono così strettamente commisti che per liberarcene ci sarà mestieri chiamare lo stregone maggiore. Perché gli spettri non amano essere disturbati per ischerzo: "die ich rief die Gester werd ich nun nicht los".

? - La Cittadella - Trieste, 1949

 

La discussa Mostra dello scultore Asco

Come nel campo del pensiero, della letteratura e del teatro le angosce esistenzialiste, il rifiuto di solidarizzare con il resto dell'umanità, la lotta contro il razionale per l'irrazionale, un'amara ironia su se stessi e così via caratterizzano l'androne in cui per forza di cose è venuta a cacciarsi la cultura borghese nel suo estremo declino, così nella musica abbiamo la cacofonia e nelle arti figurative le varie brutture che vanno dall'espressionismo al surrealismo, dal cubismo all'astrattismo.

Franco Asco è uno scultore a un tempo forte e delicato, dotato come pochi di capacità plastiche, espressive e decorative. E alla sua sensibilità ripugnano le brutture del modernismo, specie quelle di coloro che non vi esprimono il loro genio la loro anima farisea. E' innamorato della bellezza classica, che però è ormai cosa del passato. E pensa che l'arte debba avere bellezza nella forma, verità e umanità nel contenuto.

Tutto questo egli cerca di fare, e in gran parte ci riesce, nella seconda serie di opere della sua mostra, in cui sono i suoi tentativi di soluzione del problema dell'arte. La prima serie è invece una satira spietata del modernismo: figure espressioniste, surrealiste, cubiste, ecc. caricaturate per mostrarne tutto il brutto e il disumano che contengono e perché pubblico e artisti e critici si dedicano a considerarle esperimenti superati e ad auspicare qualcosa di piú sano, di meno mostruoso.

Non parte l'Asco dai nostri presupposti sociali ed estetici (ma concezione dialettica del mondo e classista della società, da cui provenga un'arte essenzialmente popolare e sociale), né può quindi giungere alle nostre conclusioni. Ma la sua è comunque una critica a ciò che anche la nostra ideologia respinge, e la sua via è quella di un realismo che, se non è ancora e forse non sarà mai il nostro, è pure sempre un genere di realismo.

ARIM - Il Lavoratore (organo del Partito Comunista del territorio libero di Trieste) - 2 gennaio 1950

 

Conoscete lo scultore Franco Asco ?

La mostra di questi giorni alla Galleria d'Arte a Trieste è il documento piú significativo di quella crisi della cultura dell'Arte Figurativa che travaglia il nostro Continente. Questa ci sembra un ammonimento che dovrebbe essere inteso da tutti gli onesti ma che certamente non potrà venire compreso dagli inetti.

Ha fatto bene l'artista a presentare fra le altre opere anche la sua crocefissione. Questa ci testimonia che lo scultore è conscio di quale sia la forza della coalizione dei lestofanti dell'arte e ci fa comprendere come lui non possa aspettarsi altra fine che quella pronosticatasi nell'alto rilievo.

Pretendere di fare fallire coloro che proteggono per i loro fini reconditi quella banda di scultori falliti che sono in gran parte quelli di quest'ultima generazione, di far rimangiare a certi critici d'arte tutte le corbellerie dette e scritte per anni ed anni e di costringere certi altri a spostarsi da quella mangiatoia dove i menamestoli dell'arte gettano loro ogni tanto qualche manciata di spiccioli detratti dai milioni che i nostri governanti così sconsideratamente versano nelle loro mani per organizzare le grandi manifestazioni d'arte nella Penisola, sembra ad Asco cosa impossibile.

E' conscio della lotta che sta per intraprendere, ma non può piú far tacere la propria anima. Essa si ribella all'ipocrisia di quelli che la vilipendono ed a tanta miseria egli risponde con il cuore ponendo l'arte al di spora della propria persona, sacrificando i propri interessi materiali per poter giovare anche con un solo atto alle nuove generazioni.

Ed è piú per questo che ha creato le opere di questa mostra e si è deciso ad esporre. Ma non lo avesse mai fatto perché ora tutta la cittadinanza sente gracchiare i ranocchi dell'Arte locale e se ne sente di belle sul suo conto: per esempio corre voce che Asco è uno scultore sconosciuto; che Asco non fa che del mestiere; che egli è un morto che resuscita per farci sentire il tanfo del suo cadavere e quello dell'arte classica da lui praticata; che lo scultore non ha lavorato che su ordinazione e che pertanto non è da considerare un artista in quanto non ha fatto che soddisfare il desiderio di chi lo ha pagato. Ma se non erriamo è stato proprio il Cardinale Giovanni della Graslajer, abate di S.Dionigi a commissionare la Pietà di Michelangelo; e così pure Giulio II a commissionare a Raffaello Sanzio l'Attila arrestato alle porte di Roma. Forse per questo i magnifici capolavori hanno perduto il loro valore artistico e non sono delle vere opere d'arte? Ma lasciamo riposare in pace i nostri grandi maestri e le loro centinaia di commesse ricevute da Papi, regnanti, principi ecc. ecc. e riportiamoci ai nostri scultori moderni. Considerando che per il momento le malignità sul conto di questo artista vengono propagate nel nostro ambiente, noi ci peritiamo di chiedere, a quelli che osano affermare dette malignità, se non sono delle semplici commesse le opere che vengono eseguite per i nostri magnifici transatlantici e per i nostri palazzi; opere che vengono sovente esaltate da tutta la stampa e spacciate per degli autentici capolavori, pur non avendo nulla di comune con l'Arte. E non si rendono conto che quei lavori non appartengono all'Arte ma che si tratta di mediocre decorazione. Insomma per molti di questi Artisti, siano essi di qualsiasi nazionalità, l'Arte non è che un affare e noi sappiamo che quando qualcuno osa intralciare il corso degli affari si usa adoperare ogni mezzo pur di levarselo d'attorno. Il discredito, la maldicenza, la politica, le questioni familiari, perfino le origini vengono adoperate come mezzo per demolirlo. Ma la vera Arte non è commercio; i piccoli uomini che si credono grandi artisti potranno anche eliminare l'artista ma l'impronta del suo genio mai. Fra le altre abbiamo inteso dire anche che Franco Asco con la sua Mostra ha spazzato via vent'anni di progresso in Arte; noi invece pensiamo che lo scultore con la sua bravura ha minato le basi di quel castello di menzogne così sapientemente costruito dalla propaganda e da tanti artisti falliti. Il pentimento di De Chirico, le sue dichiarazioni con le quali si qualifica un grande mistificatore metafisico, anche se propagate da tutta la stampa di ogni colore, non possono avere la forza sufficiente per abbattere quel castello, in quanto non trova l'appoggio di un'adeguata dimostrazione artistica. Invece il colpo di piccone dato da Asco a quelle basi è piú robusto, piú gagliardo perché non solo ci mostra l'inganno della scultura moderna ma ci addita la strada da percorrere. La sua coscienza estetica ci libera di Henry Moore, di Marino Marini, di Henry Laurens, di Fritz Wotruba, di Alberto Viani e di tutti i loro seguaci e ci riporta in clima moderno pur conservando le motività del soggetto, dal quale trae la sua sostanza poetica.. La sua scultura è viva anche quando inscena spettacoli plastici come quelli di questa Mostra. Essa non è il prodotto di un'esperienza occasionale ma semplicemente la rivolta di una meditazione da lunghi anni repressa, Queste riflessioni le troviamo scolpite in ogni sua opera come troviamo in esse (anche quando ironizzano) un ritmo formale perfettamente concepito. Lo si osservi in quella figura dove intenzionalmente parla il linguaggio di Martini quanto sia sentito. Dunque un movimento rinnovatore esiste in lui. Esso vive nell'equilibrio delle sue realizzazioni stilistiche nelle quali domina non il rilevo di un allucinato, ma l'estasi poetica del bello di cui noi tutti godiamo.

Dopo quanto abbiamo scritto ci piacerebbe vedere in una gara questi grandi maestri a fare il mestiere di Asco. Quel mestiere che loro disprezzano e che certamente sono incapaci di fare in quanto esso è sostanzialmente Arte con la A maiuscola. Lo spazio viene a mancare, ma prima di chiudere queste note, chiediamo al Sig. Sambo ed alla sua Commissione perché corrono così affannosamente alla ricerca di Picasso per sprecare i denari appositamente assegnati loro dal Comune, quando la cittadinanza tutta sarebbe felice che il museo Rivoltella con quel denaro venisse onorato con qualche opera del nostro valente artista concittadino. Inoltre è per noi inspiegabile il fatto che mentre tutte le maggiori autorità, siano queste militari, civili, ecclesiastiche e dell'Arte, abbiano visitato la Mostra dando all'artista quelle soddisfazioni che si merita, il Sovrintendente alle Belle Ari non si sia ricordato di farlo e ci sembra sintomatico che la memoria lo regga solo quando si tratta di vistare e di acquistare in qualche Mostra di minore interesse. Ma certi uomini sono così bizzarri. Noi però non ci lasciamo sfuggire certe bizzarrie.

Intanto l'autore di questo articolo si prepara a prendere posto accanto all'artista sullo stesso suo crocifisso. Avanti dunque, io sono pronto, carissimi amici.

GIOVANNI PINGUENTINI - Il Lavoro - Trieste, 4 gennaio 1950

 

Una ribellione nel campo dell'arte

L'arte moderna - pittura, scultura, musica che sia - è passata da un tentativo all'altro, da una tendenza all'altra. Si è allontanata sempre piú dalla comprensione del popolo, ed il popolo infatti, nella stragrande maggioranza, non la capisce piú. Questo è successo in America, come in Europa. Dal futurismo in poi, si può dire che sotto un quadro, per chi non è iniziato, bisognerebbe scrivere: "Rappresenta un uomo". Oppure: "Rappresenta una gallina". Oppure: "Rappresenta un albero".. Per il pubblico o, per lo meno, per la gran parte di esso, quell'insieme di forme e di colori è qualche cosa d'incomprensibile o, per lo meno, di non facilmente comprensibile. Né uomo, né gallina, né albero.

Ora noi sappiamo che l'arte, come la vita, si rinnova sempre, ma che per essere accettata la nuova arte deve essere comprensibile, intuitiva per tutti.. E sappiamo pure che tutte le riforme, per essere vitali, devono trovare la loro base nella tradizione. Gli italiani sanno che la riforma musicale di Verdi trova le sue basi nel canto popolare italiano; i tedeschi sanno che la riforma di Wagner s'innesta, da un lato, alla tradizione nazionale, dall'altro alla tragedia greca.

L'arte moderna invece è fatta di astrattismi. Ed ha finito con lo stancare il pubblico.

Questo senso di disagio e di stanchezza ha finito col cogliere, dopo il pubblico, anche certi artisti. Ed uno scultore italiano, anzi, per essere piú precisi, triestino, Franco Asco, ha avuto un'idea originale. Un'idea Americana, si direbbe in Europa. Quest'artista cioè, invece di dire il suo pensiero polemizzando su giornali e riviste con i suoi colleghi d'arte, ha pensato di presentare il disagio del pubblico, che poi è anche il suo disagio, in forme plastiche. Ed ha presentato una serie di lavori che rappresentano varie fasi della polemica sua. Ne è venuta fuori una mostra originalissima che, inaugurata a Trieste, ha avuto largo consenso di pubblico e della stampa nazionale. Tale mostra sarà poi portata nelle altre principali città d'Italia, e poi - speriamo - d'America, certamente interessando pubblico e stampa.

ARNALDO GARIBOLDI - Illustrazione Ticinese - Basilea, 25 febbraio 1950

 

Lo stesso articolo è ripubblicato negli USA, con il passo conclusivo sotto riportato, e con il titolo:

Una rivoluzione nel campo dell'arte

Logicamente le opere, testé esposte dal Franco Asco, vanno sviluppando critiche favorevoli o contrarie: nel riprodurre qualcuna fra le piú facilmente significative ed emotive, va detto - fra i tanti - il commento del generale americano Airey, diretto di persona all'autore dopo averne visitata la mostra: "Siete finalmente uno che ha cominciato una battaglia artistica della quale si sentiva bisogno".

ARNALDO GARIBOLDI - L'Italia (The Italian Daily News) - San Francisco, 12 marzo 1950

 


 

Psicanalisi plastica - Galleria dell'Illustrazione Italiana - Milano (1950)

Uno scultore offeso dall'arte moderna

Nato a Trieste, nel 1903, e da molto tempo abitante a Milano, questo scultore cominciò a esporre che era quasi un bambino e continuò con buon successo per un lungo periodo, che va fino al 1933 (una personale alla Galleria Pesaro) partecipando a importanti mostre nazionali e internazionali, comprese quattro Biennali, Poi per circa quindici anni si ritirò e soltanto sul finire del 1949 riapparve al pubblico italiano con una personale a Trieste; la stessa che ora i milanesi possono vedere nella Galleria di Via Spiga. A Trieste la mostra ebbe grande eco. I giornali se ne occuparono diffusamente; e uno degli aggettivi preferiti dai critici fu "polemico". Nella prefazione del catalogo, Asco però nega, in sostanza, l'intenzione offensiva. Lo scultore confessa che, avvistosi come nella "Repubblica delle Arti" e forse piú che altrove siano indispensabili le gomitate, gli imbonimenti e le vie traverse, non avvilito né scoraggiato ma disgustato, lasciò il campo senza esitazioni. Un giorno, tuttavia, uscendo dal lungo intorpidimento si guardò in giro e il panorama artistico che gli apparve lo lasciò stupefatto. Non piacevolmente stupefatto, aggiungiamo noi. Allora Asco in sei mesi si improvvisò poliglotta dei numerosi linguaggi plastici moderni, imitandoli, rifacendoli, esagerandone le caratteristiche. (Unico linguaggio trascurato, l'astratto). E, a parer nostro, certo condannandoli; anche se nella prefazione leggiamo: "Fatta eccezione per la malafede e la faciloneria, non presumo di condannare individui o maniere, né intendo fare la caricatura di certe espressioni artistiche altrui". Ventisette sculture sono esposte, che costituiscono nel loro insieme "la crisi" di Franco Asco; crisi compresa e limitata fra due autoritratti. Il primo "Risveglio" rappresenta l'artista perplesso e turbato. Il secondo l'artista in ascolto, ancora dubbioso e lontano dalle lotte, ma in attenta aspettativa. "Dopo il tormentoso pellegrinaggio alla ricerca della verità, dopo aver crocifisso me stesso nel dubbio, mi abbandono alla speranza che una voce di salvezza Ci raggiunga".

La mostra, dunque, è un atto di disperazione prima che di speranza. Asco, artista che comincia immaturo con fortuna, maturando si accorge un po' per volta che la fortuna non l'aiuta piú, mentre invece aiuta artisti faciloni o in malafede; e deluso, offeso, sdegnato dapprima si ritira e poi protesta, o si lamenta. Dobbiamo veramente credere che queste sculture siano semplici esperienze, senza allusioni e intenzioni offensive o almeno critiche? Ci sembra chiaro, piuttosto, che siano state fatte proprio a dimostrare che in certi modi non bisogna scolpire che certi brutti, laidi fantocci, che certi grotteschi mostri bisogna ricacciarli nell'inferno degli idioti. Ed ecco infatti l'arte, la vera Arte, una bellissima vergine ignuda stretta fra una di quelle femmine steatopigie, o a pera, e una di quelle rozze viragini squadrate via a colpi di accetta, frequentatrici oziose e noiose ormai da troppi anni delle nostre esposizioni. La grazia fra due disgrazie. Ed ecco, uno di quei cavalli senz'orecchi, con un muso da luccio, e per coda un manico di legno, con la pancia a vescica e per gambe quattro stecchi, contro un sontuoso Pegaso rampante e annitrente. Due rilievi di Asco; dai quali, come da altri e da vari pezzi a tutto tondo, noi crediamo di capire che il confronto dovrebbe ansare a netto, indiscutibile vantaggio di una sana, bella ed equilibrata scultura: la scultura di Franco Asco.

E può darsi che capiamo male. Può darsi benissimo che lo scultore triestino abbia voluto appena paragonare la bellezza alla bruttezza, l'equilibrio allo squilibrio, la salute alla malattia, il ritmo e l'armonia al disordine e alla stonatura, senza pensare alla propria arte. Sia pure così. Ma -siamo sinceri- valeva la pena di sprecare l'ingegno e il tempo in simili pericolose ed esagerate polemiche plastiche? Non avrebbe fatto meglio il nostro artista ad aggiungere altri esempi alla Giovanna d'Arco, a Mia Madre, alla testa del Cristo, ai pezzi insomma eseguiti non per polemica o dispetto, o per dolorosa irritazione? Asco è ingenuo; è uno schermidore che si scopre. La sua polemica plastica, la sua "polemica in silenzio", criticamente ed esteticamente regge poco. Basti osservare che fra i numerosi linguaggi moderni da combattere sceglie proprio i piú deboli, i peggiori, quelli che piú facilmente chiunque voglia può mettere subito in ridicolo. Ad Asco, per esempio, non dovrebbe spiacere il linguaggio di un Martini, di un Manzù. O, meglio, di un Messina. Non li considera fra i moderni? O vorremmo stabilire una netta differenza fra la bellezza fisica e la bruttezza? Gli scultori dovrebbero e avrebbero dovuto da secoli e secoli tenersi a canoni greci?

Certo è che oggi esiste e resiste tenacemente un gusto per il brutto, per l'invertito e l'ambiguo, per il malsano. Ma non bisogna lasciarsi impressionare: tolta un po' di cattiva stanca letteratura, non è altro che formalismo e accademismo. Da combattere con altro formalismi e accademismi solo in apparenza piú gradevoli, magari perché piú facili e sensuali?

Bisogna, al contrario che in giusta e necessaria lotta prevalgano i valori spirituali. Un vero artista moderno dovrebbe aver la forza di provare col pensiero che certi linguaggi formali sono cattivi non tanto in sè stessi, quanto perché esprimono cattivi sentimenti o perché non esprimono nulla: il qual nulla in arte significa d'altronde cattiveria. Ha Franco Asco uno spirito migliore? Ha della bontà la sua arte? Il suo linguaggio? Asco è un mistico ed è un sensuale. Nelle sue sculture fuori della polemica ora aspira alla purezza religiosa, ora indulge alquanto alla lascivia. Ne deriva un linguaggio non sempre coerente e unito. Là si ferma troppo su un particolare vero; qua rende con eccessiva sintesi un volume o tutto un corpo. Ben per questo avremmo desiderato, piú che polemica o l'aspettativa, una mostra amica e costruttiva. E' un plastico che ha delle notevoli doti, che ha un buon senso tattile, che ha forza o slancio quando tira su una figura. Gli manca ancora il gusto sicuro, l'eleganza e cioè il saper scegliere; e volendo averne troppa, non ha molta fantasia. Si moderi. Cerchi la semplicità e la naturalezza. Guardi sè stesso senza tormenti e titanismi. La salvezza è in noi stessi, come dice Tolstoi.

E alla prossima esposizione Asco ci dirà grazie.

LEONARDO BORGESE - Corriere della Sera - Milano, maggio 1950

 

Franco Asco è stato un "enfant prodige" e ha cominciato a esporre a dodici anni. Ha viaggiato molto, ha vissuto a Trieste, a New York, in Brasile; l'ultima sua mostra italiana ha la data del 1938. La sua storia di scultore si alterna con lunghi silenzi e ardenti fasi di creazione. Tutti i bronzi riuniti da Stefano Cairola sono stati eseguiti negli ultimi sei mesi del '49 e sono, si può dire, ancora caldi di fonderia, e, soprattutto, caldi di uno spirito polemico, che si concretizza in esemplificazioni plastiche condotte con una foga che in qualche momento ha persino dei caratteri tribunizi. L'eloquenza polemica di Franco Asco è, qualche volta, un po' elementare, come quella di chi, per demolirlo, mette in caricatura il suo avversario. Ci sono probabilmente molte piú ragioni misteriose, nella crisi dell'arte contemporanea, di quante l'ardente scultore triestino mostra di voler definire attraverso la sua indagine e i suoi confronti con quelle soluzioni che nel suo animo sorgono in opposizione alle soluzioni che del problema plastico sono state tentate in questo ultimo mezzo secolo. Da Picasso a Moore il cammino e il travaglio hanno motivi, se non altro, di "disperazione" che sono indiscutibilmente tipici delle nostre generazioni e sui quali, se l'ironia è facile e può essere persino amena e convincente, è bene sostare con la meditazione di una ostilità meno preconcetta, per non scivolare nelle soluzioni di una estetica che potrebbe esser definita "qualunquista". In ogni modo -detto questo al polemista Asco- bisogna riconoscere che spesso la sua polemica ha battute convincenti e non frivole, anche se le opere dove la "discussione esemplificata" è piú apertamente didascalizzata, con un invito al pubblico perché dica se preferisce una bella ragazza ad un "mostro novecento" ci sembrino le meno necessarie.

La parte migliore e quella vitale della polemica di Franco Asco è quella in cui egli, dimettendo le armi del Crociato in guerra contro l'Infedele, mostra e confessa le estasi e le visioni e i turbamenti del suo Credo. Anche Asco, probabilmente, sa che la miglior polemica è quella dei fatti. Nato e cresciuto alla confluenza di molte correnti del gusto europeo e soprattutto centro-europeo, travagliato da una cultura sottile e avveduta, Asco svolge il suo filo di Arianna nel labirinto delle infinite tentazioni: e questo filo è quello che Picasso chiamò il ritorno a Ingres e che uno scultore potrebbe chiamare, se non il richiamo agli ideali greci, il "ritorno a Canova". Gli accostamenti a Moore, da una parte, mi sembrano, piú che segno di ironia, un segno di affinità; e quelli ad un "bello" canoviano anch'essi, dichiaratamente amorosi, segno di una convinzione profonda. L'artista, che è sembrato così aggressivo nella definizione della sua polemica, trova pace -anche se si dichiara ancora dubbioso- nelle due opposte voci del suo singolare temperamento, fatto ad un tempo di tumulto e di estasi..

ORIO VERGANI - L'Illustrazione Italiana - Milano, 21 maggio 1950

 

Franco Asco è uno scultore triestino di 47 anni che espone alla galleria dell'Illustrazione Italiana. Studiò a Venezia, a Vienna e a Roma, viaggiò moltissimo e partecipò ad innumerevoli importanti mostre.

Con questa sua esposizione intitolata "Psicanalisi plastica" l'autore "Ha inteso dare evidenza figurativa ai problemi, ai dubbi, alle ipotesi che hanno scosso il suo credo nell'arte". In sostanza questa è una mostra con la quale l'autore (se ho ben compreso, ma ne dubito assai) intende manifestare i suoi tormentosissimi dubbi intorno al mezzo di espressione; perciò li prova tutti da quello classico a quello cubista. I risultati, com'è ovvio, sono accademici appunto perché la scelta non è ancora stata fatta.

La mostra è interessante per la sua stranezza e per i pensieri che suscita.

M.R. - L'Italia - Milano, 23 maggio 1950

 

Accademismo di Franco Asco

Alla Galleria Cairola lo scultore triestino Franco Asco pone in termini di autoconfessione il contrasto tra le espressioni dell'arte contemporanea e quelle di accademismo tardo a morire. Asco, che ingenuamente confessa il suo dubbio, ha una capacità non indifferente di assimilazione e riesce in modo straordinario a imitare tanto i classici quanto i moderni. E' una curiosa rassegna che va dai Greci e si conclude a Marino Marini e a Carmelo Cappello. Non senza un accenno ironico a Picasso. Talvolta giunge alla caricatura che potremmo anche accettare. Ci sia consentito tuttavia suggerire allo scultore di interrogarsi meno, di non chiedersi se convenga essere arcaici o astratti, ma di cercare di ascoltare l'interiore dettato, il quale solo può indicare a un artista la propria strada. Asco ha sufficienti qualità plastiche per poter riuscire a dimostrare di essere veramente qualcuno.

GARIBALDO MARUSSI - Fiera Letteraria - Roma, 28 maggio 1950

 

Una mostra polemica alla Galleria dell'Illustrazione Italiana: una mostra polemica promossa dallo scultore Franco Asco, il quale è un artista abile, serio ed anche notevolmente profondo, come specialmente risulta dall'eccellente ritratto della propria madre saviamente modellato con un senso di osservazione davvero cospicuo e con una fattura ponderata, efficace, sicura e personale. Perché dunque, simile autore, deve ora trovarsi in crisi spirituale e perché con questa esposizione da lui intitolata Psicanalisi plastica, vuol dimostrarsi incerto e timoroso? Le sue satireggianti, argute, caustiche e spesso mordaci evocazioni, osservazioni o critiche che dir si voglia sono assai interessanti e dichiaratamente espresse (Sgomento di Ellade, le Tre Grazie, eccetera); ma ci sembra che l'Asco, artefice sicuro e degno come appare dalla migliore sua produzione, non abbia a nutrir dubbi intorno alle precedenti sue opere. E che non debba dare soverchia importanza alle fuggevoli mode ed alle odierne astruserie che tentano confondere il vasto campo di tutte le arti.

Fidia, Donatello e Rodin, pure appartenendo a tre epoche tanto diverse e tanto lontane fra di loro, rimangono maestri eccelsi dell'arte statuaria: maestri che non possono essere scalfiti dal susseguirsi di nessuna moda.

Almeno che, l'Asco, con questa sua mostra, non abbia voluto canzonare le nuove tendenze: vogliam dire quelle piú assurde ed arbitrarie ed allora c'è da assicurare ch'egli è riuscito nel suo intento e c'è da esprimere che questa sua mostra è divertente e che può giungere anche istruttiva per coloro che danno troppo peso alle incompostezze tecniche e significative del caotico momento artistico che stiamo attraversando.

? - Corriere degli artisti - Milano, 31 maggio 1950

 

Alla Galleria Cairola espone lo scultore Franco Asco che definisce la sua mostra personale "Psicanalisi plastica". Si tratta del tentativo di tradurre nell'opera sua i propri stati d'animo, ma c'è, in tutto ciò, qualcosa di programmatico e di retorico che impedisce risultati genuini. E' un peccato, poiché le qualità di buon modellatore sono evidenti in piú di una scultura e precisamente in quelle dove non si avverte la preoccupazione di raccontare con atteggiamenti e con gesti, i dubbi e le angosce. Il ritratto della madre è per noi l'opera migliore della mostra perché immune, appunto da elocubrazioni.

Nell'autopresentazione, pubblicata nel catalogo, Franco Asco ci mette al corrente di una sua crisi spirituale artistica che avremmo preferito avvertire nel suo lavoro piú che nelle sue parole, convinti come siamo che i piccoli e grandi drammi, veramente sofferti, mal volentieri si raccontano alla massa.

VICE - Il Tempo di Milano, 3 giugno 1950

 


 

Una cappelletta votiva di Franco Asco a Sant'Anna (edicola fam. De Rosa)

E' stata recentemente consacrata al Cimitero di S.Anna una cappelletta votiva che un industriale triestino ha voluto dedicata alla figlia scomparsa in giovane età. Architettura e sculture decorative sono opera dello scultore concittadino Franco Asco.

Si tratta di un'edicola porticata di granito nero lucidato a specchio. Le forme sono elementari: un parallelepipedo molto alto e stretto, sulla fronte del quale si apre un protiro ad arco sostenuto da pilastri che a lor volta vengono a determinare due archi di minor luce nei fianchi dell'edificio. L'estrema semplicità delle forme può richiamare certe architetture dipinte dal primo De Chirico: come se un elemento cavato da un portico di una delle sue "piazze d'Italia" fosse stato ritagliato dal complesso e isolato nella cornice di bianchi marmi e di neri cipressi del nostro cimitero maggiore. La "cella", di capienza assai limitata, reca nel fondo uno spartimento architettonico a forma di croce, inquadrato tra vetri colorati che diffondono nell'interno una luce calda e dorata.

Il pezzo decorativo di maggior impegno è la porta di bronzo centinata, che inquadra, in dodici spartimenti rettangolari e due a forma circolare, le quattordici stazioni della Via Crucis. Per alleggerire il corpo dei battenti Asco si è servito di un espediente originale: ha abolito gli sfondi, di modo che i quattordici episodi di basso rilievo vengono a campirsi "a giorno" contro una lastra di cristallo. E' notevole in queste sculture la ricerca di architettonicità, di essenzialità, che sopprime tutti i personaggi non protagonisti del dramma e ne raccoglie le forme entro robusti impianti volumetrici. Ed è interessante osservare come tale studio formale non pregiudichi, ma venga anzi a sottolineare l'efficacia drammatica della composizione. Solo nella "Crocifissione", che veniva a collocarsi troppo in alto rispetto all'occhio dell'osservatore, Asco non ha saputo rinunciare a dar prova delle sue virtù e, nello scorcio arditissimo dal sott'in su del corpo del crocifisso, ci ha dato un pezzo di bravura: nobile del resto e bene inteso.

La cappelletta, con la sua nota di nero lucido, costituisce una macchia cromatica di rilievo nel desolato biancore del nostro cimitero e armonizza assai bene il proprio verticalismo con le forme svettanti dei cipressi che le fanno corona. E' un'opera di notevole interesse artistico che si fa subito notare fra mezzo le gran masse di lavori artigianali o di dubbio gusto. E onora degnamente così la giovane scomparsa, come i dedicanti e l'artista.

GIO. - Giornale di Trieste - 13 settembre 1950

 


 

Galleria Cairola - Milano (dicembre 1950/gennaio 1951)

 

?

A pochi mesi di distanza da una sua "personale" di cui molto si è parlato, lo scultore Franco Asco ritorna con un gruppo di opere nuovissime alla Galleria di Stefano Cairola. In così breve spazio di tempo non si può certo parlare di evoluzione o di nuovi sviluppi: ma certo l'arte sua appare sempre piú chiaramente diretta; e quando questo dotatissimo artista avrà pienamente digerito la propria bravura di mestiere e superato lo stadio polemico, troverà quell'unità di stile che ancora gli manca e che si nota pur nell'accostamento dei suoi pezzi migliori come L'urlo, Maternità, Autoritratto.

? - Candido - gennaio 1951

 

Cronache d'arte - Franco Asco

Lo scultore Asco, che espone alla Galleria Cairola (via della Spiga), è un artista senza un preciso mondo da esprimere e ciò lo induce a vagare di forma in forma: dalle forme astratte a quelle naturalistiche deformate assai spesso in senso caricaturale. Sarebbe necessario che Asco, fuori dalla vena polemica, imboccasse una sua strada e la percorresse coraggiosamente.

M.D.M. - L'Unità - gennaio 1951

 

?

Triestino è invece Franco Asco, che alla Galleria Cairola presenta quasi una trentina di sculture; e, appena dodicenne nel 1915, fu salutato dai critici di allora come un autentico "enfant prodige". Se poniamo mente al gusto che correva in quel tempo nella città adriatica, che subiva in parte l'influsso dell'arte nostra, in parte quello proveniente dall'Austria e dall'Ungheria, vedremo che l'Asco, partito di là, vi ha fatto ritorno dopo un'esperienza astrattista la quale (stando alle parole del catalogo) volle essere piú che altro una dimostrazione polemica della vacuità e dell'inutile "fumisterie" dell'astrattismo plastico. A quel gusto risalgono, infatti, alcune singolari composizioni plastiche il cui simbolismo ha, piú che altro, il sapore di una rievocazione del mondo figurativo anteriore alla prima guerra mondiale (vedi "Culla della vita"); ed anche l'amore per un certo "flou", per le forme suggestivamente non concluse, risente non poco di quel mondo e di quel clima. E, se lo "studio per l'Evangelista Luca", ad esempio, tradisce un certo vigore istintivo, ricaviamo da questa selezione di opere di Asco la sensazione di un eclettismo ancora malcerto nella scelta di una via.

A.Z. - Il Tempo di Milano - 5 gennaio 1951

 

Mostre d'arte - Franco Asco

Questo scultore, oriundo di Trieste, ha fatto una personale riassuntiva lo scorso anno alla galleria dell'Illustrazione Italiana.

Si ripresenta in questi giorni alla galleria Cairola con le sue opere piú recenti. Esse non hanno un carattere ben definito o facilmente definibile, ricordando l'espressionismo ed anche l'impressionismo. Il gestire delle figure e l'espressione del volto sono portati quasi all'esasperazione. Tutto sommato mi pare che questo scultore dia piú importanza ai valori fisionomici, espressi per altro con molta efficacia, che a quelli plastici.

Alcuni "pezzi" sono astratti. Nella prefazione del catalogo Stefano Cairola ha scritto che lo scultore "ha voluto realizzarli per dimostrare a se stesso e a noi quanto sia facile trovare delle forme che, se possono rappresentare piacevoli creazioni decorative, hanno in comune con la vera scultura soltanto la materia con cui sono eseguite".

Niente affatto. Questi insignificanti "pezzi" di scultura astratta stanno veramente a dimostrare il contrario, ossia che il genere astratto è altrettanto difficile di qualsiasi altro. Le difficoltà in arte, poi, non hanno molta importanza. Conta il risultato.

M.R. - L'Italia - 9 gennaio 1951

 

Fra tre donne uno scultore e un pittore

Nel maggio scorso lo scultore Franco Asco tenne nella stessa Galleria Cairola, dove oggi ordina un'altra personale, una mostra polemica. L'artista partiva lancia in resta contro quel che stimava inutile e brutto o insincero di molte correnti d'arte moderna, e ne presentava delle caricature plastiche. Ma in realtà - e lo si vede nella sua esposizione attuale - il suo temperamento eclettico gli impediva di veder bene tra i tanti "ismi" di cui abbondiamo e, pur polemizzando era in definitiva influenzato da questo e quello e non si ritrovava. Oggi, pur presentando ancora, ma non piú polemicamente, una serie di sculture che vanno dal cubismo all'astrattismo, allinea dei pezzi - fra i quali quello che riproduciamo - nei quali egli sembra aver scelto la sua via, essersi in certo senso orientato. Ma se in essi v'è un modo, un filo stilistico comune, un residuo di eclettismo permane e proprio per questo accanto ad una franca abilità, ad una sicurezza di mestiere non v'è ancora una libera comunicazione poetica, l'artista non riesce ancora ad esprimere interamente il suo mondo. Malgrado ciò v'è tuttavia in Franco Asco un superamento di posizioni passate, uno stimolo vivo "a farsi" che rendono notevoli le sue opere.

M.L. - Milano Sera - 9/10 gennaio 1951

 

Mostre d'arte - Il triestino Asco alla Galleria Cairola

Alla Galleria Cairola ritorna il triestino Franco Asco con una serie varia e ricca delle sue sculture, al solito maliziosamente rilanciate nelle direzioni piú varie dell'attuale babele linguistica, dal patetismo floreale di Mestrovic e Wildt al grottesco neoetrusco di Andreotti e fino all'astratto di Laurens, sorrette in ogni caso da una non comune sapienza tecnica nonché da una facilità inventiva incline alle forzature ironiche. Mostra dunque improntata ad un eclettismo burbanzoso e festevole, in cui semmai la nota piú autentica è da ricercare in certi ritratti drastici e rubicondi, di fiera caratterizzazione.

C.B. - Il Popolo - Milano, 11 gennaio 1951

 

Tavolozza Milanese - Franco Asco da Cairola

... Davanti a tale diversità contrastante di forme e di tendenze (astratte, espressioniste, romantiche, statuarie, geometriche e via di seguito) chi visita la galleria Cairola penserà che anche lo scultore Franco Asco è un cerebrale. Ma sbaglia: perché questa volta anzi si tratta di un artista sopraffatto dal suo stesso istinto di scultore nato. E' la sua dotata mano, il suo spontaneo senso plastico che si prende il gusto e il difetto di trasformare la materia come piú gli piace; che si sbizzarrisce nel toccare tutte le note della tastiera di tutti gl'innumerevoli stili d'oggi e forse con polemica intenzione, si compiace dimostrare ai suoi colleghi in arte che è facile darsi a questa e quella maniera. Ma costa cara tale ben intenzionata dimostrazione, che finisce per smarrire lo stesso artista che la irride. Infatti, le forze plastiche di Asco potrebbero paragonarsi ad un cavallo puro sangue che ha sbalzato di sella il fantino che guidava la sua sbandata corsa.

VINCENZO COSTANTINI - Corriere Lombardo - Milano, 11-12 gennaio 1951

 

Presentato da Stefano Cairola nella sua Galleria, lo scultore Franco Asco propone al visitatore della sua mostra la soluzione di questo problema: si può fare della scultura originalmente moderna attraverso un compromesso sinceramente perseguito, ma contraddittorio, tra un estetismo plastico di costituzione accademica e uno sculturalismo sommario che lo ripresenta rammodernato? I risultati di questo sforzo sincero rimangono per ora nella sfera, abbastanza vasta d'altronde, del mestiere, dell'esecuzione. IL "Ritratto di Mavis", "L'urlo", il "Cavallino" costituiscono inoltre un'anticipazione di nuovi sviluppi, nei quali questo scultore triestino saprà risolvere la contraddizione stilistica di cui si è parlato.

ENRICO SOMARE' - Tempo - Milano, 13-20 gennaio 1951

 

Mostre d'arte

Franco Asco, lo scultore che l'anno scorso improvvisò una mostra polemica, contro la scultura d'avanguardia, alla Galleria Cairola, oggi, nella stessa sala, ritorna con opere recenti quali impregnate di sentimentalismo, sensualità e misticismo, quali nettamente volte al formalismo, alla purità geometrica, all'astrattismo. Sembra quasi che la battaglia di Asco si risolva in una sconfitta dello scultore sentimentale e sensuale. O ci sbagliamo? Che piuttosto abbia ragione il presentatore Stefano Cairola? "Alcuni pezzi esposti... sono curiosi documenti delle esperienze di Asco. Lo scultore ha voluto realizzarle per dimostrare a se stesso e a noi quanto sia facile trovare delle forme che, se possono rappresentare piacevoli creazioni decorative, hanno in comune con la vera scultura soltanto la materia con cui sono eseguite".

Per conto nostro, invece, ci par di vedere un Asco tentato piú che un Asco offeso e irritato dalla scultura di Arpo di Moore. E sarebbe male, perché - sempre secondo noi - la via giusta di questo scultore, anche se via rischiosa, è quella segnata dal nativo temperamento romantico.

LEONARDO BORGESE - Corriere della Sera - Milano, 19 gennaio 1951

 


 

Galleria Cairola - Milano (novembre/dicembre 1951)

 

Una mostra di Franco Asco a Milano

La Galleria d'Arte di Stefano Cairola ha allestito la terza Mostra personale dello scultore triestino Franco Asco nel Salone dell'Illustrazione Italiana. Intensissima si svolge ora la vita creativa di questo artista sincero che, già salutato come "enfant prodige", volle poi superare la grave lacuna di venti anni di ritiro e di solitudine per raggiungere la vera maturità della sua espressione. Dal 1947 Asco ha ripreso ad esporre ed ogni sua mostra ha testimoniato al pubblico - fosse brasiliano triestino o milanese - l'estrema tensione accumulata nello spirito dell'artista e che non poteva non commuovere le tranquille acque della critica. Alla "vernice" di questo terzo ritorno di Asco - sorretto dal sicuro e sereno senso d'arte di Stefano Cairola - erano presenti critici, artisti e ammiratori numerosissimi.

La simpatica semplicità di Franco Asco uomo conquista tutti; la mirabile semplicità della sua scultura chiarisce ed illumina molte posizioni sbagliate. Davanti ad un suo gesso - sia una testina, o sia la grande "Pietà" - si arriva finalmente a superare la paralizzante incertezza dello spettatore davanti alo spettacolo - sovente clownesco - dell'arte cosiddetta moderna. Si parla si comunica con la statua, con l'opera compiutamente creata che dal greve della materia si eleva in spirituale levità. Una mano appena sbozzata, un profilo di corpo proteso - come gli "Amanti" - una curva tenera e tragica per la "Maternità sognata" sono la piú alta semplificazione della scultura intesa come "preghiera espressa con le forme"; così vuole la sua scultura Asco.

Una Mostra che dona commozione, per la commozione stessa che l'autore fa vibrare nel gesso opaco e pur reso trasparente: come una vita che trapela e traspare appena, il vero mistero della maternità che ha ispirato tutte le opere presentate.

? - Corriere di Derby - 1951

 

Gallerie di Milano

...E importante è infine la mostra che Franco Asco ci offre alla Galleria Cairola. Dopo quasi vent'anni di silenzio, in questi ultimi tre anni l'Asco ha ripreso il suo lavoro di creatore. Lo ha ripreso confusamente e polemicamente in tre mostre successive, di cui l'attuale è il coronamento, pur non essendo ancora il superamento definitivo d'uno stato d'animo un po' confuso. Questo stato d'animo mi giustifica gli apprezzamenti mistici, di cui si compiace lo scultore nei raffronti della propria opera, e in generale dell'arte. In effetto però quello che s'impone nell'opera dell'Asco è la raggiunta semplificazione formale, per cui la figura si svincola, come in "Loth" dal suo involucro pesante per protendersi nello spazio, come idea di una realtà. E' un grande passo avanti questo che l'Asco ha compiuto, e non è soltanto un passo individuale. Ne è l'ultimo passo. In ogni modo è un passo risoluto in cui il suo innato senso plastico, indulgente finora alle forme classicheggianti, si incontra con il travaglio del mondo spirituale moderno e lo esprime con meditata e appassionata potenza stilistica.

DARIO DE TUONI - Il Progresso - Milano, 10 dicembre 1951

 

Ritratti d'Artisti - FRANCO ASCO

Superato un periodo polemico, Franco Asco si è presentato di recente a Milano in una veste ben piú conclusiva: ossia con una purezza di intenzioni da cui si era fuorviato nel suo ironico polemizzare degli anni addietro. Schiarite a se stesso quelle possibilità, che erano già in nuce nella sua opera anteriore, egli ha ripreso la propria linea essenziale: quella serenità un po' severa che aveva sempre guidato la sua mano. S ciò si è effettuato attraverso una inquieta fase polemica, ebbene, quella fase gli è stata salutare.

Non ci interessa affatto se l'attuale opera dell'Asco abbia, o no, quella piacevolezza che si avvertiva nel realismo ritrattista del suo periodo giovanile. Quand'anche tale piacevolezza compaia ancora, si nota subito però che essa è in funzione con un nuovo criterio. Non ha piú una significazione suggestiva, poiché viene assorbita e si fonde nel complesso, che procura di conseguire un determinato sintetismo formale, atto a favorire un'emozione lirica.

Non credo di essere lontano dal vero. Per me, gli elementi di questo sintetismo si possono riscontrare già nelle prime opere dello scultore. In effetto, certe stilizzazioni volumetriche gli erano sempre state proprie. Sotto questo riguardo, la sua produzione giovanile anziché dal Rodin, da Medardo Rosso, dal Hanak, o da altri scultori del tempo, sembrava stimolata dal Mestrovic. Vi era qualche cosa delle epiche cariatidi mestroviciane nei ritratti che l'Asco veniva via via modellando; in quei rifiniti e levigati busti che riuscivano ad abbinare il realismo con una cauta stilizzazione sia dei tratti fisionomici che dei volumi. Ed era appunto questa particolare stilizzazione che infondeva all'opera quel suo innegabile senso ieratico, rispondente all'indole dell'artista, piuttosto impassibile e contraria alle impetuosità drammatiche.

Oggi egli ha varcato i confini della consueta espressione visiva. Sconcertato dal farraginoso materiale delle tendenze moderne, di ritorno dal Brasile si mise in lizza con loro, allestendo quelle mostre polemiche di cui s'è parlato nelle prime righe. Non si trattava di una ribellione ottusa, dettata soltanto da una idolatria del passato, caso molto frequente; ma di una inavvertita reazione forme che in apparenza troppo contrastavano con il suo lirismo interiore. Sennonché a un certo punto, nel maneggiare gli elementi polemici, o da lui ritenuti tali, essi gli rivelarono il loro inatteso aspetto positivo, la loro forza dinamica. Non ci fu quindi un crollo d'ideali; semmai una coscienza acquisita. Lievi modificazioni a quelle volumetrie ieratiche che gli erano proprie, furono sufficienti per portarlo su nuove forme plastiche. Una maggiore evanescenza del soggetto realistico, e in certi casi un superamento addirittura di quel soggetto, per liberare il ritmo di una pura forma.

Attraverso un intimo travaglio, Franco Asco è giunto oggi a questo punto, pur sapendo che gli ammiratori del pompierismo scultorico gli saranno avversi. Ma vi è giunto, e questo è un fatto importantissimo, non saltabeccando a destra e a sinistra e scimmiottando astutamente tutte le correnti e tutte le mode; anche se agendo in tal modo non pochi drittoni riescono a gabellarsi per grandi artisti, buscandosi premi su premi. Vi è giunto con mezzi propri, non rinnegando se stesso, poiché, come s'è detto, gli elementi fondamentali del suo mondo attuale erano già in nuce nella sua opera anteriore. Essi non potevano rimanere statici, insensibili agli attuali accadimenti estetici, se non condannandosi da soli a una indifferente mediocrità. Dovevano raggiungere una ulteriore espressione, anche a rischio di rinnegare la realtà esatta e naturale delle cose raffigurate, la calligrafica precisione delle fisionomie, per conseguire sotto la spinta di una ricerca e di una osservazione penetrante, il puro o meglio disinteressato, fatto plastico.

DARIO DE TUONI - Il Corriere di Trieste- - 13 marzo 1952

 


 

1a Mostra Nazionale d'Arte Trieste (1952)

Arte italiana a Trieste

...Franco Asco presenta, pur in un limite di piú intima umanità ma con pari sebbene diverso valore estetico, due pezzi d'eccellente fattura e squisita sensibilità: un piccolo "nudo" e un ritratto femminili, che danno la misura dell'equilibrata e personale visione della moderna astrazione purché idealmente congiunta alla forma naturale.

SPARTACO BALESTRIERI - Il Gazzettino Liberale - Milano, 16 Luglio 1952

 


 

Uno scultore

Di Franco Asco, scultore triestino da molti anni residente a Milano, ho riprodotto un'opera nel "Gazzettino Liberale" del 16 luglio scorso, in occasione del mio articolo sulla Mostra Nazionale di Trieste, dove fu premiato. Mi torna ad interessare alla sua arte una bella monografia illustrata, dallo specioso titolo: "Un episodio autobiografico di Franco Asco tradotto in forme plastiche" (Ed- Smolars, Trieste) con prefazione del triestino Elio Predonzani. Tutta una originale iniziativa triestina, che mi ricorda le due recenti mostre personali di questo tormentato scultore italiano alla Galleria Cairola di Milano e che merita un particolare commento perché l'Asco è il primo artista moderno che, direttamente con i propri naturali mezzi di espressione, appunto le sue stesse "forme plastiche", ha coraggiosamente affrontato il problema della decadenza e degenerazione attuale dell'arte.

La sua campagna moralizzatrice d'artista autentico, il suo monito di scultore veramente dotato e artigianalmente esperimentato, assumono infatti inoppugnabile autorità in quanto la sua non è parola scritta, ma insita nelle sue stesse opere. Perciò non mi rifaccio alla parola scritta del prefatore, dedotta del resto dalla documentazione creativa dello scultore, cui mi rifaccio direttamente a mia volta. Denegare quindi la parola scolpita dell'artista significherebbe denegarne l'opera, ma la sua validità critico-estetica s'impone da sè e comunque s'impone a una discussione almeno altrettanto seria quanto quella agitata dalla singolare serie di scultore che costituiscono gli insoliti capitoli dell'episodio autobiografico di Franco Asco. Tanto seria che, giustamente avverte senza far nomi il prefatore, non può toccare la personale suscettibilità di noti artisti viventi, come ad esempio Henry Moore, Marino Marini, Pablo Picasso o apparire irriverente alla memoria d'artisti scomparsi quale Arturo Martini, di cui a titolo esemplificativo l'Asco contraffà gli stili. Lo scultore triestino, in sostanza, rivaluta la classicità che, anche in "Pollice verso", dove sono gli "arrivati" a sentenziarne la morte, sovrasta tuttavia i mostruosi pigmei della decadenza trionfante.

Classicità ch'egli non intende imporre all'arte moderna, in funzione di supina acquiescenza agli antichi canoni della bellezza, ma come eterno elemento moderatore delle aberrazioni trasmodanti i limiti della fantasia e dello spirito umano, che in "La bella e la bestia" si concretizza in equilibrio tra forma e contenuto. Armonia che, per chi non ami la polemica neppure se costruttiva come quella delle opere citate, si realizza pienamente nell'opera d'arte pura che è l'autoritratto intitolato: "Risveglio", in cui la potenza e l'immediatezza espressiva sono fusi dal dinamico tocco impressionistico e dal solido impianto classico, con luci e ombre, pensiero astratto ed umanesimo che trovano riscontro nel sentire moderno di chi della modernità non abbia perso il pur tormentato sentimento. In questo nostro tempo appunto in cui la vita tradisce purtroppo profonde ombre, ma ogni giorno rivela altresì folgoranti luci; in questa nostra epoca di germinazione caotica e d'urto inconsulto di tante astrazioni non soltanto estetiche che nella loro barbara teorica sembrano spesso ignorare l'estremo valore e significato dell'umanità, eppure segretamente anelante a un superiore ordine umano; l'arte troverà ancora la soluzione della crisi che la travaglia, nell'uomo.

Nell'opera "L'ascesa al Parnaso", Franco Asco riesce a dare un'efficace sintesi plastica del farraginoso aggrovigliarsi di tendenze e dello spasmodico soverchiarsi di gruppi sprovveduti d'effettive individualità artistiche che hanno causato l'attuale caos estetico e urge ormai fare appello invece a singoli artisti, le cui opere non siano aride ostentazioni intellettualistiche di teorie, bensì concrete opere d'arte e cioè di poesia. Uno di questi potrebbe essere l'Asco e c'è da augurarsi che altri se ne rivelino, altrettanto equilibratamente classici e moderni, affinché dal caos sia dato finalmente sperare di passare a un ordine nuovo di rinnovata bellezza estetica e ideale.

SPARTACO BALESTRIERI - Il Gazzettino Liberale - Milano, 16 ottobre 1952

 


 

Arte sacra casalinga all'Angelicum

...Sicchè trovo che lo scultore Franco Asco, con la sua Michelangiolesca ma anche modernissima "Pietà", si riagganci appunto con sentire linearmente geometrico alla grande tradizione italiana dell'ultima opera sulla quale quel gigante spirò.

SPARTACO BALESTRIERI - Il Gazzettino Liberale - Milano, 24-30 Aprile 1953

 


 

Colonna Mariana - Trieste (1954)

I lavori in corso nel giudizio della commissione

...Nel suo complesso l'opera dell'Asco risulta particolarmente pregevole, per il senso architettonico, per la bloccata e ieratica semplificazione delle masse che molto contribuisce alla chiarezza ed intelligibilità delle immagini, anche se nota a distanza ed efficacemente concorre ad esprimere la spiritualità del tema....

? - Le Ultime Notizie - Trieste, 12 luglio 1954

 

Le cinque Madonne della Colonna Mariana

...Il premio, cioè la scelta della scultura che verrà posta sulla Colonna, è andato alla Madonna di Asco, che fra i suoi innegabili valori ha pure quello di essere "architettonica". Risolta secondo una severa direttiva monolitica, l'opera di Asco sembra la piú idonea al ruolo di "monumento" che le è stato assegnato, inoltre ha in sè sufficiente dolcezza e semplicità per interpretare le piú immediate necessità spirituali del nostro tempo. Non imposta problemi né vuole essere polemica, ma nelle sue linee essenziali sta ad indicare la transizione attuale dell'estetica e del gusto, senza per questo rinunciare alle prerogative che l'arte sacra fa proprie.

L.M. - Le Ultime Notizie - Trieste, 15 luglio 1954

 

La Madonna di Franco Asco

Palestra della scuola Brunner di Trieste a Roiano. A chi entra si presenta per prima la statua di Amstici. E subito si osserva quella. Ma il nostro occhio cerca la premiata, quella di Asco, che già la mal riuscita fotografia apparsa su un giornale ci aveva fatto comprendere richiamare degnamente la Madonna con le sue linee nobili e maestose. Ma quella sbiadita e fosca fotografia non aveva saputo dirci quanto fosse giovane ed illuminata la sua faccia, quanto ricco di vita contenuta il suo atteggiamento. Bella. Bella. La espressione di questo volto, arrovesciato verso l'alto, anche se la bocca è appena schiusa in un sorriso piú interiore che esterno, ci fa sentire il canto del Magnificat: "Et exultavit spiritus meus in Deo salutari meo". E' la Madonna. Bella...

...La mia opinione è che la commissione non poteva scegliere meglio, non solo per il valore artistico, ma anche per il significato che l'immagine sprigiona. Un'opera che farà onore alla città.

L.L. - Vita Nuova - Trieste, luglio 1954

 

...La bloccata e ieratica semplificazione delle masse contribuisce alla chiarezza espressiva dell'opera; le bellissime mani aperte a preghiera e protezione, a rassegnazione e gloria, sono piú di una voce, sono un canto. La statua merita pienamente tutta la viva ammirazione di pubblico e di critica cui è già stata fatta segno, per la sua superiore nobiltà spirituale e artistica.

? - Derby - Milano, 15 agosto 1954

 

Milanese-triestino scultore "mariano"

Franco asco è uno scultore che davvero possiede il mestiere e padroneggia la materia con la disinvoltura di chi sa il fatto suo. Qualche anno fa, in una Galleria milanese, come in una serie di campionari dei piú svariati stili, dai piú "estremisti" ai piú "passatisti", diede prova di saper realizzare, quasi fossero uscite dalla sua mano per miracolo, tutte le mille maniere contraddittorie di cui si compiace la scultura d'oggi.

Ma Franco Asco è un artista di profondo sentimento; perciò ha rinunciato alla sua incredibile bravura per manifestare nelle sue sculture, e specie in quelle modellate sulle tombe del nostro Cimitero Monumentale, quella mistica ed umana interiorità che ha quasi disincarnato le figure nella elementarietà delle moderne interpretazioni.

Triestino di nascita ma milanese di adozione, Franco Asco nel concorso indetto dal Comune di Trieste per celebrare l'Anno Mariano, su ventisette concorrenti è riuscito vincitore del "monumento alla Vergine" che verrà eretto in una piazza della città di San Giusto. Anche in questa statua, come in quasi tutte le opere del nostro scultore, piú che la figura di semplice purezza, soprattutto le mani ed il volto esprimono l'ardente tensione volta verso il cielo a protezione di noi uomini.

? - Corriere Lombardo - Milano, 19 agosto 1954

 

Intervista con lo scultore Asco

...Nel presentare il suo lavoro, lo scultore ha voluto precisare le ragioni ideali della sua funzionalità estetica, in rispondenza al carattere religioso della statua. Nel primitivo bozzetto aveva le mani congiunte sul petto; le ha ora disgiunte in atto invocativo.

Esse - dice l'artista - rispondono meglio alla consueta iconografia dell'Immacolata, senza punto alterare la staticità del movimento verticale di tutta la statua, il quale è garantito dal manto che schiudendosi in due rette verticali, asseconda il gesto delle braccia verso il cielo. L'evidente divergenza fra la modellazione anteriore e posteriore della statua, coloristica la prima, liscia, rigida e metallica la seconda, è simbolicamente voluta. Nella parte posteriore il manto dorato assume il valore di un paramento sacro che accompagna la massa nella sua tendenza allo slancio verticale verso l'infinito, proteggendo tale slancio con il suo involucro architettonico.

Inoltre, semplificando al massimo gli attributi dell'anatomia femminile, lo scultore ritiene di aver impresso all'opera quel carattere ieratico che dovrebbe trasparire dal complesso equilibrio delle singole parti, dal loro particolare atteggiamento, dalla fantomatica costruzione, che negligendo o addirittura eliminando ogni sostanziale materialità, aspira nel suo ascendere verso l'alto a una conclusione plasticamente estatica e trascendentale...

? - Corriere di Trieste - 12 settembre 1954

 

La Madonna dell'Asco in Piazza Garibaldi

Felice l'idea dell'ubicazione di questo monumento. Dopo tanto discutere, eccola al suo posto la Madonna, in una piazza popolare, in mezzo al traffico della gente, presidio alla città, accompagnatrice del viatore. La bella colonna monolitica, di pietra bianca del Carso, semplice, armoniosa, raddolcita dall'entasi che un po' l'ingrossa nella parte di mezzo del fusto, ora campeggia sullo sfondo verde dei platani e la statua d'oro spicca piú alta. La si vede già dal Corso Garibaldi, in fondo, posta là come una meta, che ci viene incontro. Certamente questa soluzione merita plauso, perché tanto originale, come quella che non si poteva prevedere e pertanto ci piace ancor di piú. Sta in sul principio della Piazza Garibaldi, dove questa si restringe, ed è per chi s'avvicina e la guarda piamente un saluto divino.

Invero l'opera di Franco Asco interpreta ottimamente ciò che il Comitato Mariano chiedeva: una figura divina ed umana che sollevi lo spirito del passante al cielo, una Madonna sentita religiosamente, umile e alta, semplice e immensa. Il capitello della colonna, sui cui Lei posa i piedi, è di stile moderno, quasi cubista (un dado che ha i canti intersecati da una sfaccettatura che gli dà ad ogni lato un pentagono) e la Madonna vi sta ritta e ci appare tanto piú aerea. Tende le mani in alto verso il cielo con lo slancio d'un'anima devota all'eccelso. L'attitudine è ieratica, composta quasi in uno schema geometrico, eppure vi si sente il palpito della vita.

Il suo viso estatico scompare nella luce del cielo, e quasi non lo si distingue. Ed è bene che sia così. I soliti simulacri umanizzano troppo la Madonna e la rappresentano come una bambola, che al popolo ignaro dell'arte e dell'infinita e sublime maestà dell'argomento può anche piacere, perché piú vicina alla sua comprensione. Questa nuova opera dell'Asco forse può deludere i devoti a immagini stereotipate e comuni. Ma chi guarda quel gesto delle mani che si allargano verso il cielo, sente bene che l'artista ha sentito profondamente ed ha reso perfettamente questo anelito delle anime che in Maria trovano l'Avvocata che intercede per le grazie celesti sulle pene dell'umanità. Le mani sembrano simmetriche, ma non lo sono nell'espressione delle dita. La mano destra si rivolge a Dio, e l'altra invece quasi si distacca dolorosamente dai supplici, per chiedere misericordia.

Il manto cade alle sue spalle ai lati, come ali; ed è rigido nelle sue pieghe. Invece la stoffa del vestito pare piú morbida, damascata. Il corpo, nella schiettezza di forme appena appena mosse castamente contenute in una linea sobria e irreprensibile, è sottinteso ed è nulladimeno vivo. I piedi calpestano vittoriosamente il serpente.

Quando è caduto il telo che copriva la sua opera, l'artista mirandola aveva gli occhi luccicanti. Poteva ben essere commosso alla solenne cerimonia, quando un Cardinale, che presiede all'arte cristiana, inaugurava la sua opera d'oro.

Noi ora ricordiamo che egli si fece tutta la sua strada da solo. Uscì dall'Istituto, e quando fece la sua prima mostra da Michelazzi, nel 1917, siamo stati noi a fare la prima noterella di critica sul "Lavoratore", unico giornale allora "degli Italiani in Austria". Quanto cammino da allora ad oggi. Come abbiamo già detto, l'Asco scolpì in marmo il busto dello Zampieri, direttore dell'indipendente, al Giardino Pubblico; sulla facciata dell'Aeroporto, ch'è volta sul ponteverde del Canale, le due figure che si protendono verso l'alto in un anelito di volo; ed ai lati dell'orologio, nel frontone della Stazione Marittima le due nude figure, sedute, che si voltano a guardarsi, oltre le onde che uniscono i continenti lontani. Raffigurazioni spaziali, in cui le distanze vengono espresse dai limiti certi e sicuri dell'arte scultoria.

CESARE SOFIANOPULO - Messaggero Veneto - 24 settembre 1954

 


 

Galleria Pagani del Grattacielo (Milano, ottobre 1959)

 

Scultori astrattisti in Via Brera

In occasione della personale del pittore francese Michel Senphor, che espone da circa una settimana alla Galleria Pagani ("Grattacielo") in via Brera 10, è stata allestita per la prima volta nel bellissimo attiguo giardino una mostra collettiva di alcuni scultori astrattisti, fra cui Fontana, Bloch ecc. Segnaliamo un bronzo dello scultore Franco Atschko (Asco), intitolato "Meriggio", che fa parte di un trittico comprendente anche "L'alba" e il "Il tramonto".

? - La Notte - Milano, 6/7 ottobre 1959

 

Disegni astratti e sculture all'aperto

La nuova galleria diretta da Enzo Pagani inizia con la mostra di disegni...di Michel Senphor. ... Lasciando Senphor l'intellettuale, il visitatore può accedere al giardino della galleria. Sull'erba c'è scultura, inutile dirlo astratta. ... Espongono Cappello, Carmassi, Crippa, Bloch, Fontana, Minguzzi, lo statunitense Gould e Franco Asco. Cappello e Asco sono i due che preferiamo per l'eleganza dei bronzi. ...

MARIO PORTALUPI - La Notte - Milano, 14/15 ottobre 1959

 


 

Note d'arte - Forme e figure nello spazio

... Sicché nelle more dell'attesa di piú edificanti sviluppi dell'incipiente stagione delle mostre a Milano, capitato a Varese sono tornato a quel Cimitero Monumentale per rivedervi il monumento Grassi, dello scultore triestino Franco Asco che da molti anni risiede ed opera nella capitale lombarda. Proprio ora questo scultore ha avuto la ventura d'essere prescelto nel concorso di pittura, che non gli è abituale, per il pannello decorativo che verrà eseguito in mosaico veneziano sulla facciata del nuovo Palazzo "Lido Sport". La massa bronzea di Varese, forse ispirata dalla Michelangiolesca "Pietà Rondanini", ne è una libera e nuova (questa sì veramente) poetica interpretazione, per il lievitante affiorare delle figure dalla materia bloccata nell'estrema sintesi delle linee.

Specchio del tempo, queste successive, recentissime "Forme nello spazio", dello stesso scultore, legni forati e levigati con l'artigiana diligenza d'un Moore, finiscono invece per rimanere - come dice il titolo stesso - allo stato embrionale appunto di "forme", casuali nella materia inerte, fine a se stessa. Non è la prima volta (probabilmente sarà ormai l'ultima) che un artista uso a lanciare figure nello spazio, si metta un bel momento a proiettarvi delle forme: ma, a pensarci bene, queste potrebbero essere paragonate a spenti meteoriti, quelle però - in termini astrali - a luminose stelle. ...

SPARTACO BALESTRIERI - La Rivista di Lecco, n.6 - dicembre 1960

 


 

Galleria Arredarte - Trieste (1961)

In Viale XX Settembre n.16, nei locali già occupati dalla Galleria Trieste (per tanti anni meta obbligata degli amatori cittadini), s'è aperta la Galleria "Arredarte", inaugurata sabato scorso con una personale di Franco Asco.

Chi sia Asco a Trieste lo sanno tutti: anche se l'artista, triestino "di razza", viva e operi a Milano da molti anni. Ma molti ricorderanno le sue piú recenti "personali" che Asco allestì nella medesima Galleria Trieste (tra cui, ultima, una "mostra polemica" che opponeva le mitiche figure di uomini e di cavalli della tradizione accademica alla degradata umanità dell'espressionismo sentita come "caricatura"); e tutti conoscono l'aurea "Madonnina" della colonna di piazza Garibaldi: che sì è inserita assai stabilmente come un dato ormai consueto e caro del paesaggio cittadino.

Asco fa ancora lo scultore e non rifugge dal figurativo per il fatto di essersi accostato all'astratto. Rifugge dalla deformazione espressionistica o cubistica, dal "brutto" come afferma lui stesso: dal deforme quindi, non dall'informale. Ma se i suoi "motivi" plastici, presentati in gesso (e da realizzarsi in oro o in metalli preziosamente patinati), rappresentano in ogni modo un notevolissimo ampliamento (pur nei limiti di una tematica lineare unanimemente armonica) degli orizzonti culturali di Franco Asco scultore figurativo, l'esercizio della pittura (cui da qualche tempo l'artista si dedica con preponderante impegno) rappresenta qualche cosa che non può e non deve essere considerato come un sottoprodotto o come un diversivo: perciò il pittore inalbera un nome diverso da quello ormai consacrato dalla multidecennale fama dello scultore. E se oggi firma Atschko (secondo l'originaria grafia del suo cognome) ciò è proprio perché si dica: "è apparso il nuovo pittore Atschko" e non: "Franco Asco scultore s'è messo a dipingere".

Ma francamente della serietà e dell'importanza della pittura di Asco non è il caso in nessun modo di dubitare: si tratta di composizioni che, della poetica dell'informale, mostrano di aver colto l'essenza, e di averne sentito tanto piú sinceramente il richiamo, quanto meno sollecito di un puntuale riferimento a Tizio o a Caio. Nell'ambiente dell'astrattismo italiano Atschko (riprendiamone anche noi il vecchio e nuovo nome nella sua sonorità "mitteleuropea") si trova in una condizione privilegiata: quella di aver dietro a sé l'impareggiabile fondamento del tirocinio compiuto nelle Kungstgewerbeschulen austriache. Se non altro produttivo nel senso di qualificare la sua pittura come tecnicamente diversa di fronte all'informalismo di macchia, effervescente ed estemporaneo comune nell'ambiente italiano.

La tecnica di Atschko è in realtà elaboratissima e preziosa: colature a colori multipli, corrugamenti e increspature, contrapposizioni di colori lucidi e opachi si dimostrano per tal modo consentanei e necessari, da parer generati dall'opera stessa della natura. E in effetti l'artista ha saputo tener presente insieme e i procedimenti naturali per cui si generano le marne e le puddinghe e le brecce e i marmi colorati per intrusioni e cristallizzazioni minute, distinti e variati in modo gradevole e, in ogni tempo, pregiato, e il gusto inerente alla febbrilità artistica in sé considerata, com'è nel caso della lacca, del mosaico e della pittura intesa nei valori tecnici segno macchia pennellata. D'altro canto il tema della "materia nascente" si innesta sul tema spaziale dei mondi in formazione e dei sistemi galattici e quindi sul tema dell'infinitamente piccolo, rivelato dalle moderne tecniche di fotografia microscopica se non proprio dalla diretta esperienza del microscopio elettronico. E' dunque una figuratività nuova questa, indagata primamente dall'occhio meccanico della macchina fotografica e colta attraverso la visione mediata per mezzo di filtri o schermi rivelatori (com'è del radar e del microscopio elettronico) che hanno reso visibile l'invisibile, allargando d'altrettanto il campo dell'esperienza visiva dell'umanità. E questa nuova figuratività è poi una delle componenti piú valide della piú complessa risultante "informale". Certe fotografie, scattate dall'aereo servendosi di filtri all'infrarosso e di normale pellicola a colori, rappresentano p.es. uno stimolo di primissimo piano per la fantasia del pittore astrattista. E in tal modo la gioia esaltante della scoperta di nuovi mondi, del cabotaggio in terre incognite, che ha sempre sostenuto l'entusiasmo dell'artefice novatore, può ancora accompagnare l'artista nella sua avventura sempre piú avida e ingrata alla ricerca del nuovo per il nuovo. Codesto non manca mai nei grandi, ma è, in misura maggiore o minore, presente sempre negli artisti sinceri e seri, E' presente anche in Atschko ed è ciò che riscatta dalla taccia di "preziosismo" queste composizioni eleganti, raffinate, piacevolissime. Perché le composizioni di Atschko, pienamente in linea con l'attuale situazione della ricerca artistica e squisite e "finite" pur nella loro indeterminatezza, come se fossero uscite dalle mani di un artista dell'Estremo Oriente, piacciono al pubblico. Ed è facile prevedere per esse il maggior successo mondano presso sempre piú larghi strati di ammiratori. E il successo presso il pubblico non è necessariamente sinonimo di conformismo e di superficialità.

GIO. - Il Piccolo - Trieste, 25 novembre 1961

 


 

Nuova opera di Asco al cimitero di S.Anna

Al cimitero di S.Anna si è in questi giorni scoperto un notevole e pregevole pezzo di architettura e scultura funeraria: la cappella Tyrichter, tanto nella parte strutturale che nelle parti ornamentali, opera del concittadino Franco Asco. La cappella è di forma elementare: un parallelepipedo di prezioso e durissimo marmo nero di Svezia, con un vano interno di quasi quattro metri quadrati, cui si accede attraverso una porta di bronzo a due battenti, traforata da un'apertura a forma di croce e decorata di motivi astratti. Internamente, sopra una mensa di marmo rosso è collocato un ritratto in bronzo dorato, ovviamente realistico, della defunta in figura di S.Rita. La parete di fondo presenta una finestra parimenti a forma di croce e chiusa da vetri colorati.

L'insieme riesce di grande nobiltà, per la calibrata armonia delle proporzioni, per la bellezza del materiale e per la semplicità estrema (che non è tuttavia povertà) del concetto architettonico: la cappella si erge infatti come una stele o un altare da un piú espanso gradino; i brevi fianchi sono qualificati, come tali e distinti dalla fronte da un austero gioco di rientranze e di sporgenze, mentre il monolito di chiusura sigilla limpidamente la forma geometrica del blocco. Delle decorazioni dei battenti bronzei, a motivi astratti rettilinei e curvilinei, conviene rimarcare la discreta prestanza decorativa, non disgiunta da un vago contenuto simbolico: allusivo alla speranza ultraterrena nel passaggio dalle forme frante e spezzate alla dolcezza melodica delle curve.

E' indubbio che la nuova cappella è una delle piú pregevoli opere funerarie eseguite negli ultimi anni per il Cimitero di S.Anna, e che la presenza e la responsabilità di un artista vero è la sola garanzia di riuscita in imprese di tal genere.

? - Il Piccolo - Trieste, 10 giugno 1962

 


 

Il parco museo di Pagani

(estratto)

...Le monumentali opere di Asco che raggiungono i 15 metri di altezza si innalzano ocn sicureza ed eleganza.

FRANCA MENOTTI - D'Ars Agency - settembre-novembre 1962


 

Fondazione Pagani - Castellanza

Sorge a Legnano un tempio della cultura (estratto)

Novità di rilievo al Parco Museo che il gallerista-pittore Enzo Pagani sta realizzando alla periferia di Legnano. ... La seconda riguarda le opere di due scultori di chiara fama che, da Milano e Parigi, si sono trasferiti al Parco Museo, per realizzare alcune opere sul posto stesso dove sorgeranno, accanto ad altre centinaia di sculture. I due scultori all'opera sono Asco e Falchi. ...

... Franco Asco, dopo aver girovagato in Europa e in America, da vari ani si è stabilito a Milano ed è stato lieto di aderire all'invito di Pagani. Asco, che ha sessant'anni, la figura alta e lo sguardo occupato a trovare dimensioni che lo convincano, ha completato "Metamorfosi di forme" che si erige bianca e snella. Questa scultura ha la fierezza di un cane di razza al quale il suo padrone abbia imposto una immobilità statuaria. Sono ormai due mesi che l'artista modella le forme, prima sotto il sole, ora a intervalli, solo quando le condizioni atmosferiche glielo permettono. Dopo aver terminato "Lo spirito oppresso dalla materia", l'artista è intento a dar vita a "Forme nello spazio", che si trasformano lentamente dalle strutture in armatura, simili a scheletri abbandonati in un deserto. Quest'opera sarà in cemento e mosaico.

La scultura di Asco ha qualcosa di astrale che si ispira al figurativo, come ammette lo stesso autore, ma che non manca di ottenere effetti immediati. L'accostamento tra "Lo spirito oppresso dalla materia" e "Metamorfosi di forme" fa pensare che la prima opera sia una liberazione dalla seconda. Un pensiero, un'idea, nati per collegare un sentimento ma, contemporaneamente, per liberarsene. Ecco perché Asco ammette che preferisce "sempre l'ultima opera" quasi volesse distruggere quella precedente. ...

GUALTIERO CONTI - La Notte - 27 novembre 1963

 


 

Il Parco-Museo Pagani

(Alcuni artisti del parco museo) - Asco:

Descrive forme nello spazio, articolando l'azzurro del cielo di un ritmo che lo rende riconoscibile.

ALEIMODO AXELOS - Artecasa n. 63 - 1963

 


 

Galleria Cavour - Milano (Maggio 1968)

Asco d'oro

La mostra che lo scultore Francesco Asco ha inaugurato giovedì alla Galleria Cavour (piazza Cavour 1) è di quelle che non si devono perdere. No, non è un artista che Milano e i milanesi "scoprono" oggi; ma, proprio per questo, la sua evoluzione apparirà a tutti particolarmente interessante, orientata com'è verso un traguardo di bellezza che rappresenta ormai il tema dominante della sua opera. Ecco, se di Asco si dovesse dare una definizione breve, telegrafica, si potrebbe scrivere: sacerdote della bellezza. Da parecchi anni, infatti, egli appare ossessionato dal brutto, o meglio da ciò che di brutto c'è nell'arte moderna e che, a qualunque costo, senza ritegno, si vuol far passare per bello, o almeno per "importante". Asco dice che le cose brutte sono brutte e basta, e che, come tali, non hanno niente a che fare con l'arte. Aggiunge che bisogna combattere contro la bruttezza. Eccolo dunque in trincea, nella galleria che lo ospita. Quali armi adopera? Le uniche valide, le uniche capaci di convincere. Questa mostra ospita 25 sculture e 25 disegni. Lo scultore, giustamente famoso, conferma con questa interessantissima mostra le sue grandi qualità, rivelate quando a tredici anni scolpì un busto dell'Imperatore Francesco Giuseppe. Per entrare all'Accademia di Belle Arti di Vienna, gli fecero tenere -data l'età- un esame speciale. Era un ragazzo prodigio, non volevano perderlo. A 17 anni vinse il suo primo concorso, a 20 il secondo. Nato a Trieste, Asco non ha mai voluto rinunciare alla cittadinanza italiana. A Vienna gli offrivano condizioni favolose, per restare; preferì tornare in Italia. Vive a Milano dal 1933. Quando vi arrivò, aveva lo studio in Via Manzoni e frequentava il bel mondo (Jia Ruskaja fu la sua prima cliente milanese). Nel 1936, espose alla Galleria Pesaro. E' suo il grande fregio sulla storia della danza che c'è al cinema Ariston. Sono suoi i disegni su vetro e i pannelli del cinema Metro-Astra. Per il Monumentale ha fatto 25 statue e una decina di cappelle. Il Museo di Trieste e la Pinacoteca Ambrosiana hanno opere sue. La Fondazione Pagani di Legnano, nel famoso Museo all'aperto, espone tre "colossi" (uno è alto dieci metri) di Francesco Asco. E' uno scultore, lo avrete capito, che non ha bisogno di fare una personale o di "rivelarsi"; ma gli piace il contatto col pubblico, gli piace essere umile; gli piace soprattutto predicare (la bellezza) coi fatti.

? - La Notte - Milano, Sabato 4 maggio 1968

 

Alla "Galleria Cavour" in piazza Cavour 1 (tel. 667.705), Milano, lo scultore Franco Asco si presenta con una ricca serie di disegni e sculture, dopo una lunga assenza dalla vita militante artistica. Noi abbiamo visto con molto interesse la ripresa operativa di Franco Asco, il quale è sempre proteso nella sua ricerca che convoglia, in una unica sintesi formale, le necessità espressive figurative con le soluzioni plastiche pure.

Partito da alcune esperienze cubiste, Asco ha maturato in questi suoi ultimi lavori una maggiore libertà formale, meno legata ai temi contenutistici, e certe sue opere acquistano una particolare lievità, un senso di aerea leggerezza, che meglio esprime la sua affinità spirituale con l'astrazione. Asco è un artista seriamente impegnato dalla necessità di sviluppare un suo linguaggio che esclude la poesia.

FRANCO PASSONI - L'Avanti! - Milano, 5 maggio 1968

 

Franco Asco all'insegna della "purezza"

A snellire in sede di cronaca i precedenti artistici di Franco Asco - scultore triestino che riespone adesso dopo una lunga parentesi - si può avviare il discorso dalla mostra sua di trent'anni fa qui a Milano, ordinata alla galleria Pesaro. Quella galleria, per importanza, era un'isola in una città non artisticamente, mercantilmente viva come questa d'oggi, e in certo senso, perciò, città piú esigente e restia e anche diffidente dinanzi alle "bizzarrie" degli artisti espositori.

Asco vi ebbe la sua prima "personale", e con essa egli allacciò i primi contatti col pubblico milanese. L'artista dovette essere ben persuasivo attraverso le sue opere, se talune di esse, dalla Pesaro e giusto nel '38, passarono alla Galleria Civica di Arte Moderna e alla Pinacoteca Ambrosiana.

Asco aveva un quindicennio di lavoro dietro sè. La sua biografia segna altre tappe in Italia, e all'estero; anche alla Biennale di Venezia, ma quel che interessa sottolineare allo stato dei fatti è che i trent'anni che separano il primo incontro di Asco con Milano da questo suo ripresentarsi, ora, alla galleria Cavour, non sono soltanto tre decenni di esperienza accumulata (che contano pur molto nella vita di un artista), ma i tre decenni piú "veloci" e turbinosi della vita contemporanea. Le forme scultoree sono divenute, nel panorama dei gusti, della estetica, forme reattive al naturale e anzi al naturalistico modo di esser viste e scolpite o modellate, in qualche parte della produzione secondo-novecentesca: sino a far parlate di forme pure. La "purezza", lo stile forbito e raffinato dipendono dai concetti personali e di giudizio; oscillano di fronte alla astratta idea del "puro"; tuttavia s'è autorizzati a considerare il "puro", quando - ecco il caso di Asco alla "Cavour" - un artista dia la figura umana mutilata agli arti, con il tronco sfuggente e liscio e fusellato, con i volumi piú geometrici che imitanti gli umani, così che le superfici - per esempio anche d'un cavallo stilizzato e asciuttizato - abbiano a rifiutare le ombre per essere avvolte dalla luce.

Le modellazioni dei gessi levigatissimi, le fusioni per le quali, a mezzo delle patine lucide o sabbiate, lo scultore tende agli effetti del colore, fanno di Asco un purista. Depongono su tale definizione il "torso" femminile della mostra, gli eleganti pezzi a foggia di pale d'elica, ovoidali, lenticolari in sovrapposizione. Asco è dunque scultore d'eleganze; è artista che opera su posizione d'idealizzazione estetica, con un mestiere, sia detto a suo onore, praticato a fondo. Il "torso", il "cavallo", gli "ovoidi", le "pale d'elica", i gessi trattati come marmo, i bronzi non possono andare avulsi dalla individualità creativa di questo artista; paragonativamente, però, va rammentato che certe forme a fusello, lenticolari, ovoidali in purezza e quindi senza rughe, senza pieghe, senza anfrattuosità scavate, contrassegnano nella scultura moderna un momento internazionale di approdo quasi a un nuovo estetismo, dal dopoguerra in avanti. E a questo proposito vengono facilmente alla penna i nomi di Arp, di Alberto Viani, del Moore essenzialista e alcune forme delle "foglie" della scultura mobile inventata da Calder: sculture come queste di Franco Asco, per la casa e per il giardino.

MARIO PORTALUPI - La Notte, Milano 4 (o 9?) maggio 1968

 

Franco Asco

Settimana dedicata alla scultura, questa: ecco alla "Galleria Cavour" (piazza omonima), le "sintesi" di Asco. Sono bozzetti di opere che esigono la grande dimensione ma, anche così, risultano interessanti, soprattutto per la carica di fantasia che posseggono in quanto sono altrettante "forme pure" senza titolo, proposte che l'autore ci fa (il mito, creatura donna, il grande uccello, una Crocifissione ottenuta con un elemento unico incorniciato su legno scuro, ecc.) in marmo, in gesso, in pietra. Forma pura, sintesi felice, libero volo all'immaginazione. Forme che avrebbero la loro sede ideale in altri immensi edifici funzionali, in giardini popolati di altissimi fusti, oppure in nicchie ricavate nel verde. Una non figurazione, insomma, che esprime ugualmente - e con estrema finezza - quella poesia, ch'è elemento indispensabile per la creazione artistica.

Come dire, in conclusione, che non si tratta di stili o di epoche ma, solamente, di possibilità creative - ieri come oggi - e che ogni tempo deve lasciare, anche in arte, la propria impronta.

PINO ZANCHI - Il Giornale di Pavia - 19 maggio 1968

 

Flash su Franco Asco alla Televisione Svizzera

Il 7 ottobre, durante la piú importante trasmissione della Televisione svizzera dedicata alle arti e alla letteratura ("Lavori in corso") è stato dedicato un importante "flash" anche allo scultore triestino Franco Asco. Tra gli intervistati erano Giorgio Bassani, Carlo Castellaneta, Bruno Cassinari, il teologo svizzero Barth, la scrittrice Ingeborg Bauchmann, ecc. Di Franco Asco sono state riprese le opere esposte alcuni mesi fa alla Galleria d'Arte Cavour di Renzo Cortina a Milano, commentate da Luciano Budigna. Ai telespettatori svizzeri il critico e poeta triestino ha spiegato che "le sculture, le immagini" di Franco Asco - così affidate alla bellezza, alla "bontà" della forma pura, della "natura creante" piú che della "natura creata" - confermano ancora una volta la profonda vitalità poetica dell'area culturale cui egli appartiene: quella degli scrittori e degli artisti di Trieste, di Svevo e di Saba, di Slataper e degli Stuparich, di Timmel, di Carmelich, di Bolaffio; artisti e scrittori che sempre hanno fatto della ricerca un mezzo assai piú che un fine.

La fama, il successo sono stati sinora avari con Asco: un artista troppo schivo dal facile gioco mercantilistico. Ma l'opera sua, a chi abbia occhi attenti e disinteressati, appare ben dentro la via regia dell'arte europea contemporanea: partita con grande umiltà dalle prime esperienze cubiste (alla Lipchitz, alla Zadkine e, piú alla Henry Laurens), avendo ritrovato con animo intatto le emozioni della forma di Brancusi, sembra ora voler percorrere all'inverso l'itinerario che ha portato Wantogerloo dal naturalismo all'astrazione assoluta nel segno della universale validità di Jean Arp. Un'opera, la sua, di alto e, in ogni senso, duraturo valore.

Franco Asco, che vive e lavora a Milano, si sta autorevolmente reinserendo nell'arte attiva. In un certo senso la critica lo sta riscoprendo per la seconda volta e collocandolo nel posto che gli spetta di diritto tra i massimi artisti italiani viventi. Non a caso alla TV svizzera egli è apparso al fianco di Cassinari.

? - Il Piccolo - Trieste, 15 ottobre 1968

 


 

Un cavallo in Galleria

Ottagono della Galleria "Vittorio Emanuele". Nel bel mezzo troneggia da ieri la statua di un cavallo in bronzo donata da Renzo Cortina all'Opera Mutilatini di Don Gnocchi. Il cavallo è opera dello scultore Franco Asco, triestino di nascita ma milanese di adozione (sue sono numerose decorazioni di cinema e teatri, tra cui il Metro-Astra, e il grande bassorilievo che fregia il Palazzetto dello Sport), che piú di un anno fa espose con successo le sue sculture piú recenti proprio alla Galleria Cavour di Renzo Cortina. Intorno allo splendido cavallo in Galleria i milanesi si soffermano da ieri in folti gruppi, lodando l'opera e il munifico gesto.

? - La Notte - 9 dicembre 1969

 


 

A quattro anni dalla sua morte forse UN NOME DA CELEBRARE non soltanto a Milano, sua città d'adozione, in uno dei più significativi e fecondi periodi della sua vita, ma DA PRONUNCIARE CORALMENTE ed inserire di diritto NELLA STORIA DELLA SCULTURA DEL XX SECOLO

 

Franco Asco, triestino, nasce nel 1903 e muore nel 1970. Nel prossimo anno 1975 il comune di Milano si appresta a tributargli degna testimonianza con una grande mostra antologica. Già nel lontano 1928, con la sua seconda mostra personale organizzatagli dalla Galleria Pesaro, Franco Asco ricevette nell'ospitale Milano il suo primo grande successo di pubblico e di critica.

Ma quella che, a buon diritto, crediamo di poter chiamare la sua sorprendente e proteiforme "manualità" d'artista, dovette trasparire agli intenditori molto tempo prima se - appena quindicenne e a maggior ragione vero - "enfant prodige", nel senso che la scultura, fra le arti, è certamente quella che richiede un tirocinio tecnico più prolungato e più duro - la stessa Accademia delle Belle Arti 7di Trieste lo inviò a sue spese alla Accademia di Vienna.

Da Vienna il giovane Asco fuggì quasi subito per rientrare in patria e le accademie d'arte che successivamente frequentò furono un po' tutte le più importanti della penisola: Venezia, Roma, Firenze e di nuovo Trieste.

 

La prima mostra personale, precedente quella di Milano già nominata, l'ebbe nella città natia; ma attestati, medaglie e continui riconoscimenti, fino al 1930 circa, furono di ogni dove, nazionali e internazionali.

Dopo quella data, come spesso succede agli ingegni troppo precocemente e velocemente rivelatisi, la crisi e l'eclissi quasi totale in campo nazionale per circa venti anni, con una sola eccezione extra-continentale: nel 1947 apparve alla ribalta del successo nel lontano Sudamerica con una mostra a San Paolo del Brasile, dove molti collezionisti apprezzarono ed acquistarono le sue opere.

Nel 1949 riappare in patria, espone ancora a Trieste con una monografia che illustra una serie di nuove opere rivelatrici non solo di una capacità tecnica oramai interamente raggiunta, tale da permettergli di operare con estrema maestria in tutti gli stili, utilizzando indifferentemente le varie materie: la cera, la creta, il marmo, il bronzo, la pietra; ma opere rivelatrici anche del tormentato diario postumo della sua eclissi, che poi altro non è che una avvincente confessione della stessa crisi operosa-animosa rimasta in atto, si può dire, fino alla sua morte.

D'altronde la sua personalità inquieta è stata fin dagli inizi assillata da un'interiore problematica tra realtà e verità che sembra trascendere la già simile e già inquietante problematico di tutta la cultura e l'arte dei nostro novecento.

A proposito, chi ha come me la ventura di imbattersi in questa vecchia monografia (edita da Smolars - Trieste, 1949), guardi la tavola intitolata "Orrore del vero", naturalmente per un momento dimenticando tutti gli incombenti "ismi", artistici e no, dei mezzo secolo italiano e sostituendo il titolo con quello più suggestivo, pirandelliano e tragicamente calzante sia per l'opera sia per l'autore, di "Uno, nessuno e centomila".

 

Un bisogno implacabile di ricerca, spesso affannosa e disordinata ma sempre autentica, gli rendeva infatti irraggiungibile l'ideale artistico definitivo perché, per innata disposizione temperamentale, l'ideale gli tornava nuovamente diverso e da raggiungere proprio quando avvertiva di averlo appena perseguito.

Ciò lo rese, sì, avido e prodigiosamente capace di assimilare tutte le tecniche dalle più classiche alle più contemporanee. Ma io rese anche troppo sensibile agli altri, capace di rispondere simultaneamente a tutte le sollecitazioni artistiche dei momento, particolarmente caotiche e in opposizione tra loro.

Si riscontrano quindi nella acrobatica abilità di Franco Asco inevitabili assonanze arcaiche egiziane ed etrusco-romane, nonché tutti i richiami fine ottocento come il preziosismo e l'eleganza neoclassica dei milanese Adolfo Wildt e la stilizzazione retorico-vigorosa dei francese Bourdelle. E naturalmente, man mano che ci si inoltra nel pieno della sua maturità espressiva, meglio si rilevano anche i richiami a lui più contemporanei, come l'impeto dell'immagine plastica riscontrabile nelle opere mature dei suo conterraneo Arturo Martini o la plasticità piena e composta, appena modulata ma viva, di certe serene "Pomone" - di Marino Marini.

Né in Franco Asco è certamente da trascurare la fortissima influenza di Picasso e della scultura cubista di Lipchitz; e neanche alcune influenze informali rilevabili nell'ultimo scorcio della sua vita di uomo e di instancabile ricercatore dì forme sempre nuove e diverse.

La forza distintiva di Franco Asco non è quindi nella originalità formale e neanche tutta nello sbalorditivo eclettismo e conseguente capacità metaforica di affrontare con pari bravura ogni sorta di temi e di modelli.

La sua forza, di cui forse la critica consacrata deve ancora ufficialmente accorgersi, è specialmente nell'avere rivissuto con intensità, durante il periodo più meditato e lucido della sua produzione artistica che si rileva soprattutto dal 1949 in poi, tutte le contraddizioni, le seduzioni, le soluzioni e le lacerazioni che naturalmente scaturiscono da ogni richiamo, da ogni messaggio, urgenza, sgomento; da ogni fase dell'eterno divenire dell'arte.

La sua forza è di offrirci una straordinaria e sintetica " storia " plastica in poderosi - volumi -.Una "storia" preziosa, quella di Franco Asco, non solo perché per la eccezionale padronanza della tecnica -"ogni sua soluzione interessa la scultura ed è un insegnamento per se stessa", come giustamente dice il critico d'arte Franco Passoni. Ma anche perché per noi lettori comuni semplicemente sensitivi, la sua è una insolita "storia" visiva a caratteri doppiamente "scultorei" nella forma e nel senso dell'idea.

" lo non posso tramutare in parole sulla carta la dialettica del mio spirito... non possiedo lo schermo su cui far scorrere le immagini atte ad illustrare... lo non so scrivere ", ebbe a confessare con linguistica umiltà lo stesso Franco Asco. Il che penso che valga, per il buon intenditore, come dichiarare con legittima consapevolezza: - l'unico mezzo espressivo-creativo che mi compete sono la creta e la pietra.

La creta e la pietra: come dire le materie prime, secondo le Scritture, dell'Artefice Sommo e del suo profeta; e ciò detto non per retorica enfasi, ma per doveroso, commosso inciso nei confronti della scultura di tutti i tempi.

Sì, in Franco Asco l'abilità dell'artefice è tuttavia tale da sopraffare la creazione artistica puramente intesa. Ma è spesso pari all'acutissima analisi di ricerca e di critica, alla satira spesso geniale di tutte le incongruenze, le male fedi, le turbolenze delle varie correnti artistiche, per natura in clamoroso e continuo contrasto e in Italia aggravate, per un certo periodo storico, dall'utilizzazione quasi sempre celebrativa o "politicamente strumentalizzata", come oggi si usa dire, della scultura.

 

Ma anche la critica insolitamente plastica di Franco Asco, per fruitori d'arte allo stato puro, nel senso di non "culturalmente inquadrati" e di non "politicamente strumentalizzati" come noi, ci sia concesso di dirlo, è - e può essere - vera arte.

LUISA BANDINI BENSI - Pan - novembre 1974

 


 

Museo di Milano - (Ottobre 1979)

Mostra di scultura: autore di talento

L'ultima mostra dello scultore triestino Franco Asco (1903-1970) fu tenuta nel '68 a Milano, città nella quale l'artista, dagli anni Trenta avanzati, ha ottenuto diversi consensi per le esposizioni sue, alcune contrassegnate dalla nobilitante ufficialità.

Quella fu una mostra di opere piuttosto astrattistiche, d'un astrattismo ora derivato da forme umane spinte assai al sommario, ora condotte a volumi armoniosi, a soluzioni curve nel bronzo, nel legno, nel marmo.

Come allora, tale fase d'estremo conseguimento estetico nella carriera dell'abile scultore - cominciata quando certa "classicità" faceva testo - in questi giorni è il coronamento morale della mostra allestita nel Museo di Milano, approvata dalla Ripartizione cultura e spettacolo del nostro Comune.

E' rassegna che "viene incontro" al visitatore già nel cortile dell'austero palazzo, che prosegue rispettando la progressione della tipicità dei "gusti", perciò i passi cronologici del lavoro attraverso quella tale "classicità", attraverso una realtà umana talora come avvolta da un velo, attraverso soggetti umani posanti con tutto il peso della loro staticità, taluni con accenni morfologici parrebbe di cauta discesa da Medardo Rosso: sculture magnificamente modellate, indi fuse nel bronzo, se non tagliate direttamente nel marmo.

Una mostra utile informativamente, perché molto ricca di esemplari, bella nei suoi ritratti, nei temi religiosi, umani, nei cavalli balzanti, nelle composizioni (in tuttotondo e nei bassorilievi) non figurative, nelle medaglie. I disegni di robusto tratto, la varia scultura , depongono largamente sul valore di un artista di alto talento.

MARIO PORTALUPI - La Notte - 13 Ottobre 1979

 

Museo di Milano

Franco Asco, triestino (1903-1970), ma milanese di adozione, formatosi nel contesto della cultura germanica nel secondo decennio del secolo, mantiene per tutti gli anni Trenta, al di la' di un'agile vena accademica, un portante rapporto con scultori come Ernst Barlach, del quale riprende le chiusure dei volumi, le tensioni dei rapporti plastici, la violenza del racconto. Da metà circa degli anni 50 sono interessanti le sue ricerche collegate da una parte ad Arp dall'altra a Viani, mentre un gruppo di opere della serie Forma in evoluzione, può confrontarsi utilmente con le indagini di Max Bill, lo scultore e pittore svizzero, sulle costruzioni topologiche. Un percorso complesso dunque, ma anche una personalità da restituire a una piú corretta lettura delle differenti tradizioni culturali in Italia, dove la radice francese è sempre sottolineata a discapito della germanica, a lungo portante soprattutto a cavallo dei due secoli.

ARTURO CARLO QUINTAVALLE - Panorama - 5 Novembre 1979

 


 

L'attività iniziale rileva moduli eclettici: il neoclassicismo accademico e canoviano si combina a brani calligrafici, ancora influenzati dal liberty nel bronzetto "Vitis" (1925) per il monumento ad Oberdan. Sullo scorcio degli anni '20 i bassorilievi della Stazione marittima (a Trieste) e, intorno al '32, quelli della necropoli di S.Anna (a Trieste) lo vedono orientarsi verso la stilizzazione neoattica che, frequente nei tedeschi e nei secessionisti, filtra nei profili "secchi" del novecentismo italiano. La statuaria si stabilizza in forme chiuse e compatte: la staticità levigata e tornita del "Busto in gesso" presentato alla Sindacale del '28, si trasforma nel monolito della "Madre d'eroe" esposto alla Sindacale del '32, le riflessioni storicistiche fluiscono in un primitivismo arcaico e "universalizzato".

LUISA CRUSVAR ne "Gli affreschi di C.Sbisà e la trieste degli anni '30" - AAST Trieste, 1980

 


 

Galleria Schettini - Milano (1981)

Sculture di moderna sintesi

Opere di scultura e parecchi disegni di Franco Asco (Trieste 1903 - Milano 1970) sono esposti alla galleria Schettini.

La biografia dell'artista è ricca di notizie intorno all'attività e alle mostre da lui ordinate in Italia e all'estero, notizie che riguardano pure Milano, dove poco piú che trentenne esponeva per la prima volta nella celeberrima galleria Pesaro, nel 1948 e 1950 ordinava una "personale" e la bissava alla galleria Cairola e nel 1968 allestiva una mostra da Cortina.

Intanto la nostra Galleria d'Arte Moderna e la Pinacoteca Ambrosiana acquistavano sue opere: su una guglia del Duomo c'è una statua sua.

Ritrattista d'espressione realistica agli inizi, Asco veniva modificando il modo scultoreo su una visione di modernità, sintetizzandone le forme con uno stile per così dire "fasciato", tendente alla volumetria significativa della figura femminile, del nudo sommario, dell'astrazione di parti anatomiche pur sempre femminili.

Del resto va citata la classicità di taluni bronzi, dei quali si ha qualche esempio in mostra, citata la destrezza dell'animalista, segnatamente nelle versioni dei cavalli d'una certa grandezza e dei relativi bronzetti. Sono forme ridotte all'essenziale, levigate, che corrispondono piú alla depurata scultura-luce che non a quella tradizionale di luce-ombra.

Si vuol dire, in altre parole, che il visitatore dell'articolata mostra ha davanti a sè una "produzione" di sculture date da risoluta personalità, osservante di un suo caratteristico linguaggio, riconoscibile anche nelle fasi di "passaggio" fino a quando Asco ha dato il via ai bronzi e alle "pietre" astratti.

I disegni sono pure luminosi, pure di piega moderna, composti da asciutte parti umane inguainate da panneggi: sono lavori magnificamente ideati, come le sculture sono tali da recar lustro nelle abitazioni o giardini di eventuale collocazione, per le loro stesse qualità artistiche.

MARIO PORTALUPI - La Notte - 27 giugno 1981

 

Franco Asco

Molto amati e raffigurati i soggetti dei cavalli. La grande purezza plastica e volumetrica di quell'animale, taluni movimenti e certe possibilità espressive connesse all'estetica delle forme, gli hanno fornito materia di riflessione e di studi particolari. Alcuni cavalli in bronzo sono esposti nella mostra, dalla "testa di cavallo" del 1967, al "cavallo che scalcia", "cavallo accosciato", allo stupendo "cavallo seduto", tutti dello stesso anno e nella bellezza delle linee che sono un assunto di Asco...

FRANCO PASSONI - Finearts n.4/5, 1981

 

Franco Asco

Franco Asco ha avuto una vasta ed esauriente rassegna delle sue opere alla Gall. Schettini. L'artista, partito da un oggettivismo un po' riassuntivo, è andato via via sempre piú verso una libertà espressiva che lo ha portato all'astratto per imprimere poi maggior slancio alle sue creazioni figurative sintetiche degli ultimi anni nelle quali sembra che uomini ed animali tentino di svincolarsi dalla materia che è stata chiamata a definirli. Asco ha ben meritato i molti riconoscimenti che ha ottenuto e l'ingresso di sue opere in tante gallerie pubbliche e private. Diremmo che questa mostra è servita, con le sue numerose opere ben scelte, a dare una maggior dimensione all'artista pur ben noto.

EMILIO VITALI - Libertà - Piacenza, 28 luglio 1981

 

Franco Asco

Scultore di storica esperienza organizza la sua opera nello spirito progredito della plastica contemporanea piú sensibile al richiamo della dinamica. A quel processo critico della sintesi in cui la forma sa essere l'espressione/movimento che si rivolge alla pura energia. Un'immagine tutta sentita e realizzata nell'armonia continua della ricerca, dove il ritmo è segnale sensorio avanzato che palpita nell'ignoto la notizia della nuova emozione. La situazione di un creativo che registra i suoi equilibri nello spirito ascendente della sola intuizione poetica che sa penetrare la materia e viverla come vuole. Un discorso di sogno e realtà di forme e di evoluzione delle stesse, di maternità, di drammi, di linguaggi in cui l'animo esprime il suo urlo, il suo dolore, la sua contemplazione con efficacia di stile e poetica d'invenzione.

"MARPANOZA" - Artecultura-Splendor - Milano, luglio 1981

 


 

Franco Asco fu uno scultore di alta e qualificata estrazione che, dopo aver acquisito ogni segreto del mestiere, sperimentò l'armonia del classicismo, la dinamica interiore dell'espressionismo sempre alla ricerca di una forma pura di in se' stessa e di tensioni che la riproponessero in termini inusitati, anche a costo di distruggere ogni edonistica apparenza. Da questo contrasto derivarono i suoi tormenti ch'egli cercò di placare nella ricerca di ritmi astratti che gli conferirono la forza di piegare a moduli stilistici essenziali le immagini di cui egli fece ritorno in una ritrovata coscienza figurativa. Artista appartato e orgoglioso nella sua umiltà, Franco Asco merita di essere ricondotto in prima linea nel panorama di quella scultura che segna il passaggio dall'età di Maillol a quella di Moore.

MARIO MONTEVERDI - Dizionario Critico Artitalia, 1990

 


 

...Tuttavia, acquistare opere triestine è stato per me segnare, anche sul piano dei rapporti personali ed emotivi, l’importanza assoluta della scuola dei pittori di Trieste del ‘900, al di là della loro identità locale sentirne un respiro universale che è quello che documentano due grandi scultori, Franco Asco e Attilio Selva. Sono scultori di rilievo, al pari Arturo Martini e Marino Marini, benché meno conosciuti...

VITTORIO SGARBI - da http://www.genius-online.it/vittorio-sgarbi-intervista-al-professore/ , 2017

 


 

FRANCO ASCO
FRANGAR NON FLECTAR


Appare dopo una lunga notte l’opera capitale di un grande scultore dimenticato, il triestino Franco Asco (1903-1970), ovvero Atschko. Nel clima in cui Afro e Mirko Basaldella si sarebbero volti a quell’astrattismo che, in qualche misura, attrae lo stesso Asco, la potente invenzione è forse l’estremo e integro baluardo della scultura monumentale dopo il fascismo e senza la retorica del regime. Lo stesso soggetto la contraddice: si tratta di una sorta di san Sebastiano, probabilmente senza destinazione religiosa, in chiara declinazione metaforica. La data, indicata anche in un bozzetto prezioso e sintetico dedicato a Elio Predonzani, amico e biografo dell’artista, è il 1949. Il titolo, pertinente al tema e segnato sulla base, è: Frangar non flectar. L’opera (bronzo, 88x89x12 cm) è probabilmente la più notevole fra quelle esposte da Asco in quel 1949 nella “Mostra polemica” alla Galleria Trieste nella sua città dopo anni di attività a Milano, dal 1933. Il catalogo, intitolato Un episodio autobiografico di Franco Asco tradotto in forme plastiche, è curato dallo stesso Predonzani, che parla, propriamente, di “doloranti esperienze”. L’uomo è in tensione, con le braccia legate a due rami e le dita contratte. Il volto, scorciato e alieno da riferimenti fisiognomia, ha una smorfia, accentuata dal basso. Asco traduce, in una chiave originale più nervosa e più naturalistica, i volumi intatti ed essenziali di Adolfo Wildt, come per una continuità elettiva.
Frangar non flectar sembra indicare, nella perfezione dell’esito, una crisi personale e storica. I due piccoli arcieri negli angoli, neppure accennati nel bozzetto, sono, per certa tradizione orale, due pericolosi rivali, consapevoli del talento di Asco (invidiosi della sua percezione e, in parte, della realtà): il triestino, e bene avviato, Marcello Mascherini, a sinistra; e il sempre più affermato Marino Marini, a destra. Quest’ultimo è modellato con quelle sintesi geometriche che ne caratterizzano la forma. Ma la tensione espressa - come in una “prigione” - in Frangar non flectar, non teme confronti, in uno straordinario equilibrio tra l’elasticità di Mascherini e la potenza di Marini. Che, letteralmente, lo mettono in mezzo per farlo fuori. Come avvenne nel prosieguo, benché Asco abbia dato negli anni successivi, fino alla morte nel 1970, prova di una ricerca un po’ sbandata nel tentativo d’inseguire i fortunati colleghi, tra figurazione e astrazione. Con qualche esito notevole ma un’indecisione di fondo che non gli portò fortuna. Il suo centro lo aveva trovato nella sofferenza e nello sforzo del conflitto della sua più drammatica e dolente scultura.
Nella sua città di origine, Asco si era misurato con gli spazi architettonici, in opere come i bassorilievi per il coronamento della stazione marittima e per la capitaneria di porto, e le statue di giuristi sul Palazzo del Tribunale. Lavora anche a diversi monumenti funebri nel cimitero di Sant’Anna a Trieste e nel Monumentale di Milano. Come Arturo Martini, anch’egli riflette sul destino della scultura, storicamente conclusa l’epoca della statuaria monumentale, ma non convinto delle nuove prospettive: “Consapevole di essere estraneo ai nuovi modi di concepire la forma, e incerto sulla via da prendere, decide di esprimere, attraverso l’esposizione del 1949 alla Galleria Trieste, la propria perplessità e il proprio dissenso nei confronti di alcune nuove tendenze (le quali, a suo avviso, portano la scultura e l’arte in generale, a un’eccessiva deformazione, frutto di ciò che egli stesso definisce più volte ‘squilibrio’” come scrive Chiara Franceschini. Non dimentichiamo, per estremo contrasto, che il 1949 è l’anno del primo “taglio” di Fontana, concetto spaziale agli antipodi di Frangar non flectar, nel quale Asco tocca il suo vertice e chiude una stagione e un’epoca. Nella mostra triestina, Asco esporrà, in dialettica e in polemica con il Picasso della Ragazza con l’aragosta, un’opera eloquente come Un pugno allo scultore.


VITTORIO SGARBI da Il Novecento (La Nave di Teseo, Novembre 2018)


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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